sabato 3 aprile 2010

THE HOUSE OF THE RISING SUN

THE HOUSE OF THE RISING SUN


Pasqua di risurrezione, ma anche di passaggio (d’altronde, questo è il significato del termine). Quindi, auguri… non solo quelli di ‘rito’, ma quelli di ‘sostanza’, affinché il “rito di passaggio” (quello che fai appena de-cidi di cambiare, perché de-sideri la tua meta-morfosi a seguito della tua meta-noia…) ti porti a una “nuova nascita”: sì, li nel ‘bosco’ – e sai cos’è… – ci sono solo “sentieri interrotti” e tu non sai come venirne fuori. Sai solo di trovarti lì come un essere-gettato-nel-bosco e non riesci a trovare la “radura della tua esistenza”. Ma se sei pronto ecco che il ‘flash’ – l’illuminazione ti giunge dall’Alto o da dentro di te… e sei un uomo ‘risorto’ e una donna ‘risorta’ (e pure felice come una pasqua).

OK, torniamo a terra! E per rompere le uova – l’uovo cosmico e i tanti ovetti ‘comici’ che dissemino nel blog (non per niente è un caos… ma, di striscia in striscia, ogni tanto nasce una stella) – ho ri-deciso, dopo almeno un anno di letargia architettonica, di fare una puntatina su un sito d’architettura un po’ fuori dal coro (ma con un bel po’ di cuore), uno che mi ha onorato di cogliere un mio fiorellino e piantarlo nel suo hortus conclusus.

By the way, una digressione (io amo trans-gredire). A proposito di hortus conclusus, rimanendo nel Cantico dei Cantici, c’è scritto: “Qual è un melo tra gli alberi del bosco, tal è l’amico mio fra i giovani. Io desidero sedermi alla sua ombra, il suo frutto è dolce al mio palato…” E ancora: Sorgi, vento del nord, e vieni, vento del sud! Soffiate sul mio giardino, perché se ne spandano gli aromi! Venga l’amico mio nel giardino e ne mangi i frutti deliziosi!” And more & more: “L’amico mio ha passato la mano per la finestra, il mio amore si è agitato per lui. Mi sono alzata per aprire al mio amico, e le mie mani hanno stillato mirra, le mie dita mirra liquida, sulle maniglie della serratura.” No, non è Emmanuelle o Alina Reyes, ma è la Bibbia…

Andiamo al dunque: riassumo un face to face con Pietro Pagliardini – l’architetto blogger di De Architectura (rinvio al suo ultimo ‘strale’). Naturalmente, è un altro dei tasselli che devi mettere nel tuo mosaico in itinere.

Lo spazio è una cosa effimera. Inafferrabile... ”Sì, è vero: la frase è del tutto priva di significato –- solo un trick pour parler dell’archistar Frank O. Gehry (un vero e proprio 'trickster' dell’architettura col suo cappello a cilindro...) – ma il pensiero 'debole' del vanitas vanitatum... è, come si sa, il 'parto' dell’unio plastica (l’opposto dell’ unio mystica) tra lo Zeitgeist (lo Spirito – del tempo) e l’archistar (la 'madonna' pro-tempore). Non che il pensiero hard produca sempre frutti migliori (“Il duro e l'inflessibile vengono infranti dal mutamento; il flessibile e il cedevole si piegano e prevalgono...” – Ray Grigg). Allora non c'è soluzione? Al di là delle ‘metanarrazioni’, penso che, per rimanere nel campo dell'architettura, occorra almeno individuare, nell’ambito di un territorio di riferimento, la propria nicchia, la propria ‘grotta’ (fosse pure nel senso del mito di Platone). E lì poi trovare il proprio “animale guida”... (p. es. lo stesso decostruttivismo e Gehry). In pratica, un po' alla Fight Club (con tutti gli annessi e connessi): “Chloe ci ha guidati in grotte dove abbiamo incontrato l’animale della nostra forza. Il mio era un pinguino. C’era ghiaccio a coprire il fondo della grotta e il pinguino ha detto: scivola. Senza alcuno sforzo abbiamo scivolato per tunnel e gallerie. Poi è stato il momento di abbracciarsi...” Dunque, occorre 'scivolare' (lasciarsi andare) e poi 'abbracciarsi' (abbracciare il 'contesto' e farsi abbracciare...). Più che fuck the city (è quel che in genere si fa), direi, alla sant'Agostino: “Ama e fa' quel che vuoi...”

Nondimeno, sarà pure che il duro e l'inflessibile saranno travolti dal cambiamento, mi rimpalla Pagliardini, ma nel frattempo hanno costruito... Il pensiero debole non costruisce niente. E poi il duro e l'inflessibile ritornano e costruiscono di nuovo. Non sarà che anche il duro è cambiamento?

Il duro che, ossimoricamente, cambia... E cambia anche in meglio! Touchè.
”Il duro è cambiamento” è d’altronde come dire: l’essere che diviene (v. la “filosofia del processo” di Whitehead). In effetti l’ossimoro è una risorsa. Ossimoro: oxymoron, questo stravagante matrimonio tra la bella oxys (affilata, appuntita e penetrante) e la bestia moros (ottusa, senza punta, molle, sciocca, folle...). Armonia fra i contrari, coincidenza degli opposti. Palintropia, concordia discors, polemos eracliteo, processo e stasi. In attesa della palingenesi...
E forse la palingenesi sta proprio (v. il mitico Rocco) nel ritorno al duro... (ma con il flessibile come contorno!).



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