VENI VIDI VICI
TRE SOMARI E TRE BRIGANTI
Dall’ultimo post del blog di Gabriele La Porta estraggo questa perla (tale, se non altro, rispetto a certi ‘rifiuti’ e a certe ‘cozze’ di oggi): “Se riusciamo a capire e a sentire che già in questa vita abbiamo un legame con l’infinito, i nostri desideri e i nostri atteggiamenti mutano … Anche nel nostro rapporto con gli altri uomini la questione decisiva è se in essi si manifesti o no un elemento infinito. Il sentimento dell’illimitato, comunque, si può raggiungere solo se siamo definiti al massimo.” (Jung)
Parlare di infinito e illimitato, di “essere definiti al massimo”, rispetto alla finitezza e ai “minimi termini” d’oggi (e a un paio di dipietristi spietrati – o spretati/spietati – e finiane desafinados – stonate, ribelli, ballerine…), sembrerebbe fuori luogo. Specie poi quando, tanto per battere il ferro (Berluska: più ghisa che acciaio) quando è caldo (hot), i tre voti in più (X X X – nel senso di censored), alla Totò (con tutti gli annessi e connessi – pinzillacchere incluse – v. su YouTube Totò l'aveva detto negli Onorevoli: “3 voti sono importanti"), fanno inneggiare i sampietristi (gli ‘antidipietristi’) al “senso della vita”. Che poi questo distacco di tre punti non sia così extralarge lo si scopre more geometrico (nel senso di ‘triangolo’ monco) quando si riflette sul fatto che, in effetti, se solo due dei ‘proditores’ (ma Prodi non c’è più: è rimasta la ‘res’, la ‘cosa’…) avessero votato contro, venendo meno due voti ai Berluscones e aggiungendosene due ai Marluscones, alla fin fine i ‘contras’ (Bocchino e pasdaran rouge et noir) avrebbero vinto per un voto. Come si vede, tra il due (numero ‘imperfetto’: dys – disturbo, disservizio, disgrazia, diabolos…) e il tre (numero perfetto) il passo, scivoloso, è breve.
Quindi, no drama non pain (come canterebbe Mary J. Blidge), i giochi (di potere) sono tutt’altro che fatti. Adda passà ‘a nuttata… E per passare a temi più generali, se proprio si è rimasti turbati (ma non è certo quello del 14 il caso), allora basta cancellare l’’errore’ con un colpo di spugna (o di gomma) e ripartire: una sgommata e via. L’importante, come per ogni progetto, è mantenere il focus (sia fuori, sia dentro – nel senso di ‘fuoco dentro’, ossia entusiasmo: Dio dentro di te). A proposito di “senso della vita”, “massima definizione” e di “riconversione delle emozioni”, ti sverso prima qualche goccia dal mio Che cos'è la PNL. Come vincere ansia, fobie e dipendenze, poi, tanto per rimanere nell’ambito della “scrittura creativa” (e ‘consapevole’), una mia breve esercitazione estemporanea.
LA RICONVERSIONE DELLE EMOZIONI
Come hai ben compreso, innanzitutto devi ‘utilizzare’ l’immaginazione. Puoi guidare la tua mente come se fosse una macchina (ovviamente è molto di più), pilotandola nella direzione da te prescelta e cambiandola quando vuoi. Se vuoi, inserisci il ‘pilota automatico’, che, una volta impostato, ti condurrà allo stato emozionale più funzionale al momento. Ciò detto, superiamo il perché (ti serve per comprendere il meccanismo generatore delle fobie, non per risolverle): come ricorda Bandler, la comprensione non produce il cambiamento. Ma produce ben poco anche il cosiddetto ‘condizionamento operante’, ossia dare un rinforzo positivo per i comportamenti ‘corretti’ e uno negativo per i comportamenti ‘scorretti’: se può andare bene con gli animali, non funziona con l’uomo.
Tu puoi conoscere bene il perché delle tue paure e delle tue dipendenze, puoi darti lo ‘zuccherino’ davanti a un ascensore e una piccola scossa elettrica ogni volta che prendi una sigaretta in mano, ma difficilmente otterrai un risultato. A questo punto meglio un’abbuffata: fuma una decina di sigarette una dietro l’altra...
Esercizio di riconversione delle emozioni
(da negative a positive)
(da negative a positive)
· Pensa a una tua credenza limitante o demotivante che t’impedisce di raggiungere il tuo obiettivo (non so parlare in pubblico…). Fa’ un fermo-immagine del tuo film mentale e visualizza un’immagine di quella credenza limitante. Estraine le submodalità visive, auditive e cinestesiche, cercando di sentire dentro di te tutte queste sensazioni di disagio e sconforto.
· Pensa ora a una credenza potenziante, che ti motivi davvero e che t’infonde energia e sicurezza (voglio avere solo applausi!): fa’ anche qui un fermo-immagine ed estrai le submodalità.
· Sostituisci ora le submodalità della credenza potenziante a quelle della credenza limitante, ossia ‘copia’ le sensazioni della prima e ‘incollale’ sulla seconda. Fa’ girare tutte queste sensazioni dentro di te, fatti ‘invadere’ da esse…
Torna ora a pensare alla credenza limitante: ti apparirà del tutto indifferente (non sentirai più alcuna sensazione di disturbo dentro di te). Visualizzati ora nel modo migliore in cui vorresti essere: vivi nel tuo film la vita che vuoi…
· Abbandonati alla fantasia, alle immagini, ai suoni…
Visualizzati mentre, come in un videoclip, cavalchi la tua cabrio nera, bordeggiando una spiaggia senza fine: tu occhi ardenti, lei capelli al vento…
E poi di', con intensità: questo è il giorno, sì, ora…
· Visualizzati poi nella tua condizione attuale… mettila fuori fuoco, fa’ sì che le immagini siano sempre più sfocate e… a passi veloci entra nel film a colori della tua vita desiderata. Corri, corri… finché raggiungi la cabrio nera. E ci entri dentro… E non sei solo! Ora sei un altro!
Fa’ tutto con emozione, illuminando e colorando il tuo film, ingigantendo i particolari e soffermandoti sulle situazioni positive. Ossia, lavorando sulle submodalità dei sistemi rappresentazionali (visivo: luminosità, colore, grandezza; uditivo: velocità, tono, timbro; cinestesico: peso, forma, intensità…). Ormai sai bene che, ogniqualvolta sei in presenza di una memoria intrusiva o di una situazione fobica (un balcone, se soffri di acrofobia, oppure una piazza vuota – agorafobia – o un ascensore, una gallina… c’è chi ne ha paura), si riattiva il percorso neurale attivatosi la prima volta che ti sei trovato in quella situazione per te traumatica. E sai anche bene che per smorzare le sensazioni fisiche devi lavorare su come ti rappresenti mentalmente la situazione ‘fobica’. A tal proposito, una dritta: come per acquietarti fai l’occhiello pollice-indice con la mano destra, per lavorare sulle submodalità (avvicinare le immagini, aumentare la luminosità o i suoni) usa il ‘telecomando’. Fa’ così:
· passa, strisciando, il pollice sinistro sotto il pollice, l’indice, il medio, l’anulare e il mignolo destro quando vuoi ‘aumentare’; al contrario (l’indice sinistro che tocca il mignolo destro, poi, strisciando, di seguito, anulare, medio, indice) quando vuoi ‘diminuire’.
Fa’ questa ‘strisciata’ mentre visualizzi una situazione con un crescendo di emotività. Poi, per ‘fissarla’ in modo ‘energico’, fa’ il click sinistro (pollice stretto tra indice e medio). Dopo un po’ di prove vedrai che il ‘telecomando’ comincerà a funzionare… Variando d’intensità le modalità percettive, ossia ‘sfumando’ o intensificando i suoni, i colori, le sensazioni… cioè agendo sulle ‘submodalità’ come se usassi il telecomando della televisione, potrai modificare i tuoi stati d’animo, quindi gestire le emozioni.
INCONTRO AL BUIO
È tardi, la macchina è in panne, ma la casa di Gioia è vicina, in pieno centro.
Me la faccio a piedi. Me la sbatto di SUV e gipponi – ma indulgo con le cabrio, rigorosamente nere. Del resto, per dirla con la Verasani di Quo vadis, baby? “… dove ci sono le Range Rover non può esserci una gran sete di conoscenza.”
Il vento fischia sulla pelle. Gocce di pioggia m’imperlano il viso: il nevischio liquefatto dal fuoco interno mi avvampa. Allungo il passo. È la mia prima volta e non posso tardare. L’atmosfera è da romanzo giallo. Tinta di noir. V’intingo la penna dei miei pensieri – quelli dopo l’ultima chat – e riscrivo mentalmente le ultime parole di Gioia: “Ti aspetto a mezzanotte, l’ora giusta per passare dalle parole ai fatti.”
Uno schizzo da una pozzanghera, un clacson, due voci che battibeccano. Crudo il ritorno alla realtà. Il portico mi inghiotte pietoso, la luna si piega, s’incurva maliziosamente – alla Totò –, cerca d’infilarsi nel passaggio coperto. Vi sbatte la testa (è luna piena), tenta d’illuminarmi, ma non ce n’è bisogno: sono tutto un fuoco.
“Stanotte allenerò le mie labbra a sorridere e dovrò quindi pensare a lavarmi fino alla morte i denti.” Un pensiero (a) folle alla Piero Ciampi mi assale. Sbando, complice un’altra pozzanghera, ingaggio una breve lotta con le mie fumisterie cerebrali, inciampo ma tiro dritto. Rimetto la mia mente a cuccia e proseguo. Niente facce, niente piedi, solo ombre. Notte d’ambra: una cocotte mi sussurra qualcosa, un transex traballa su tacchi follemente siliconati, ma io glisso su entrambi.
Scivolo a folle sull’impalpabile velo del pavé, spio tutt’intorno: sono di nuovo solo, tutto il resto è noia. Pioviggina, sono disarmato: un altro portico mi accoglie prodigo nel suo seno, ma io lo titillo solamente. Sarà per la prossima volta.
Un quarto a mezzanotte. La città è tutta colorata di buio e di fari arancio – ne sento la fragranza. Nient’altro, solo l’aria della notte e l’odore del fumo. E le stelle. Spremo il parapioggia, sotto i portici non serve, tiro su il bavero – l’immancabile giubbotto para… di pelle nera alla Lou Reed – e sfilo via accanto a visi senza faccia.
Asfalto bagnato. Fischia il vento – e mi gorgoglia il ventre: sono a digiuno. La città mi scivola accanto, sopra, sotto… Ma sento qualcosa d’incombente: c’è qualcosa nell’aria. Lascio il Fight Club dei sogni, allungo ancora il passo, scavalcando il tempo, dondolo ondeggio sbando scivolo. Suoni sincopati e barriti alla Miles Davis mi inseguono, sbucati da chissà dove: mi sento come un ‘miles gloriosus’ nella giungla urbana. Ma sono solo un tassello nel suo patchwork di stoffe e colori, nella jam-session di suoni, parole, fiati, sussurri, bisbigli.
Tutto il mondo dorme. Respiro a plesso solare aperto, mi ricarico guardando la luna piena e mi disintossico inspirando la polvere delle stelle. “Mugola in lontananza un aspirapolvere.”
Tre minuti a mezzanotte. Sono in orario. Sbatto contro un tipo. Il ganzo – virante al gonzo – mi guarda, caracolla, scocca la saetta: stecca, il dardo cade afflosciato. Lo guardo, senza riguardo, lo fulmino. Getta la spugna. Si allontana frettolosamente, quasi inciampa su se stesso, sfuma nelle tenebre.
Mezzanotte. Spremo il citofono (notte da arancia meccanica?). Non ce n’è bisogno, lei è dietro al portone. Me lo apre, con circospetta levità, quasi fosse uno scrigno segreto. Tattoo senza tabù. Le nostre labbra s’incrociano, s’incollano, rimarginano ogni vuoto. Atmosfera da Cantico dei Cantici: Le tue labbra somigliano a un filo scarlatto, la tua bocca è graziosa; le tue gote, dietro il tuo velo, sono come un pezzo di melagrana.
Entro. Non c’è bisogno di parola d’ordine. In ogni caso, la conosco: Doppio specchio – ma è tanto per giocare. Ma non è sempre un gioco…
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