venerdì 30 aprile 2010

AGORÀ (IPAZIA MON AMOUR)

AGORÀ

(IPAZIA MON AMOUR)


Che nel nostro tempo swatch ci siano, di tanto in tanto, flash di tempo rolex (ossia l’aion che inghiotte il chronos: ricorda, il tempo è una tigre) e, in momenti sempre più rari (o no? siamo o non siamo alle soglie dell’Era dello Spirito?), lampi di Kairòs (il tempo ‘propizio’, quello delle “grandi occasioni”) lo dimostra l’uscita graffiante di Agorà, film sulla mitica (per chi la conosce) Ipazia, filosofa e, soprattutto, überfrau (superwoman, per intenderci, ma alla Così parlò Zarathustra). Questo mi riporta a un brano del mio Gocce di pioggia a Jericoacora (finora inedito, ma tra non molto nelle librerie) e ad un ancor più remoto (venticinque anni fa) breve scritto di Alessandra Colla, la blog-webber della porta accanto (vedi all’elenco blog personale). Da quest’ultimo traggo un tralcio:

“Seguace delle dottrine neoplatoniche, e orientata verso una conciliazione delle teorie platoniche e aristoteliche, divenne ben presto celebre per il suo vasto sapere e per la sua bellezza: nei suoi Poèmes antiques Leconte de Lisle ne fa una giovane donna, e parla dello ‘spirito di Platone’ e del ‘corpo di Afrodite’ mirabilmente congiunti (…) Si sa che le sue lezioni erano frequentatissime in grazia della sua abilità di oratrice e del suo scrupoloso attenersi al pensiero autenticamente platonico e aristotelico." Per chiosare con Charles Pèguy (citato nell’introduzione allo scritto): “Se la memoria di Ipazia rimane, tra tutte le memorie umane, una delle più venerate, non dipende solo dal fatto che la fedeltà nella sventura è forse lo spettacolo più bello che un’umanità nobile abbia mai offerto. Ciò che in Ipazia ammiriamo, onoriamo e amiamo è questo miracolo di fedeltà: il fatto che un’anima sia rimasta in armonia così perfetta con l’anima platonica e la sua discendente, l’anima plotiniana, e in generale con l’anima ellenica, con l’anima della sua razza, con l’anima del suo maestro, con l’anima di suo padre; il fatto che in quest’armonia così profonda e intima Ipazia sia rimasta sino alla morte e durante la morte, mentre tutto un mondo, il mondo intero, crollava, frantumandosi per tutto la vita temporale dell’universo… e forse per l’eternità”.

Ab maiora ad minora… Passiamo al tralcio (frondoso) del mio Gocce di pioggia: un dialogo-scontro (ma alla fin fine un ‘incontro’) tra Lorenzo (il ‘cristiano’, ma free lance – in un certo senso …‘ipaziano’ anche lui – e Galatea, ‘pagana’ doc, lei sì ipaziana ultrà, oltre ogni senso…).

Galatea, nelle Scritture non c’è solo repressione, ma anche esaltazione… Exultet. La Bibbia canta (decanta, incanta) – nella Lettera di Paolo a Tito – “Omnia munda mundis. Tutto è puro per quelli che sono puri.” Dio ha creato il corpo, ed era ‘buono’, ‘bello’. Tutto della creazione divina è buono, anzi nell’uomo e nella donna è ‘molto buono’, ottimo. Anche la donna, alla faccia di Tertulliano. Molto buona. Il corpo è stato creato per il piacere, non solo per il dovere. San Paolo aggiunge: “Tutto è lecito (ma non tutto fa bene…).” Se poi Origene si è fatto eunuco, pazienza, abbiamo avuto un filosofo in più (con gran pace di Lorenzo, il filosofomane). Ma Abelardo ne ha sofferto. Eloisa valeva bene una messa… E non era Messalina (ma quella è un’altra storia. Da ‘cronaca vera’…). La legge è intervenuta perché il peccato abbondasse. Dio ci ha dato la legge perché la trasgredissimo. L’ombra c’è quando c’è il sole. Ma diminuisce man mano che ci si avvicina al grande Meriggio… Sì, è proprio il momento di passare a qualcosa di più forte, di hard

Galatea, già presa, al sentire il termine ‘hard’ si avvinghiò ancor più a Lorenzo, il quale, avviluppato da un mix di sensazioni ossimoriche, incluso l’abbraccio della mora, dolce-amara, si sciolse in uno scivoloso ma quanto mai fruttuoso ditirambo.

«Nel Cantico dei Cantici c’è scritto: “Qual è un melo tra gli alberi del bosco, tal è l’amico mio fra i giovani. Io desidero sedermi alla sua ombra, il suo frutto è dolce al mio palato…” Esplicito, no? XXX…»

Galatea finse una ritrosia verginale e stette a bocca chiusa (ma le labbra vibravano sottilmente – per quanto turgide). Lorenzo ne approfittò per dare, impudica lingua tagliente, blow… la stoccata finale.

«Ripeto, la Bibbia non è ‘bacchettona’. È un libro polisemico, per tutti e per nessuno, come lo Zarathustra di Nietzsche. Ed esprime filosofia joyness, una visione ottimistica dell’esistenza: leggi tra le pieghe. Il piacere, in tutte le sue variazioni, è per Dio ‘cosa buona’, non una piaga. D’altronde, per dirla con Heine, cos’è il piacere, se non un dolore straordinariamente dolce… Altro è l’eccesso, l’intemperanza, l’assoluta mancanza di ‘salvaguardie’. Ma lo stesso è per il mangiare, il fare sport, guidare la macchina. La distrazione può essere fatale. Oppure il troppo alcol e la relativa perdita di controllo. Non sempre l’ebbrezza fa bene (ma un po’ ci vuole: rallegra il cuore). Certo, nel sesso sono coinvolte più dinamiche… E senti quest’altra, sempre nel Cantico di Salomone – prima era il capitolo due, ora saltiamo al quattro (si tratta di un vero e proprio ‘can can’): “Sorgi, vento del nord, e vieni, vento del sud! Soffiate sul mio giardino, perché se ne spandano gli aromi! Venga l’amico mio nel giardino e ne mangi i frutti deliziosi!” Eros allo stato puro. E non convenzionale (non solo la posizione ‘missionaria’…). E nota bene, è la donna, la sulamita, a prendere l’iniziativa. Prima ‘attiva’ poi ‘passiva’, ma sempre passionale. Altro che antifemminismo della Bibbia! “Sub umbra eius quem desideraveram sedi.” L’ombra, alla Giordano Bruno, come limite ma anche come luogo di un’esperienza ‘eccezionale’. Ma anche come ‘frutto della passione’… L’uomo, come sempre indolente, esce allo scoperto più tardi – viene fuori dall’’ombra’ –, al capitolo successivo del Cantico, lì dove si parla di mirra, di aromi, vino, latte, di ebbrezza d’amore. E lei insiste (queste donne…). Non smette di sedurlo. Tutti frutti. E non solo all’aperto, nel giardino, col suo hortus conclusus che si apre al giardiniere, ma al chiuso, in casa. Eccola togliersi la gonna, ‘vestirsi’ della voce dell’amato e... “L’amico mio ha passato la mano per la finestra, il mio amore si è agitato per lui. Mi sono alzata per aprire al mio amico, e le mie mani hanno stillato mirra, le mie dita mirra liquida, sulle maniglie della serratura.” È la Bibbia, non è Emmanuelle o Alina Reyes.»

Uno scuotimento sexy alla vieppiù folta capigliatura (la tundra si faceva sempre più selva) e Lorenzo riprese la ciclopasseggiata nei meandri del sapere (Sofia e Lorenzo – Sophia Loren… erano un binomio inscindibile).

«E queste sono solo alcune chicche. Ma il Cantico dei Cantici è un vero e proprio vigneto: “Sposa mia, le tue labbra stillano miele, miele e latte sono sotto la tua lingua … quanto dolci sono le tue carezze … il tuo ombelico è una tazza rotonda, dove non manca mai vino profumato.” È un vero e proprio invito alla continua ‘trasgressione’ (o ‘ingresso’) d’amore. Un sentimental tour: “Vieni, amico mio, usciamo ai campi, passiamo la notte ai villaggi! Fin dal mattino andremo nelle vigne; vedremo se la vite ha sbocciato, se il suo fiore si apre, se i melagrani fioriscono. Là ti darò le mie carezze.” Che apertura… Che boccioli, che bocce, che brecce… La brocca che si rompe al soffio della brezza… D’altronde, non è lo stesso Paolo a suggerire a marito e moglie di ‘stare sempre insieme’? Simeone il Nuovo Teologo – ce lo ricorda Panikkar, il teologo che porto sempre con me nella borsa da mare – affermava che deve dimenticarsi della vita eterna chi non la vive già qui. Ma vivere qui è vivere il qui e ora. Il salato ma anche il dolce (stando, però, attenti al diabete…). Sì, vivere il mondo. Non ci scordiamo che anche Calvino – che pure non era un viveur – ammoniva a non disprezzare la vita e a far uso, invece, dei beni di questo mondo. Magari, alla san Paolo, usandoli come se non li si usassero. In ogni caso, egli diceva, Dio ha creato le cose come doni, non solo per soddisfare alle nostre necessità, ma anche per nostro diletto e ristoro.” Parole dell’arcigno riformatore, il Lancillotto di Ginevra.»

«Touché... Semel in anno licet insanire: una volta all’anno è lecito far follie – ammonivano gli Antichi. Ma io ti dico, esagera!»

Galatea spezzò il filo troppo lungo delle argomentazioni di Lorenzo e vi annodò la cordicella, di grana grossa, della sua trama.

«Ti ridico: esagera! Fin qui sei stato eccessivo solo nelle parole. Ma i fatti ti contraddicono. Almeno nella sostanza. Quello che tu dici è vero, ma non ha avuto seguito. Sai bene che il giudaismo, l’islam e il protestantesimo sono tre religioni nemiche del piacere, ma anche della bellezza. Della bellezza e, diciamolo pure, della cultura. Ti faccio un solo esempio, e ti basterà: Ipazia, la matematica e filosofa greca. Massacrata ad Alessandria da una massa di esagitati cristiani. Era il 415: l’età classica stava passando, ahimè, il testimone all’oscurantismo cristiano. E Ipazia era troppo bella e colta per la barbarie del volgo messianista. I cristiani, bigotti, ignoranti e cattivi dentro (e fuori) com’erano, non trovarono di meglio che farla a brandelli a colpi di coccio e bruciarne i resti. Del resto, Ipazia era troppo grande per quella pletora di nanerottoli.»

«Ma Gesù non avrebbe fatto così, anzi! Pensa all’adultera… E poi, rimanendo ad Alessandria d’Egitto, ho letto da qualche parte che nella ‘scuola’ fondata, si dice, dall’evangelista Marco, ci fossero donne ispirate dallo Spirito Santo che profetizzavano, insegnavano, ‘iniziavano’ i maschietti ai ‘misteri’ di Cristo… E dall’école uscirono fior di ‘dottori’: due per tutti, Clemente Alessandrino e Origene. Purtroppo, è la ‘truppa’ cosiddetta cristiana, per non parlare dei capi, a comportarsi da ‘anticristi’. E questo, talvolta, accade pure oggi. Anche tra le nuove leve della fede, i pentecostali, i mistici prestati all’azione. Spesso tra loro ci sono dei veri e propri ‘carismaniaci’. Dei serial killer dello Spirito (ma loro pensano di essere dei ‘doni’ di Dio). Quantomeno, degli antipatici. La ‘struttura’ del pentecostale ‘tipo’ è, in effetti, fondamentalmente anti. Anticulturale, antimondano, anticattolico, antimoderno, anti... Ma è una camicia di forza messagli addosso dall’’ambiente’ evangelicale, non quello genuino, in-genuo, ma quello d’impronta codino-fondamentalista. Fatto è che il retroterra protestante non è sempre così… Tutt’altro, di lì sono partite battaglie di emancipazione fondamentali: quelle black, femministe, sociali, libertarie in generale E poi quella cafoncella e puritaneggiante è solo una struttura acquisita, non certo implicita nel pentecostalismo stesso: quello doc, nature, è, invece, nella sua dimensione più profonda e originaria, aperto, irenico e inclusivo nel senso migliore del termine. Anche ironico… È, ripeto, l’interferenza di elementi, abitudini, tradizioni, anche ‘strutture’ e ‘categorie’, del fondamentalismo, specie del neo-fondamentalismo, che ne è la deriva deteriore, a ‘colorare’ il pentecostalismo di tinte, striature e macchie non proprie. È un cristianesimo andato a male, rancido, quello che ispira la morale del ‘risentimento’ (e di “tutti gli altri all’inferno!”), che non ha la fonte nel Divino, ma nelle profondità di Satana (le altitudines satanae…). Il vero pentecostalismo e il vero cristianesimo sono belli. Belli e possibili. Parlano del Paradiso più che dell’Inferno. Della gioia più che del peccato. E non sono astemi, secondo la moda fanatica di certo fondamentalismo yankee che, grazie a Dio, qui non ha ancora attecchito, nemmeno tra gli evangelici. I veri cristiani sono alcolici! Ma non workhaolics… Ebbri nello spirito e nella carne. E poi Gesù trasformò l’acqua in vino, non il vino in acqua… “Amici, mangiate, bevete, inebriatevi d’amore!” È la bruttezza del fanatismo – la (contro)faccia laida della religione – a sporcare la bellezza della vera fede. Con l’ossessione del peccato e dell’Inferno. Il brutto e l’impossibile. Solo perché loro, in fondo, non hanno amore né grazia (con la maiuscola e la minuscola). E non hanno veramente vissuto, imprigionati come sono nelle loro piccolezze e ristrettezze laido-borghesi. E nella loro pseudo-scienza piccola piccola (a far da contraltare all’altra pseudo-scienza, quella laica, terra terra). E la vera Scienza, dov’è?. C’è, ma spesso latita. Vorrei tanto sentire più sermoni e omelie sul Paradiso e su Gesù e meno sull’Inferno e sulle ‘paranoie’ psico-patologiche di tanti predicatori, con o senza titolo (e tutto tritolo). Spesso l’Inferno che loro ti gettano addosso e in cui ti vogliono far arrostire è il loro inferno privato, intimo, quelle delle loro passioni imputridite, o congelate… L’inferno sono loro! Ricorda, il rigore raffredda l’amore. Anche Paolo aveva le sue cadute ‘fondamentaliste’, ma poi si rialzava…»

«Tu la fai facile. Ma, purtroppo, non è così. Non è questione di eccessi o di troppo zelo. È nella loro radice semitica, quella elohista, iahvista, deuteronomista e sacerdotale (ci dava dentro anche in teologia, la mora tutto pepe… Pepe Mora). Ma anche il pentecostalismo, di cui fai tanta reclame, anche se sembra più attento al visual, spesso scade in grossolanità. E poi anch’esso mi sembra ultra-castigato e acido come una verginella avanti negli anni. Rancido. Altro che fuoco giovanile, alla Amici. Voglio calore sulla mia pelle, voglio le fiamme, voglio scintille… Io, piuttosto, mi rifaccio al pensiero gnostico, di origine iraniana, secondo cui il bene e il male sono per necessità coesistenti nell’Urgrund ontologico cosmico. Zurvan, dio iranico, essenza e sostrato dell’universo, coordina l’intrecciarsi del bene e del male, entrambi necessari. Quest’ultimo, il male, che tu lo voglia o no, è l’immagine speculare del bene, la sua ‘ombra’ – Deus inversus est Daemon…»

sabato 3 aprile 2010

THE HOUSE OF THE RISING SUN

THE HOUSE OF THE RISING SUN


Pasqua di risurrezione, ma anche di passaggio (d’altronde, questo è il significato del termine). Quindi, auguri… non solo quelli di ‘rito’, ma quelli di ‘sostanza’, affinché il “rito di passaggio” (quello che fai appena de-cidi di cambiare, perché de-sideri la tua meta-morfosi a seguito della tua meta-noia…) ti porti a una “nuova nascita”: sì, li nel ‘bosco’ – e sai cos’è… – ci sono solo “sentieri interrotti” e tu non sai come venirne fuori. Sai solo di trovarti lì come un essere-gettato-nel-bosco e non riesci a trovare la “radura della tua esistenza”. Ma se sei pronto ecco che il ‘flash’ – l’illuminazione ti giunge dall’Alto o da dentro di te… e sei un uomo ‘risorto’ e una donna ‘risorta’ (e pure felice come una pasqua).

OK, torniamo a terra! E per rompere le uova – l’uovo cosmico e i tanti ovetti ‘comici’ che dissemino nel blog (non per niente è un caos… ma, di striscia in striscia, ogni tanto nasce una stella) – ho ri-deciso, dopo almeno un anno di letargia architettonica, di fare una puntatina su un sito d’architettura un po’ fuori dal coro (ma con un bel po’ di cuore), uno che mi ha onorato di cogliere un mio fiorellino e piantarlo nel suo hortus conclusus.

By the way, una digressione (io amo trans-gredire). A proposito di hortus conclusus, rimanendo nel Cantico dei Cantici, c’è scritto: “Qual è un melo tra gli alberi del bosco, tal è l’amico mio fra i giovani. Io desidero sedermi alla sua ombra, il suo frutto è dolce al mio palato…” E ancora: Sorgi, vento del nord, e vieni, vento del sud! Soffiate sul mio giardino, perché se ne spandano gli aromi! Venga l’amico mio nel giardino e ne mangi i frutti deliziosi!” And more & more: “L’amico mio ha passato la mano per la finestra, il mio amore si è agitato per lui. Mi sono alzata per aprire al mio amico, e le mie mani hanno stillato mirra, le mie dita mirra liquida, sulle maniglie della serratura.” No, non è Emmanuelle o Alina Reyes, ma è la Bibbia…

Andiamo al dunque: riassumo un face to face con Pietro Pagliardini – l’architetto blogger di De Architectura (rinvio al suo ultimo ‘strale’). Naturalmente, è un altro dei tasselli che devi mettere nel tuo mosaico in itinere.

Lo spazio è una cosa effimera. Inafferrabile... ”Sì, è vero: la frase è del tutto priva di significato –- solo un trick pour parler dell’archistar Frank O. Gehry (un vero e proprio 'trickster' dell’architettura col suo cappello a cilindro...) – ma il pensiero 'debole' del vanitas vanitatum... è, come si sa, il 'parto' dell’unio plastica (l’opposto dell’ unio mystica) tra lo Zeitgeist (lo Spirito – del tempo) e l’archistar (la 'madonna' pro-tempore). Non che il pensiero hard produca sempre frutti migliori (“Il duro e l'inflessibile vengono infranti dal mutamento; il flessibile e il cedevole si piegano e prevalgono...” – Ray Grigg). Allora non c'è soluzione? Al di là delle ‘metanarrazioni’, penso che, per rimanere nel campo dell'architettura, occorra almeno individuare, nell’ambito di un territorio di riferimento, la propria nicchia, la propria ‘grotta’ (fosse pure nel senso del mito di Platone). E lì poi trovare il proprio “animale guida”... (p. es. lo stesso decostruttivismo e Gehry). In pratica, un po' alla Fight Club (con tutti gli annessi e connessi): “Chloe ci ha guidati in grotte dove abbiamo incontrato l’animale della nostra forza. Il mio era un pinguino. C’era ghiaccio a coprire il fondo della grotta e il pinguino ha detto: scivola. Senza alcuno sforzo abbiamo scivolato per tunnel e gallerie. Poi è stato il momento di abbracciarsi...” Dunque, occorre 'scivolare' (lasciarsi andare) e poi 'abbracciarsi' (abbracciare il 'contesto' e farsi abbracciare...). Più che fuck the city (è quel che in genere si fa), direi, alla sant'Agostino: “Ama e fa' quel che vuoi...”

Nondimeno, sarà pure che il duro e l'inflessibile saranno travolti dal cambiamento, mi rimpalla Pagliardini, ma nel frattempo hanno costruito... Il pensiero debole non costruisce niente. E poi il duro e l'inflessibile ritornano e costruiscono di nuovo. Non sarà che anche il duro è cambiamento?

Il duro che, ossimoricamente, cambia... E cambia anche in meglio! Touchè.
”Il duro è cambiamento” è d’altronde come dire: l’essere che diviene (v. la “filosofia del processo” di Whitehead). In effetti l’ossimoro è una risorsa. Ossimoro: oxymoron, questo stravagante matrimonio tra la bella oxys (affilata, appuntita e penetrante) e la bestia moros (ottusa, senza punta, molle, sciocca, folle...). Armonia fra i contrari, coincidenza degli opposti. Palintropia, concordia discors, polemos eracliteo, processo e stasi. In attesa della palingenesi...
E forse la palingenesi sta proprio (v. il mitico Rocco) nel ritorno al duro... (ma con il flessibile come contorno!).