lunedì 22 novembre 2021

IL SEGRETO E L’IGNOTO

IL SEGRETO E L’IGNOTO

 Il getto d’acqua tiepida cominciò a distribuirsi generosamente ed equamente su dossi e curve. Scivolò, quindi, fin nelle cunette, non disdegnando le superfici piane (poche) e le valli fiorite. Toccò poi il fondo rugoso, deviando all’improvviso verso l’omphalos, per scomparire infine negli abissi. Acqua a fiotti, frettolosa, per masse fluttuanti. Acqua nei fiordi. Per Fiordaliso.

     Le pareti translucide, sia pur riottose, non poterono evitare il contatto bagnato che ne imperlava la superficie interna. E lo scontato scontro con le masse oscillanti. Anzi, queste parevano godere della situazione. E per ricambiare la cortesia, furono ben liete di fornire un esile ma volenteroso sostegno ai volumi dinamizzati. Diritti, flessi, combacianti, intricati. Il segreto e l’ignoto. Spazzolati. Cento colpi. Uno più, uno meno. Corpi scolpiti. Ben torniti. Vincolati, slegati, vincenti. Persi, costretti nel piccolo ambito, ma incuranti del contorno. Vibranti oltre i limiti di sicurezza (e della decenza). Bastevoli a se stessi, ma in procinto di tracimare.

     Silenzio prima di uscire, silenzio prima di entrare. In mezzo, una cascata di suoni. Il contatto delle masse e delle superfici, il fluire e il rifluire dell’acqua corrente, il perlage, l’aria vintage, il parlottio sincopato, quasi dopato. Forse metalinguistico. Tutto parlava. Tutto taceva nell’infittirsi dei suoni. E dei movimenti. Iniziali, al climax, finali. E al calare del sipario, ecco subentrare l’uscita trionfante dalla cabina della doccia e l’ingresso sottotono negli accappatoi impazienti…

 

     Es un sentimiento nuevo che mi tiene alta la vita la passione nella gola l’eros che si fa parola…

     Fu solo un accenno di giro di lancette nell’orologio di quelle giornata non banale, eppure il ricordo di quei dieci minuti subissò le ore seguenti (con Battiato che continuava a battere nella sua mente. Ah, Sgalambro Sgalambro…). Poesia metafisica sotto la pioggia. Ma poi svanì come nebbia al sole. Vanità delle vanità. Tutto è vanità. Strano, non ricordava nulla dei particolari, solo i tratti generali della scena, a flash, per di più confusi e sovrapposti.

     Lei: sempre lei, irripetibile. Ma Julim, no: solo alcuni tratti erano i suoi, i restanti (anche fisiognomici) quelli del Tomás ante-party. E specialmente quelli di Lorenzo (anche a livello di sensazioni sotto e a fior di pelle): loro due a vent’anni (in media) nella villa dei suoi a Capalbio; a quarant’anni (sempre in media) nel residence a Pugnochiuso.

     Lui, Lorenzo, tornato prepotentemente alla ribalta dopo la forzata quarantena nel limbo emotivo e passionale di Arianna. Lorenzo, la grande passione, lui che era riuscito a dominare il suo caos danzante facendola diventare una stella. Dal caos la stella danzante… Stella fissa, non cometa fuggitiva. E sfuggente. Fuga a mezzanotte (fuitine a mezzogiorno). Luna pronta a farsi sole e a non specchiarsi unicamente nel mare notturno della vita. Pronta, tuttavia, a tornare luna, pur di riscaldare il cuore degli amanti.

     Lorenzo, “Il solo che si salvi, in mezzo a tutta questa volgarità.” Qui le parole dell’ineffabile Anna K. Valerio sarebbero calzate a pennello (ed era, d’altronde, lampante che Arianna con-fondeva il reale – Lorenzo – con il virtuale, Julim). “…l’unico che mantenga il potere di turbare, di meravigliare, di illuminare, è lo ‘zòon erotikòn’: l’animale erotico, che va estratto con procedimento quasi alchemico dall’uomo della mercatura. Come una seduzione irresistibile ci viene incontro, unica espressione di gentilità di sapore arcaico, la sola forma umana capace di comunicare un sapore.”

     E Lorenzo, quando era in vena, sapeva comunicare. La sua era una vena filosofica, artistica, poetica. Un’arteria, un’autostrada (pure molto trafficata: ultimamente si era dato anche alla scrittura creativa. E senza il mentoring di Baricco. Aveva trovato qualcosa nell’area ONC radicale. Nessun insegnamento di base: ma lui veniva dal ’68 e negli anni ’70 aveva pasteggiato a pan di Tafuri, Heidegger e Lacan. E questo bastava).

     Lui e lei, entrambi affascinati dalla libertà, cercatori della felicità, dell’eudaimonia (ma non dell’happy end all’americana), al di là della morale degli schiavi (la ‘moralina’, così diceva Lorenzo, filologicamente imbeccato da qualche blogger). Indirizzati – turisti per caso? No, per volontà (ma col casco) – verso l’arte e la bellezza, loro veneratori. E ora, fuori vena.

     “Voi, che cercate quanto vi è di più alto e perfetto, nella profondità della sapienza, nel tumulto dell’azione, nel buio del passato, nel labirinto del futuro, nelle tombe e al di sopra delle stelle! Conoscete il suo nome? Il nome di ciò che è uno e tutto? Il suo nome è bellezza.” Sì, la bellezza mai morrà. Dio è bello. Impossibile? Forse, ma solo se decidi di rifiutarlo. Se lo metti nella spazzatura e ti siedi rabbiosamente sul coperchio. Invece, se non Lo cerchi, se addirittura lo neghi (o gli affibbi la ‘minuscola’), o se vai come un pazzo e invasato – dionisiaco o, montanista, come Maximilla e Priscilla, vestali pentecostali ante litteram – alla Sua ricerca, Lui si farà trovare. Lui è Verbo, Spirito e Potere! T’inseguirà, ti verrà incontro (anche alle spalle), forse ti farà lo sgambetto… Comunque, Dio rovescia i coperchi!

 Tratto da Gocce di pioggia a Jericoacoara.

 


 

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