venerdì 6 marzo 2009

LADY GAGA. Gags à gogo

A cuccia coach!

Quando l’allievo è pronto… il maestro appare.

Ma anche: quando vedi il maestro… uccidilo!

Puoi anche aver studiato tutto quello che vuoi, ma se non c’è il maestro’ (il coach ) che ti ‘spiega’, che ti ‘illumina’, che porta la luce nelle tue ‘stanze segrete’, piene di tesori, che tu non hai mai esplorato (il fondo dell’anima, il tuo spirito, la tua essenza), allora il tuo cammino sarà solo un triste vagabondaggio. E sei alle porte di Gerusalemme!

Ma una volta che il maestro ha estratto dalla tua 'ostrica’ (ma anche dalla tua ‘cozza’…) la ‘perla’ nascosta, allora, nel momento in cui tu lo riconoscerai, il maestro scomparirà dalla tua vista.

Devi continuare da solo il tuo percorso! È quel che insegna anche la PNL, e prima di ‘lei’ ogni vero insegnamento Tradizionale e spirituale (non ultimo il cristianesimo primitivo, quello dei mistici di ogni tempo, quello degli ‘illuminati’ – non ‘massonici’… – cristiani, e non solo: basti pensare ai sufi).

Per farti comprendere bene il messaggio ti do due perle, la prima tratta (forse rielaborata: la cito a memoria) da un vangelo apocrifo, la seconda un mix di due miei brevi studi biblici sul racconto dei "discepoli sulla via di Emmaus" (Lc 24,13-35).


È un pomeriggio primaverile. Gesù, un Cristo quanto mai umano, casual, in libera uscita, bighellona tra alberi e arbusti, canticchiando, scherzando, ridendo… Gesù aspira, ‘vive’ gli aromi del bosco, s’immerge nei suoi suoni, sottili, sincopati, vibranti… Sfiora gli alberi, sembra voglia abbracciarli… ma ecco che – sembra quasi una radiocronaca – passa vicino alla carcassa putrefatta di un cane (e i discepoli che sono con lui si sbracciano disperatamente, in ogni modo, per distrarlo e tenerlo lontano dal marcio, commentando tra loro con malcelato disgusto).

Il Maestro, il magis fatto minus, rallenta, fa tre passi indietro, si avvicina alla carogna, l’accarezza, sorride, la guarda teneramente, con amore. E chinatosi, sussurra: “le perle non sono più bianche dei suoi denti…


Dal ‘pensiero positivo’ di Gesù (per Lui il bicchiere pur vuoto era sempre pieno…) alla autoconsapevolezza (e poi, efficienza e, soprattutto, efficacia), del discepolo del vero maestro:


“Dio è morto. La croce ha ucciso la speranza dei discepoli. I primi cristiani sono morti. E non avevano fatto neanche i primi passi…

Facciamo anche noi qualche passo insieme ai due discepoli sulla via di Emmaus. Uno ha un nome (Cleopa), l’altro è anonimo: c’è sempre chi ha un nome, è ‘nominato’, e chi vive ai margini, nell’ombra. Giovani nella fede, i due non hanno esperienza, non sono ‘usciti’ dalla ‘morte’ (ex-perire): la loro (più che altro, un ‘sonno’) e quella di Gesù (reale). Non si sono risvegliati.

Dio è assente, perché parlano tra di loro, ma non con Dio.

Dio, in Cristo, è presente ma sembra assente. Assente, perché, non solo il popolo, ma i suoi discepoli non l’hanno veramente sperimentato. L’esperienza normale è l’invisibilità dell’uomo all’uomo (R. D. Laing). Gesù, pur resosi visibile, è ‘invisibile’ ai due viandanti. Invisibile, non solo in quanto Dio, ma come uomo. L’esperienza, perché sia tale, deve diventare evidenza. E perché l’esperienza dell’altro sia evidente, dev’essere introiettata, o meglio ancora, deve nascere dal di dentro. La tua esperienza deve diventare la mia esperienza.

Ma experire è anche ‘rischiare. È azzardo, fede. Nondimeno, è Dio che infonde la fede… È lui il primo a muoversi. Ed è quello che fa Gesù con i due viandanti.

Gesù prende l’iniziativa e va loro incontro.

Gli uomini non lo (ri)conoscono ma Gesù li conosce. Essi non sono ‘presenti’ nella condizione di Gesù, ma egli è presente nella loro condizione di pellegrini. Ogni uomo, ogni donna, è una ‘sizigia’ corpo e anima in cerca dello spirito. Cleopa e il compagno sono la personificazione della disperazione e della sfiducia (di-sperati: lontani dalla speranza, dis-sperati: dubbiosi). Volendo ‘giocare’ (ma non è detto) con le parole (alla Heidegger), il compagno ‘anonimo’ simboleggia, in particolare, il ‘male oscuro’, senza ‘nome’ e apparente causa: la (quanto mai attuale) angoscia (angst). Tuttavia, la ‘notte oscura dell’anima’ è solo una tappa del cammino del cristiano: l’esperienza in cui Dio sembra essere lontano accade per la nostra crescita e maturazione.

L’incontro non è casuale. L’incontro tra Dio e l’uomo è sempre causale, sincronico, anche quando non appare tale. Basta andare ai momenti precedenti l’incontro reale e si troveranno tante coincidenze significative… Dio e l’uomo sono in rapporto ‘speculare’, ma non sempre lo ‘specchio’ è pulito. È Gesù, in ogni caso, a fare il primo passo. Anche quando pensiamo di essere noi… Gesù viene (nell’AT è appellativo di Dio). Dio si nasconde in Gesù, si nasconde a noi, ma poi si rivela, viene. Assente e presente, è sempre l’ente. Gesù stesso si avvicinò e cominciò a camminare con loro (v. 15).

Voce e parola sono i luoghi privilegiati dell’incontro. I due viandanti (‘pellegrini’), interrogati dallo sconosciuto, manifestano il motivo della loro tristezza e, invece di venire blanditi, sono aspramente rimproverati (Dio scuote l’anima affinché lo spirito si risvegli): la disperazione dev’essere completa affinché ci sia la creazione, la ‘nuova nascita’. L’uomo non deve trovare altro appiglio se non in Dio stesso. Il suo sapere deve tramutarsi in non conoscenza alla presenza di Dio, della Sophia divina. Dio è, anche, la ‘nube della non conoscenza’. (“E quindi, io ti consiglio: segui l’esperienza piuttosto che la conoscenza” – in supra), che tuttavia si fa ‘presente’ in Cristo, e in lui allontana ogni distanza dall’uomo. Dio è un ‘tu”, ossia una persona con cui è possibile interagire, come con qualunque altra persona.

La risurrezione rivela il senso delle Scritture. E così Gesù ‘rilesse’ loro tutte le Scritture, in particolare lì dove i profeti avevano predetto: “Non doveva il Cristo soffrire tutto ciò ed entrare nella sua gloria?” Ciò che sfugge a una prima lettura, superficiale, può colpire a una seconda lettura, più profonda. Anche se ce ne accorgiamo in seguito. Ma, soprattutto, è la presenza del Risorto a rivelarcene il significato. Nondimeno, biunivocamente, è la lettura della Bibbia che ci rivela il Cristo: Non sentivamo forse ardere il cuore dentro di noi mentre egli ci parlava per via e ci spiegava le Scritture? (v. 32). ’Sacramento’ della ‘parola’ e ‘presenza’ della ‘Parola’: affinché la conoscenza diventi ri-conoscimento (e riconoscenza) occorre l’interprete (Gesù).

Gesù s’insinua nei loro cuori. Egli fece come se volesse procedere (v. 28). Non era necessario che Gesù facesse finta di andarsene, ma così facendo suscita in loro il desiderio di continuare a stare insieme. Il loro cuore era ancorato al Dio morto, ma Gesù Lo risuscita nei cuori, che da freddi trasforma in ardenti. La memoria ri-corda, sintonizza la mente col cuore.

Non basta un’esperienza religiosa per diventare cristiani. Occorre un ‘rivolgimento’ interiore, un cambio di percorso, ma prima bisogna ‘fermarsi’. E trattenere Gesù, farlo dimorare con noi, in noi. Paolo dirà: “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me!” (Gal 2,20).

Riconobbero Gesù da come spezzava il pane. Fede e speranze erano rimaste sigillate nella tomba. C’era bisogno di un qualcosa che spezzasse l’’incantesimo’. Allora i loro occhi furono aperti (v. 31). Non fede cieca e sognante, ma comunione (lo spezzare il pane). Il semplice gesto con la mano di Gesù, come per Maddalena l’essere chiamata per nome (Gv 20,16), furono i ‘segni’ che lo resero ‘visibile’. La voce, la sua parola (la Bibbia); lo spezzare il pane, la comunione fraterna (e sorerna) – se vogliamo, il ‘sacramento’. Sola Scriptura, sì, ma anche comunione-comunicazione. Gli incontri col Risorto sono incontri ‘trasformanti’, diventano l’inizio di una nuova e definitiva conversione alla fede. Non si può vedere il Risorto senza credere in lui. Se consideriamo Gesù ‘morto’, la nostra fede in lui sarà solo esteriore; se ci viene incontro, se si manifesta come ‘vivente’ (il che dipende, essenzialmente da lui – Gv 15,16 – e, concordemente, dal Padre – Gv 6,44; ma noi abbiamo la nostra parte), all’evento-Gesù si accompagna l’’avvenimento’ conversione interiore.

Il racconto gioca, in definitiva, sullo scarto riconoscimento-presenza: Gesù, quando è presente, appare assente (non viene ri-conosciuto); allorquando, alla fine del cammino insieme, viene riconosciuto ridiventa assente (scompare). Sono due invisibilità diverse, ma la seconda ha un senso. Sullo sfondo, la profezia realizzata, perno della ‘teologia’ di Luca. Un cammino dialogante, in cui Cristo si fa presente (anche oggi) tra il suo popolo, mediante: – la trasformazione della memoria (da negativa in positiva); – la lettura ‘profetica’ delle Scritture (v. anche le varie teologie della ‘liberazione’ e della ‘speranza’); – infine, il ‘divezzamento’ (o l’ingresso nella ‘maturità spirituale’) dei discepoli all’atto dello spezzare del pane, il momento in cui Gesù scompare, lasciando loro il testimone. Dio è presente nella nostra libertà: la sua assenza dà spazio alla nostra presenza. Ma si tratta di una presenza trasformata, di una vita resa ‘autentica’.”


“Si può riunire solo ciò che è separato… Stabiliamo una morfologia del racconto de-strutturando le componenti, puntando essenzialmente su tempi, luoghi e funzioni dei ‘personaggi’. La ‘struttura’ del testo segue, significativamente (v. Richard Rohr, ma pure il Propp, nella “Morfologia della fiaba”), il tema del ‘rituale’ d’iniziazione (ma qui il processo è exoterico, più che esoterico), ovvero l’’ingresso ufficiale’ del ‘ragazzo’ nella comunità degli ‘adulti’, dopo il voluto ‘abbandono’ nella boscaglia da parte dei ‘genitori’. Qui ritroviamo tutti questi temi:

Separazione e partenza (v. 13): l’’abbandono’, il ‘distacco’ dalla ‘madre’ (fagocitante), ovvero da quella parte di ‘femminilità’ negativa che spinge al non sapere, non pensare, non analizzare, non spiegare… (in questo caso, i due discepoli disillusi che si allontanano, sia pur momentaneamente, dalla comunità). Parlavano tra loro: la ‘discesa nel profondo’, l’’elaborazione del lutto’. Lo stesso giorno: il processo di riflessione’ e l’eventuale ‘decisione’ spesso non ammettono dilazioni. Due di loro – sessanta stadi: al di là della ‘lettera’, la portata simbolica (il ‘due’ come corpo e anima, …manca lo spirito, oppure come ‘dubbio’ e ‘negatività in generale; il ‘sei’ come ‘umanità’ in cerca del ‘sette’: ‘riposo’, shalom, Cristo) arricchisce il contenuto semantico e interpretativo.

Il viaggio (vv. 14-27): la ‘discesa’, la ‘spirale’. Continua il ‘viaggio’ introspettivo dei due discepoli (dall’Io verso l’inconscio). Discorrevano: la parola umana che cerca un senso nella parola divina e un radicamento nella ‘Grande Storia’. Tristi: la ‘ferita’, il crollo delle certezze, l’’umiliazione rituale’: il ricordo dell’insuccesso, il riconoscimento della ‘ferita’, la ‘delusione’, e la loro reintegrazione in un orizzonte di senso, aiutano a ‘crescere’, a forgiare, fortificare. Si avvicinò: l’incontro. L’essere umano è smarrito, ma Dio viene a incontrarlo nel bel mezzo del suo errare. Viene come sempre a cercarlo all’interno delle sue stesse torsioni…" (‘Torna alla vita’, Simone Pacot). Gesù viene (ma nell’AT è appellativo di Dio!). Il Cristo rimane ‘velato’ per chi lo segue ma non è ‘nato di nuovo’, sia esso un suo seguace noto (Cleopa) o anonimo (l’altro ‘discepolo’). Noi speravamo: l’’oppositore’, la disillusione che si oppone all’evidenza (delle Scritture) e alla testimonianza oculare (della donna). “O insensati”: l’’uomo con la spada’ (la spada dello Spirito che taglia il ‘velo’, il ‘due’ che si fa ‘tre’: corpo, anima e spirito), la ‘lancia insanguinata’ (“Non doveva il Cristo soffrire…”).

L‘arrivo (v. 28 - 32): il ‘centro’. “… egli fece come se volesse procedere”. La tentazione, il gioco delle parti. “Essi lo trattennero”. La svolta, la ‘luce’ che fa fuggire l’’ombra’ (pur necessaria, specie per una ‘svolta’: è pericoloso trovarsi a un ‘trivio – sacro a Pan – a mezzogiorno, quando l’ombra diventa invisibile. Può scatenarsi un attacco di panico…), la necessità di ‘suturare’ la ferita con il ‘filo’ di Cristo e l’’olio’ dello Spirito. L’affetto vince sulla ragione, il ‘lato femminile’ reintegra quello ‘maschile’, lo spirito si ‘separa’ dall’anima e, solve et coagula, rinnova la comunione ‘paolina’ corpo-anima-spirito. “Allora i loro occhi furono aperti”: il Cristo ‘svelato’. Il Kairòs, il momento dell’’intrusione’, l’esperienza ‘cosmica’, ‘oceanica’, delle ‘vette’. Fine del solo Chronos, ingresso nella ‘soglia’ del nuovo Aion, epifania del Divino, del ganz andere. Unica nella sua eccezionalità (“ma egli scomparve”), ma densa di prospettive…

L’irradiazione (vv 33-35: “… tornarono a Gerusalemme). Dal ‘solo Io’ al ‘Noi siamo’ (attraverso l’’Io sono’). La trasformazione individuale porta dalla ‘Piccola Storia’ alla ‘Grande Storia’. La ‘voglia di vagabondaggio’, il ‘viaggio ai confini della notte’, fa travalicare il ‘recinto’ e, pur tra ‘sentieri’ (heideggeriani), porta alla ‘radura’ (per alcuni, al ‘porto delle nebbie’).

Dal caos interiore è nata la stella (anzi, la costellazione) danzante…

Dal punto di vista esegetico, la lettura è in chiave strutturalista, con inserti ermetico-simbolico-anagogici, che, ovviamente, non esauriscono ogni alternativa e ‘finestra’. Questo, perché la Bibbia è un libro ‘multilivello’, dai ‘settanta’ significati (“Una cosa Dio ha detto, due ne ho udite” – Sl 62,12). Esegesi che interpolano richiami ‘archetipici’, ‘mitologici’, ‘simbolici’, ‘ermetici’, oltre a quelli più chiaramente psicologici e filosofici, possono essere quanto mai utili a comprendere le ‘pieghe’ del testo. Qui si è seguito il processo di trans-formazione del racconto (il che non ne esclude la storicità), nel suo dispiegarsi di ‘fabula’ e ‘intreccio’, seguendo i ‘personaggi’ nelle loro ‘discese’, ‘spaventi’, ‘miracoli’, in cui anche l’’ombra ha la sua ‘luce’. Ma non solo il ‘viaggio’ (come p. es. nel Taoismo), ma pure l’’arrivo’: anzi, è proprio questo – lo ‘svelamento (di Dio e dell’Io) – che dà senso al tutto. Il racconto è strutturato per evidenziare che, dietro a eventi apparentemente casuali, c’è una sincronicità che rimanda al Divino, alla Grazia ‘speciale’ (non solo quella ‘comune’), della quale, anche quando nulla sembra trapelare, l’intimo, ‘toccato’, prende coscienza (“Non sentivamo forse ardere il cuore…?).

Di lì inizia la ‘danza dei sette veli’ (che cadono, più o meno rapidamente, a uno a uno), la quale, non solo porta alla trasformazione individuale, ma anche a quella sociale (missione ed ‘evangelizzazione’).”



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