sabato 16 gennaio 2010

MISHIMA MON AMOUR

MISHIMA MON AMOUR


L’anno ha messo le scarpe nuove. Sento lo scricchiolio delle suole, dei tacchi, della tomaia…: Tommy Hilfiger clothing, accessories and shoes. No, siamo italici (e soprattutto, vitalistici: così eravamo, e ora?): Ermenegildo Zegna, Armani, Ferragamo… E io che sono appulo-jonico? (mi avete sgamato! Ja!): Ennio Capasa e il suo Costume National.

Bando alle ciance (ma nelle mie parole ci sono sempre delle chance…). Via col game – e già che ci sono una sgamata alla notte di fine anno: pochi giochi, grande bouffe e, sursum corda, un touche di Kultur. Jawoul… Sì, indovinate un po’, tra una bouffe e un buffetto sulla guancia (sai, tra amici) – anche un po’ di My boo (intendo il sottofondo pop-jazz-lounge di Alicia Keys, Maxwell, Hotel Costes, Café del Mar, and so on) –, onda su onda sono approdato su… Mishima (sic).

Sì, Yokio Mishima, quello di Mishima e la restaurazione della cultura integrale (stavo iniziando a leggere il ‘libretto’ di Giuseppe Fino: Fino chi? direte voi. Notte rispondo io: un viaggio al termine della notte…). Cèline, basta con le celie: Mishima era il prototipo di un ‘tipo’ di “ultimo uomo” (alla Nietzsche), che, in attesa dell’Übermensch, del Superuomo, dell’Oltreuomo, dell’Oltre, dell’Altro (e dell’altro), si è fatto (anche in quel senso, presumo) attore (di cinema, teatro, Kabuki), regista, cantante di musica leggera, giornalista sportivo e, dalle stelle alle stalle (o tra le stelle?), anche …modello (certo, se le veline volassero e si ‘risvegliassero’ – per aspera ad astra, intendo , avremmo tante mishima e non solo scimmiottamenti, sia pur di bellezze alla Mascia e alla Katiuscia…).

Comunque, dopo le ‘bambine’, torniamo a bomba: Mishima era arte e azione, sole e acciaio… “… fondere arte e azione è unire il fiore che appassisce e il fiore che dura per sempre; come mescolare in un solo individuo i due contraddittori desideri della umanità, ed i rispettivi sogni di una loro attuazione.” Ma la frase che di Yukio più mi ha colpito e più sento mia è che i suoi occhi vedevano troppo. Purtroppo, chi sente vede (anche sin troppo) e tocca spesso l’impossibile (e l’impossibilità di vedere le cose cambiare…). Per dirla con Ronald Laing: “… se la psiche è l’anima, e l’anima è il mondo dell’esperienza, come sostiene Aristotele, essa ci fa paura. Non ne vogliamo troppa o troppa varietà. La vogliamo ridotta a percezione e a immaginazione terrene, niente sogni a colori…”. Fatto è che, per condirla alla Cioran: “… la turba … è incapace di comprendere il rapporto esistente fra idea di vuoto e sensazione di libertà (…) sempre confonderà apparenza e sostanza”.

Mishima era l’uno e l’altro: apparenza e sostanza. Tipo e topos dell’ultimo uomo, suo dernier cri:

“L’uomo, ha detto una volta Nietzsche, rotola via dal centro verso la x. Si allontana dal proprio luogo certo, verso un luogo incerto, un’incognita. Possiamo tentare di indicare, descrivere, raccontare questa incognita? Forse, però, più che di raccontare un luogo non abituale, si tratta di intendere cosa significhi quel “rotolare”. L’uomo che rotola via è l’uomo del completo disincanto, dell’ironia negativa, l’“ultimo uomo” che ormai ha imparato a incassare tutto, che sa con un gesto degli occhi accettare ironicamente ogni nichilismo? Oppure c’è un oltre? (…) Intanto: che altro è la perdita del centro se non la dichiarazione, la sanzione che il pensiero “forte” è ormai insostenibile? La situazione tipica del pensiero “forte” è infatti quella in cui pensante e pensato, chi pensa e cosa si pensa sono solidali: si tengono in una stretta, in una corrispondenza speculare. La situazione che Nietzsche vede è caratterizzata, invece, dalla possibilità del perdersi: l’uomo è giunto dinanzi a un limite, un passo oltre e potrà sprofondare, perdersi completamente. Il luogo in cui il senso potrà riattivarsi è avvistabile solo di qui, drammaticamente. È un luogo impossibile? Molti motivi avremmo per dichiarare invalicabile questo limite: per elaborare una logica della rinuncia che ci permetta di vivere senza valori. L’“ultimo uomo” è l’uomo del compromesso che ha imparato a convivere con il nulla. Il passo in più è un avventurarsi difficile: la soglia cela un’altra soglia, e sempre ci ritroveremo dinanzi a essa mentre ci saremo incamminati per una via tortuosa, accidentata, lunghissima e faticosa. L’immagine del cammino è metaforica (ma la metafora non è forse sempre un viaggio?). Essa indica uno stato d’animo, un nostro atteggiamento, un modo di vita. In Umano troppo umano leggiamo di un “impavido spaziare al di sopra degli uomini, dei costumi, delle leggi e delle originarie valutazioni delle cose”. Un libero spaziare? Nietzsche riprenderà e correggerà continuamente questa idea di “leggerezza” e di “libertà”: l’abisso trascina in basso e la spirale della necessità continua ad annodarsi. Non è possibile librarsi in volo e liberamente spaziare come un uccello nell’aria: forse l’unica alternativa è imparare a strisciare imitando il serpente, poiché solo aderendo alla terra avremo una possibilità di sollevarci sopra di essa. (G. Vattimo e P. Rovatti, Il pensiero debole, Feltrinelli, Milano, 1987, pp. 29-30).

Dopo esserci librati in volo (levità) ed essere atterrati (gravità), un po’ di souplesse ed epoché, galleggiando nel mare-web: vai alla performance Mishima mon amour su YouTube e correrai nudo verso la meta… (nel frattempo avrai mangiato la mela).



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