sabato 19 settembre 2020

IMPRESSIONI DI SETTEMBRE. EMOZIONI

 

IMPRESSIONI DI SETTEMBRE

EMOZIONI

 

Aria tersa d’un settembre a tutta estate (almeno qui in Puglia).

Colori, odori, sensazioni… Impressioni di settembre.

Tutt’intorno, irrepetibili, colori e silenzi. Foglie in procinto di cadere (chissà quando, sempre qui in Puglia), un sapore di uva, dita attaccaticce...

 

Quante gocce di rugiada intorno a me, cerco il sole ma non c’è. Dorme ancora la campagna, forse no, è sveglia, mi guarda, non so.

Già l’odore della terra odor di grano, sale adagio verso me, e la vita nel mio petto batte piano… respira la nebbia, penso a te.

Quanto verde tutto intorno e ancor più in là, sembra quasi un mare l’erba, e leggero il mio pensiero vola e va: ho quasi paura che si perda…

Un cavallo tende il collo verso il prato, resta fermo come me: faccio un passo, lui mi vede, è già fuggito.

Respiro la nebbia, penso a te. No, cosa sono adesso non lo so: sono come un uomo in cerca di se stesso, sono solo, solo con il suono del mio passo.

Ma intanto il sole tra la nebbia filtra già: il giorno come sempre sarà.

 

Se queste sono le impressioni di settembre della PFM (autunnali, al contrario delle mie, estive), ecco ora – anch’esse in puro stile PNL (ossia, multisensoriali e sinestesiche) – le sensazioni (chiamale se vuoi emozioni) di Lucio Battisti.

 

Seguir con gli occhi un airone sopra il fiume e poi ritrovarsi a volare 
e sdraiarsi felice sopra l’erba ad ascoltare un sottile dispiacere.
E di notte passare con lo sguardo la collina per scoprire dove il sole va a dormire.

Domandarsi perché quando cade la tristezza in fondo al cuore come la neve non fa rumore.

E guidare come un pazzo a fari spenti nella notte per vedere se poi è tanto difficile morire.

E stringere le mani per fermare qualcosa che è dentro me, ma nella mente tua non c’è...

Capire tu non puoi, tu chiamale se vuoi: emozioni.

Uscir nella brughiera di mattina dove non si vede un passo per ritrovar se stesso.

Parlar del più e del meno con un pescatore per ore ed ore e non sentir che dentro qualcosa muore...

E ricoprir di terra una piantina verde, sperando possa nascere un giorno una rosa rossa.

E prendere a pugni un uomo solo perché è stato un po’ scortese, sapendo che quel che brucia non son le offese.

E chiudere gli occhi per fermare qualcosa che è dentro me, ma nella mente tua non c’è…

Capire tu non puoi, tu chiamale se vuoi: emozioni.    

 

Impressioni, emozioni: tendere il collo verso… chiudere gli occhi per fermare qualcosa.

 

 

 

sabato 12 settembre 2020

IL RASOIO DI OCKHAM

IL RASOIO DI OCKHAM

 

“L’inchiostro è la mia arma. Si, violenza e lirismo, amore e rabbia, dolcezza e morte...” Sì, morte a credito. Mi sentivo in debito col mondo – che noia… volevo uccidere la noia annoiando la morte e la vita mi stava nauseando. Volevo vincere cantando più forte, ed ero rimasto senza voce.

“Il bisogno di conoscermi, anzi, di dilaniarmi, mi prese con violenza.” Non potevo più nicchiare. Basta con Popper e Mary Poppins (va già meglio). Nietzsche, sulla soglia, occhieggiava con l’occhio destro. Destroy. Con l’animo a fette e sempre più fitte nell’anima e il cervello destro che faceva da cavallo di troia alle dissennate fantasie al galoppo (nel frattempo il terzo occhio cominciava a sbattere le palpebre). Meno male che c’era lui.

 

     Luminol. Ero scivolato, nel buio fitto delle memorie pulp e gargoyle, su quel poco che era sopravvissuto dei miei affetti, ma Lorenzo, l’eroe del mio libro, mi aveva tirato su (e non su una cometa di polvere bianca). Eroe dei due mondi. Avevo trovato la droga per il mio spirito (mi ‘faccio’ di carta). Ma non bastava, avevo bisogno di un’eroina (Nietzsche doveva, non dico andare a cuccia – lui è un ‘lupo’ –, ma almeno nicchiare un po’: di donne non ne capisce. Lui sussurra ai cavalli).

Fiat lux: prima che la luce del sole mi trafiggesse, dovevo passare sul filo del rasoio di Ockham. Victoria… (l’asso nella manica del romanzo): le gocce del mio stesso sangue – la letteratura è spirito, carne e sangue – avrebbero avvelenato i miei ultimi vampiri, in & out.

 

     “La penna e la spada sono temporaneamente separate, ma alla fine devono unirsi in un’unica strada.” Il libro come arma e come flabello (anche, flagello), un po’ Mishima un po’ iki.

“Lo slancio dell’agire-contro, la decantazione del pensare-contro e del sentire-contro attraverso il libro. Il perfezionamento di una visione del mondo completamente ‘altra’.” (Così la vestale shaolin del filosofo col martello – da lui stesso avataricamente ‘investita’, e non solo platonicamente. Lui la conosceva bene… e viceversa.)

Il libro, quello delle voci arcaiche, attente all’assoluto e non alle mode, è ben più della somma delle sue parole – ma la parola è la summa del libro.

 

     Chiacchiera heideggherriana o parola imputtanita (un flash di Gurdjieff), minimal o gorgeous, virtù del segno o precipitato del simbolo, sgargiante, erotica, eretica, serica o graffiante, l’importante era la parola. Quanto più la parola scritta. Specie ora che scrivo libri. Sono loro la mia griffe (tutti pezzi unici – per tutti e nessuno).

Il mio libro: alchimia di parole, ma anche graffi della mia esperienza di vita, loro specchio (snellente), ma anche un athanor – un forno di digestione alchemica (oltre che un avatar disceso dal cielo) – per realizzare in me l’uomo nuovo (con l’aggiunta del soffio dello Spirito e della fiamma della Passione).

 

     Passion flower. Contenuto e forma (del libro e dell’uomo: io e il mio romanzo) dissolti e coagulati in un unicum – ossimorico, eufonico nelle dissonanze, disfonico nelle consonanze, ‘fanatico’. Mai fané. Diretto dal Dio della danza cosmica, tra pulsare del tempo e silenzio avevo letto anche il libro di Pulsatilla, la book-squinzia emergente, anzi ormai emersa e sommersa.

Sono eclettico e ossimorico – anche moro di chioma e politikon: vado back & forth dagli spot a Trainspotting. Voglio anch’io il mio fan club!

 

     Bridge over troubled water. Sono un ponte sospeso sul mondo (e con i piloni fondati sull’abisso – e non faccio ancora parte dello star-system). Miro (al)le stelle (specie poi da quando sono approdato su certi ‘siti’: dapprima, quello di Miro; poi sempre più in alto, li dove danzano le spade e infierisce il cultro).

L’uomo, ‘pontiggia’ Pennac, “scrive libri perché si sa mortale. Vive in gruppo perché è gregario, ma legge perché è solo…” E io voglio essere immortale e libero come uno steppenwolf. Ma cerco compagnia…