DIAPASON
Un colpo al cerchio (Renzi), un colpo
alla Boschi
Inutile calcare la mano: il calcare non si stacca se non c’è il prodotto
(bancario) adatto.
Che poi il calcare diventi calcarenite, gesso, sabbia, tutto questo è dietrologia (in tutti i sensi, compresi
quelli fisici).
Quanto alla oggi-logia (tra logge e loggioni), non si fa che parlare di ‘derivati’ (anche il burro e la
vaselina sono ‘derivati’) o di ‘deriva’ fascista e populista (i pour-parler in questo sono maestri nel parlarsi
addosso – o nel catarsi addosso, in
quel loro pro-cesso catartico che non finisce mai di srotolarsi e sciogliersi).
Insomma, dalla rive droite e rive gauche all’odierna
deriva parolaia: ma non è solo aria fritta, ci sono anche i frutti guasti, i fatti
e i misfatti – il velo d’Iside offusca ormai la realtà del mondo globale e locale: il burka (mentale e spirituale) è ormai dovunque, sopra al colto e all’inclita.
Insomma, ora non si parla d’altro: banche, Isis (prima almeno c’erano gli
Oasis), Le Pen, Renzi, Boschi. Tuttifrutti.
Parole parole parole… E i fatti? Sì, qualche volta ci sono: moltissima
gente vuole dire la sua, e a buon diritto e forse con ottimi risultati (specie
i giovani), ma sembra mancare un’Idea – ci resta solo l’Ikea.
Come
tanti altri anch'io ero diventato schiavo della tendenza al nido Ikea. Se
vedevo qualcosa di ingegnoso, come un tavolinetto a forma di Yin Yang dovevo
averlo... sfogliavo quei cataloghi e mi chiedevo quale salotto mi caratterizza
di più come persona (…)
Con
l’insonnia nulla è reale. Tutto è lontano. Tutto è una copia di una copia di
una copia (…) È solo dopo aver perso tutto che siamo liberi di fare qualsiasi
cosa.
(da
Fight Club).
Che dire… in questo periodo insonne
(ma sembra che il ‘sonno’ dilaghi) nulla è reale, tutto è immagine: ma non nel
senso di in me magus
agit, ma in quello di tutto distorto, distratto, velato.
Usciamo dal nostro orticello, dalla nostra ‘comfort zone’! Sleghiamoci la
testa e perdiamo tutte le nostre certezze: è solo dopo aver perso
tutto che saremo liberi di fare qualsiasi cosa.
È
ora di andare al di là del velo: fermiamoci un attimo e ascoltiamo il nostro Dio. Caliamoci dentro di noi, recuperiamo la nostra essenza e guardiamo in
faccia la realtà: tutto è parola.
Chi sa parlare meglio governa il
mondo. E allora impara anche tu a parlare!
A propositi di parole, ecco un breve stralcio da un mio romanzo alla Fight Club.
Diapason, flauto, arpa, siringa… Ago che inietta vita: senza strumenti musica nuda la parola
produce.
Fatti e
misfatti. Verba volant (et volunt). Sì, il linguaggio che si fa parola, la
parola che si fa atto: “nessuna cosa è dove la parola manca” – questo
uno dei miei motti preferiti (soffiato a Heidegger, ma da lui stillato, con
‘cura’, da ‘Das Wort’, poesia di Stefan George – lingua vergine, ‘virgo mater’
del sacro cerchio). La parola che ‘nomina’ le cose, le contrassegna, le crea.
“Basta la parola…”
Parola coessenziale all’azione. Parola in movimento, in divenire, in
estasi. ‘Versi intessuti’, ‘carmi circolari’, parola in cammino. Parola ‘attiva’.
Più che ‘parola’, ‘verbo’, azione che
si attende una re-azione.
Action
now. Parola ‘dinamica’,
scoppiettante. Parola che grida quando più tace. Parola che canta, sussurra,
piange. Nella parola balugina la spiritualità dell’anima. E questa si fa corpo.
Per accoppiarsi e poi scoppiare. È la
parola che dà sostanza, essere, alla ‘res’. Logos lex: la parola è legge. Logos
rex: la parola è re, anzi ‘regina’, e di questo ‘logos’ sono schiavo, servo
della Parola.
‘Suona’ la parola la malvestita realtà… Parolibere ancheggianti, ossimori
frenati o rutilanti, specchi autoriflettentesi, un po’ narcisi un po’ Eco. Un romanzo-carillon il mio – i
fatti come lame rotanti, i pensieri come trottole vorticose, e in cima a
ciascuna di esse le parole come dervisci tournants
sulla capocchia di uno spillo.
Verba
volant (come stringhe cosmiche), scripta manent (come quark plutonici).
Macchie uraniche d’inchiostro sotto
vetro (il display del computer), esprit
irenico, platonico, ironico, forse iranico (Zarathustra?). Particelle
elementari, staccatesi
da un magma incandescente e filanti senza direzione e senso. Pensieri e parole coagulatesi in stringhe
cosmiche (anche comiche), corde vibranti del mio pluriverso (canone inverso): stringhe aperte sull’universo per connettere le estremità di
pensieri a folle, stringhe chiuse sull’introverso
per accalappiare idee occhieggianti dall’ultramondo (il mio castello interiore,
l’empireo, la Sophia divina, la Scienza gaia?). Io: the fool on the hill.
Thriller… Con quanti denti le parole mi
mordevano! Ma ciò che
più incidevano nel romanzo erano i silenzi: “sguardi
senza patria quaggiù, silenzi più remoti dell’uranico vento…” Nondimeno,
erano le parole a de-cidere, ad agire, a in-cidere sui miei sentimenti. Sono loro – verba,
logoi, loghia, rhemata – a configurare e a dare espressione alla mia necessità interiore (in attesa di trasfigurarla, di trovare la mia
‘dimensione’, la mia necessità più alta –
insomma, diventare ciò che sono).
Vir bonus dicendi peritus? Più che altro, sono un malato – quasi allo stadio terminale –
di parole, specie di quelle fatte di silenzio (quanto al bonus ne avrei fatto volentieri a meno. Non voglio sconti,
figuriamoci regali…).
Parole silenti. (“Chi parla non conosce. Chi conosce non parla.” È il Tao te Ching a dirlo).
Parole silenti. (“Chi parla non conosce. Chi conosce non parla.” È il Tao te Ching a dirlo).
Dal sottile rumore di
silenzio al rombo del tuono (il ‘ruggito’ della scrittura – e poi, come
graffia…): come Ildegarda la mistica, sapevo scrutare le viscere della memoria
e il ventre dell’universo. E col forcipe
dello spirito avevo reciso le sbarre dell’anima.
Il terribile era avvenuto.
Il terribile era avvenuto.
(da Nietzsche:
sneakers o tacchi a spillo? Inedito).
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