domenica 12 agosto 2012

DAS WORT – Le parole sono pietre


DAS WORT



Le parole sono pietre – anche pane (P 3)








Siamo alle soglie del Ferragosto, il caldo alla Nerone impera, le spiagge sciabordanti strabordano di sciami umani (e non) e voi siete qui pronti a leggere con entusiasmo il mio blog – e i miei libri…
Attacco di “presunzionite” fulminante, dovuto al sole agostano (o agostino: nel senso di Ama e fa’ ciò che vuoi!”), direte voi.
No, sono prove di trasmissione – di concetti “ipnotici”, come il cosiddetto “yes set”: dite tre frasi scontate e comprovabili – in questo caso …Ferragosto, caldo… spiagge… – che il vostro interlocutore incamererà con un sì mentale e la successiva, anche se non comprovata (pronti a leggere con entusiasmo), riceverà lo stesso entusiastico cenno positivo dalla vostra mente (e dal vostro cuore).
Bene, fatto l’esperimento (riuscito) mi sono talmente scaricato che, per inerzia, non riuscendo a produrre something new, vi rifilo una mia perla d’antan.
Era giovedì 10 febbraio 2011 e pioveva (forse) – se non altro un diluvio di parole dilavanti, lapidarie, dilapidate ma non depilate, né pilatesche (semmai un po’ pirate, alla Iglesias, meglio: alla Johnny Depp di Chocolat – me lo immagino su una spiaggia nostrana con l’ancora prosperosa, ben poco prospera, Italia tra le braccia).
Vi rifilo la perla, ma non gettatela ai porci!
By the way, oltre che un excerptum di Gocce di pioggia a Jericoacoara, ottime in ogni stagione, c’è un cenno, all’epoca calzante, al Berluska.
Ora, in questo post P3, kalza un po’ meno, ma, in ogni caso, lisca in più lisca in meno, i pesci ci sono sempre (e abboccano), anche se la rete è sfilacciata, l’acqua è bassa e l’Italia non galleggia (me c’è sempre speranza: l’Italia non è un’isola…).
A voi il post old style.

All’inizio del libro della Genesi vien detto che Dio creò ogni cosa con la parola. Ossia, diede ordine al caos iniziale; o se si vuole, riempì di senso il vuoto.
La parola ha quindi, in origine, un valore creativo, formativo, diciamo pure ‘magico’.
Magia, nel senso di “far accadere le cose”. Parola ‘divina’, e non solo: anche umana (ma col ‘dio-dentro’: l’entusiasmo). 
Anche Adamo ‘nominò’ gli animali, dette cioè loro un nome: in un certo senso, li ‘creò’, ebbe potere su di loro (che poi di questo suo ‘potere’ – come anche sulla natura in genere – abbia abusato, dimenticando che suo dovere era quello di custodire il giardino, è un’altra storia…).
Questa riflessione è fondamentale: “in momenti di grande disperazione, quando le cose tendono a perdere tutto il loro peso e ogni significato si fa oscuro” (Heidegger). 
Ed è quel che accade oggi: si fanno ‘cadere’ le cose, non ‘accadere’. 
Tutto ormai ci casca addosso, come se fosse verità sacrosanta: ma con-fondendo il reale con il falso …più ‘sola’ che tarocco non si può. Le tre ‘violazioni’ del Metamodello linguistico – la cancellazione, la generalizzazione, la distorsione – la fanno da padrone su giornali e tivvù.
È vero, il ‘fake’ (la bufala), c’è sempre stato, spesso anche con effetti benefici (basti pensare all’uso della ‘distorsione’ e del ‘grotesque’ – dall’Arcimboldo a Modigliani, per non dire Dita von Teese – nell’arte e paraggi), ma mai, o quasi, a questi livelli o profondità (altitudines satanae, avrebbe detto san Paolo) di ‘ridicolo’ e ‘parafernalia’ varie.
Basti pensare a quel simpaticone del premier, quel gran trickster di boutade, che avrebbe telefonato alla questura per salvaguardare le patrie magnifiche sorti e progressive (ma c’è veramente qualcuno che, nell’intimo, ci crede, sia pur pidiellino sfegatato? Impossibile! Sì, anch’io uso il ‘metamodello…). 

Sarebbe bastato giustificarsi dicendo che l'aveva fatto perché era 'partito' per la bella marocchina... ed era stato preso da un raptus di amour fou (altro che la mubaraccata d'egitto!). Rimbambito da coup de foudre il premier, rincitrulliti da coup de tête noi.
Potenza del ‘rimbolsimento’ rimboldimento/rimbondimento generale causato dalla tivvù dell’attimino, del non c’è campo, dell’’amò’, un abbraccio e pinzillacchere cantando.
Dai, Suzie Q., say that you will be true and never leave me blue...
Susanna e i vecchioni… Solo che ora le Susanne sono una legione (Ruby, Iris – di fiore in fiore…) e i vecchioni non più i d’Annunzio di una volta. Non c'è più religione (neanche i 'legionari'). 
E il Sessantotto? Le sue colpe ce l’ha? Certo (e di lì per almeno un ventennio se non ‘battevi’ a sinistra erano guai), ma almeno c’erano Deleuze. Laing, Marcuse, pure Evola…
E vola vola vola lu cardille. Ora c’è rimasto solo il ‘briffare’ e il ‘bungare’.  Anche il bingo (e molti bingo-bongo). Questo è – ovviamente, non generalizzo, ma neanche cancello e distorco – quello che ci vogliono propinare i ‘legionari’ (nel senso di Gurdjieff, di R. D. Laing e dei Vangeli: mi riferisco alla 'legione' di  demòni che finì nello stagno – e noi rischiamo di essere 'irregimentati' come loro...) dell’informazione ‘deformata’. Ma la maggioranza è su ben altri oceani, diciamo pure su ben altre vette. 
Non siamo all’ultima Thule (o forse sì, boh…).
Torniamo all’uso creativo della parola. Diciamolo con filosofia (anche quella del boudoir – ora c’è solo il “piano di sotto”, la sala del bunga-bunga): all’incontro effimero e sotterraneo promosso dal “mordi e fuggi” attuale (che può avere un senso di tanto in tanto, ma poi ci rende tutti tamarri, o ramarri) è da sostituirsi l’incontro e corrispondenza autentici, lì dove domanda e risposta sono in un rapporto armonico, in accordo, sintonia, empatia.
Con la sintonia dell’anima è possibile afferrare e riecheggiare le vibrazioni della verità: solo così riusciamo ad ascoltare la voce dell’essere. Ma vanno bene pure le dissonanze alla Cage o alla Stockhausen, purché producano vibrazioni di alta energia, non quella bassa – per così dire, ahrimanica – che si cerca di ‘afferrare’ nei bunga-bunga parties (anche quando non sono finalizzati all’appagamento effimero, ma, come talvolta accade per i presunti seguaci di Kremmer, dell’OTO, crowleyani e affini, indirizzati all'acquisizione del potere magico).
Fatta questa premessa (ma c’è tutto un prologo nei post precedenti), a partire da ora, dopo un’ouverture iniziale, nei successivi post parlerò dell’uso ‘preciso’ e ‘vago’ del linguaggio, ma sempre in senso ‘funzionale’ (Metamodello e Milton model), oltre che delle capacità ‘magiche’ della parola e delle sua attitudini performative.
Il tutto finalizzato al miglioramento personale, alla trasformazione profonda, alla peak performance, all’esperienza delle vette. All’Ultima Thule, insomma… E visto che siamo nell’era della velocità (ma il lento pede si avvicina…), cercando di ottenere il massimo risultato col minimo sforzo. Less is more…
Dai, sono buono: vi ‘briffo’ qualcosa già da adesso sul potere della parola (anche the dark side of the moon):

Dalla tonda alla quadra, fino alla parentesi graffa. Dopo la sua morte iniziatica e la rinascita, Galatea, la ex graffitara sempre graffiante (e tonda ai posti giusti, quadrata nella mente, amante del triangolo), dovette affrontare un cammino labirintico, in cui fece esperienza di qualunque cosa. Imparò a far accadere ciò che voleva, a incontrare ciò di cui aveva bisogno, a sconvolgere le situazioni, a trasformare il negativo in positivo, il Male in Bene, il Bene in Male. Volontà e intenzione per controllare, dirigere e ‘fare’. Theta, thetan, thelema…
“Tutto è possibile”: il Landmark Forum (l’ex EST di Werner Erhard, il superguru-coach – anche l’IBM vi aveva  mandato dei suoi dipendenti), da lei frequentato quel po’ che le bastava, l’aveva orientata, consolidando il suo senso di felicità, onnipotenza e ‘benessere diffuso’. Dissodandola da sassi e pietre d’inciampo: sofferenza, malattia, povertà, non erano autentiche, erano una scelta… E lei aveva scelto di ‘vivere’. Alla grande. Da Dio (da Dea).
E poi, la capacità di galvanizzare il ‘cuore’ della conoscenza e dell’esistenza – ossia arrivare alla vera realizzazione del Sé – attraverso la ‘risorgenza atavica’, una sorta di nuova nascita misterica. In alternativa (Galatea era poli-tecnica), la ‘sostituzione delle anime’ mediante la ‘magia avatarica’ (una rinascita del Kremmerz dei suoi primi passi iniziatici). Oppure, la ‘separazione’ dell’elemento ‘solare’  dagli elementi ‘spuri’ – fisico, mentale, astrale – per ‘costruire’, all’interno del corpo ‘ilico’ (quello della massa dei ‘bipedi’ – così li chiamava), il ‘corpo di gloria’, immortale e glorioso sin dai suoi primi passi. Ma era roba solo per clienti ‘speciali’ (un life-coaching a margine, borderline).
Arcana arcanorum, secreta secretorum, amalgami alchemici e filosofali. Tra amrite e coobazioni, Iside aveva fatto l’uovo (osirideo). E di avatar in avatar – mentre il serpente continuava a strisciare… – Galatea insegnava il controllo dell’energia subconscia, quella latente nel ‘deposito’ ancestrale, da ‘riattivare’ e canalizzare a fini creativi: perché solo se il desiderio è subconscio può essere realizzato… In questo c’era lo zampino, o l’unghiata, graffiante, di Slavinski (ma talvolta Galatea, la para…bip, si paracadutava su Paracelso, un classico, da non buttare, per il quale bastava la ferma convinzione psicologica perché scattasse il ‘fiat’).
Fatti e misfatti. Verba volant (et volunt). Sì, il linguaggio che si fa parola, la parola che si fa atto: “nessuna cosa è dove la parola manca” – questo uno dei motti preferiti di Galatea (soffiato a Heidegger, ma da lui stillato, con ‘cura’, da ‘Das Wort’, poesia di Stefan George – lingua vergine, ‘virgo mater’ del sacro cerchio). La parola che ‘nomina’ le cose, le contrassegna, le crea. “Basta la parola…”
Parola coessenziale all’azione. Parola in movimento, in divenire, in estasi. ‘Versi intessuti’, ‘carmi circolari’, parola in cammino. Parola ‘attiva’. Più che ‘parola’, ‘verbo’, azione che si attende una re-azione. Action now. Parola ‘dinamica’, scoppiettante. Parola che grida quando più tace. Parola che canta, sussurra, piange. Nella parola balugina la spiritualità dell’anima. E questa si fa corpo. Per accoppiarsi e poi scoppiare. È la parola che dà sostanza, essere, alla ‘res’. Logos lex: la parola è legge. Logos rex: la parola è re, anzi ‘regina’, e di questo ‘logos’ Galatea era diventata padrona.
Madre matrona. Eppur figlia (dei fiori). ‘Fiore nero’, alla Stefan George, versus ‘fiore azzurro’, alla Novalis. Nondimeno, romantica, la dark lady, sensibile alla musica. T(ar)occata dall’effetto Mozart, il suo Q. I. e le sue capacità linguistiche avevano fatto do-re-mi-fa-sol. Galatea, la para-Q, ‘suonava’ le parole, le sviolinava, arpeggiava, flautava (anche suoni di tromba). Le ‘resettava’. E non sarebbe stata sempre da sola sul set. Per il momento solo un monologo, ma prima o poi lei, Miss Babalon, avrebbe duettato con Sir Set, la sua controparte maschile (Tomás, un macho coi fiocchi, tutto occhi e balocchi).
Fa-sol-la-si… Snocciolava o diluviava, ma talvolta maneggiava la parola con cura, la distillava – “non gettava le perle ai porci”. Se però il caso lo richiedeva, la usava come una spada a due tagli e trafiggeva. E come penetrava! D’altronde, nel suo cerchio, per quanto non si andasse tanto per il sottile, non amavano più di tanto i sacrifici umani (sì, questi erano una prova di ‘fedeltà’ e, soprattutto, fede – e poi il sangue ‘rimpolpava’ gli adepti. Ma, essendo loro – quelli del ‘cerchio’ – più ‘gnostici’, li lasciavano fare a quei diavolacci di satanisti rockettari, o agli ahrimanici – così chiamavano i satanisti ‘nudi e crudi’: loro, quelli del ‘sacro kreis’, erano più colti, più snob …’luciferini’). Comunque, quando ci voleva ci voleva! E se fosse stato necessario, Galatea era pronta a tutto. Il gioco valeva la candela.
(da Gocce di pioggia a Jericoacoara)

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