WHAT’S UP
«Vi sono improvvisi imprevedibili lampi
di eternità o dell’infinito che giungono a noi quando meno ce li aspettiamo.»
(Anthony de Mello)
Eureka! In un attimo ho trovato la
soluzione che inseguivo da settimane…
Ci giravo intorno da giorni e giorni ed
ecco che tutto d’un tratto…
Ce l’avevo proprio sotto gli occhi!
Ma
chi ci avrebbe mai pensato…
Sì, eureka
(ho trovato!), il famoso urlo di Archimede, può tornare a riecheggiare nel
nostro cuore e a riaffiorare sulle nostre labbra.
È
solo questione di metodo.
E poi, pensare, pensare, pensare…
Il «flash»,
il lampo di genio, l’intuizione, la lucidità mentale, l’attitudine vincente e
tutto quello che serve per una vita migliore, non è solo questione di pensieri,
di mente, di cervello.
C’è il cuore che batte, anche
all’impazzata, ci sono le emozioni, che ci muovono e commuovono, i sentimenti
che ci fanno sentire vivi, c’è lo spirito che ci fa volare sempre
più in alto…
Eppure, nonostante tutte queste
premesse, spesso la nostra condizione abituale è quella di persone «addormentate»: ti ricordi di Lazzaro e del suo
risveglio dalla morte?
Oppure del figliol prodigo che, ridottosi
a mangiare le ghiande dei porci, a un tratto «rientrò in sé»?
Ma non sempre questo flash capita, anzi spesso
il viaggio nel deserto è interminabile: ogni tanto un miraggio, un’oasi, ma
poi?
Una botta di vita e poi… di nuovo oscurati
dal triplice velo che ci avvolge: l’ignoranza, la noncuranza e la
dimenticanza.
Per «tornare
in vita» e per il «ricordo di sé», ossia per ripristinare lo stato
originario di individuo dotato di immense capacità potenziali (il figliol
prodigo aveva un padre ricco e ogni bene a sua disposizione), c’è bisogno di un
«principe azzurro» che, con un bacio, riporti in vita la «bella addormentata».
Bene, questo è l’inizio della mia ultima avventura libresca – PNL Olistica – in onda tra un mese by BRUNO
Editore. Questo per dire che, dalla voce roca (per la rabbia, i dubbi, l’anoressia
vitale, la bulimia mentale), può all’improvviso uscire un EUREKA!
Sì, all’improvviso puoi essere ‘fulminato’ da un flash di risveglio e tutta la tua vita può cambiare.
Ma questo, in genere, non accade all’improvviso: c’è bisogno di un ‘lavoro’
preliminare, anche disarticolato, fatto di momenti voluti o casuali, di studi
anche improvvisati. Insomma, ci vuole una sia pur minima sgrossatura affinché
il ‘canale’ si disostruisca e l’essenza, cioè il tuo vero Io, meglio il
tuo Sé, inteso come “centro
di gravità permanente”, venga a galla e prenda il comando
della tua vita.
In questo modo sarai
tu a prendere il controllo interno ed esterno, e non la tua
legione di pensieri, emozioni, sensazioni, mini-Io sparpagliati e imbizzarriti
(chi tira a destra, chi a sinistra, chi
sopra, chi sotto…).
Ma per tirare fuori l’essenza, come ho detto, c’è bisogno di un lavoro
preparatorio, di una scuola (anche a distanza, come questa). Bene, questo blog
è, volendo, una scuola: tutti i post hanno degli spunti per sgrossare il tuo
cervello, riequilibrare le tua emozioni, aprire il ventaglio del tuo ‘mondo’ e
favorire, grazie all’apertura dei tuoi sensi ‘sottili’, il manifesting, ossia la manifestazione, o realizzazione, dei tuoi desideri e obiettivi.
Uno strumento atto ad aprirti a quello che la Kabbalah chiama il mondo 99%
(quello ‘invisibile’ – v. il mio PNL e Kabbalah – Giacomo Bruno ed.), e non solo all’1% (la realtà visibile che ti circonda), ossia alla ‘matrice’
di ogni possibilità – che tu puoi riprodurre e ‘stampare’ nella realtà quotidiana
– uno strumento adatto, dico, è la scrittura.
Fa’ prima una scorsa veloce a quanto è scritto, poi cadenzata, infine, gusta,
rifletti e medita: tutto il tuo essere – mentale,
emozionale, spirituale (anche fisico) sarà ‘inseminato’ ed ecco che …nuovi Nicola (Enrico, Giovanni, Maria, Deborah, Melissa, Daniele, Ivan,
Giorgia, Luca, ecc. ecc.) crescono.
Il tralcio seguente è tratto da:
Nietzsche: sneakers o tacchi a spillo
(inedito)
MORULE
Ci incontriamo agli angoli delle strade. A coppie, a
grappoli, a stringhe sempre meno sottili. Cresciamo all’ombra dei portici, come
batteri, morule, embrioni di future miriadi, angeli sparsi in cerca di paradisi
possibili.
Siamo le membrane plasmatiche del centro e delle
periferie urbane, giunzioni occludenti il vuoto delle menti e delle anime,
teurgi plastici in cerca di corpi da rigenerare. Col forcipe dello spirito
recidiamo le sbarre dell’anima e liberiamo dai ceppi impazienti i dèmoni dormienti.
I nostri e gli altrui.
Senza addomesticarli li mandiamo allo sbaraglio tra i ‘petits bourgeois’ della ‘comédie
humaine’ (dèmoni versus demòni: slitta l’accentazione cambia l’eone).
Randomizzati vagano impacciati ma indomiti nelle piazze, nelle case, nelle
menti, nelle paludi del caravanserraglio globale – dove sbuffa behemot,
gingillo degli dèi e trastullo dei titani, e striscia il leviatano, un po’
biscione un po’ caimano.
Bariamo sui numeri (ma nel frattempo cresciamo a
dismisura), saltiamo sui corpi, puntiamo sulle anime (e lo spirito? Sotto
sale). Ci arrampichiamo sui muri, scivoliamo nei sottotetti, glissiamo sui
salotti buoni. Ma verrà anche il loro turno – tour e retour.
E allora, che aspettate? Il turn-over? Tornite e guarnite
le tartine al caviale, la pallina sta per fermarsi! Là bas.
Rien va plus. Il gioco si fa duro. E scivoloso. Ma dolce
è l’attesa (meno le doglie). Arde il rovo, la voce chiama… “Siate caldi oppure
freddi: ma i tiepidi li vomiterò nella Geenna.” Caos calmo, ciechi spasmi,
miasmi cosmici: l’universo attende con ansia l’epifania teandrica – non sa cosa
vuole, ma vuole qualcosa!
Alta marea: la terracquea arena è lì che aspetta,
vociante, torbida, ondeggiante. Bassa marea: nella platitude vacua vaticina
torpida la platea (e non è il Vaticano). Ogni tribuna e tribuno è in tiepida
attesa di un messia o di una miss (tutto fa brodo – questa la voce del mondo).
“Ah, se Erostrato il grande li ghermisse e facesse assaggiare a tutti i tiepidi
il caldo estremo che raggela!” (la cultrea voce dal profondo).
E noi? Infine nudi nello spirito, ancora paludati
nell’azione, palestrati nell’animo
continuiamo a nasconderci nelle segrete latebre delle lubriche piazze
affollate. Per poi sbucare alla Kubrik nelle strade bucate e imbucarci, zampillanti
e ludici come eroine zompanti, tra gli zombi nei corridoi sussurranti –
riservando ai gorgoglianti portici le nostre residue ore aliene (è lì, nelle
gallerie urbane, il nostro brodo di coltura).
Tuareg nel deserto che cresce, effimeri panici al galoppo,
ossimorici lunatici grondanti gelide passioni; cammelli sgobbanti, leoni
reboanti, fanciulli vocianti investiti da folate di sottile silenzio: questi
noi siamo. L’ultimo uomo è appena nato e una donna sta per ucciderlo.
KILLING ME SOFTLY
GENNAIO
Uccidimi dolcemente, ma uccidimi… Entra nel rovescio del
mio mondo e affonda il tuo cultro lì dove gli altri hanno fallito. Trascrivo
febbrilmente i loghia onirici, battendo sul tempo i famelici gargoyle del
subconscio, spasmeggianti nevrilmente dalla brama d’ingoiarli nei lenti gorghi
amnesici. L’oceano notturno si è ormai contratto in un’anoressica pozzanghera:
solo i vortici di alcuni citri d’acqua dolce – i sogni che hanno bucato le
porte di corno (quelli che verità li incorona se un mortale li vede) – sono
sopravvissuti. V’intingo la mia plume mentale,
strappata all’uccello nottaiolo attardatosi a oziare sullo spoglio ramo
dell’ultimo ramingo albero della fuggente selva dell’oblio e… fandango.
Because the night
belongs to lovers, because the night belongs to lust, because the night belongs
to us… È l’alba, la notte è
scappata coi suoi amanti, i dardi aurorali scippati alla febica faretra hanno
colpito a morte le mie effervescenti passioni ctonie (ma rivivranno allo
scoccare della mezzanotte) e i gendarmi del mattino hanno ammanettato le mie
voglie corsare (adieu fuitina
stellare con Jessica Alba… ogni notte un trip diverso). It’s too late to apologize. Non ho più scuse. Dalla radiosveglia la
voce velvet del sempre cool Timbaland mi riporta sulla battigia. It’s too late… Lascio Garden of nights (il Village da dreamer radical-chic – niente
di particolarmente osé: solo Muse e
qualche strip) e mi butto giù dal letto.
Della notte mi è
rimasto solo il sorriso: lentamente passo per l’ultima volta il dito sulle sue
labbra di sogno, prima che si assottiglino e sublimino, impalpabili come labili
fili evanescenti, al balenare delle prime pallide luminescenze diurne. L’eco
narcisa degli ultimi sparsi frammenti onirici cerca invano di raggiungermi, ma
ammutolisce spaurita davanti all’alba sorgiva, sfiatando pudica nel lete delle
memorie fuggitive. No pain no drama:
ho già trascritto le stille essenziali, lascio senza magone le vaghe stelle
dell’orsa.
Il telefono squilla
(l’ultima, definitiva, rupture al
notturno soffitto di cristallo – di lì, rapito, posso mirare l’epifania degli
dèi). Squallida cocotte, vattene per la tua strada… io sono fedele al mio
computer (e pensare che
fino a qualche annetto fa manco me lo filavo…). Lascio a letto i miei
clandestini philosophes prêt-à-porter (nouveaux o anciens, tutti mi fanno il filo, ma io mi
fermo ai preliminari), snobbo la cornetta – di giorno sono fedele – e vado a
tirare. Slash-flash: qualche strisciata di piccì, per tenermi su. Inizia
la mia giornata.
O
viva morte o dilettoso male. Se non fosse stato per il libro, il computer
poteva pure andarsene in cancrena. Kissenefrega.
Datemi i libri e vi solleverò il mondo, ma il computer… Polvere e pula al
vento (questo il mio primo soft impact, anni
fa, e neanche tanti. Sono tardo, e lento, quanto a tecnologia). Eppure, mio
malgrado, me lo devo sorbire. Kiss kiss. E
si sa, la mano, il braccio… e poi, chiodo scaccia chiodo.
O
viva morte o dilettoso male. Se non fosse stato per il libro, il computer
poteva pure andarsene in cancrena. Kissenefrega.
Datemi i libri e vi solleverò il mondo, ma il computer… Polvere e pula al
vento (questo il mio primo soft impact, anni
fa, e neanche tanti. Sono tardo, e lento, quanto a tecnologia). Eppure, mio
malgrado, me lo devo sorbire. Kiss kiss. E
si sa, la mano, il braccio… e poi, chiodo scaccia chiodo.
Libri ‘inchiodati’?
Jamais! Books, booklets, penguin
classics, livres de poche, pocket, tascabili, purché libri… (anche e-books.
Ammazza… – amazon – che bibliofilo!)
Li compulsava, slinguava, odorava, sniffava e poi vi ci si tuffava. Anche a
occhi chiusi. Lorenzo era uno junkie, un
drogato (di fogli stampati, non di cartine), un book-addicted: aveva più d’una scimmia sulla spalla (e gli facevano pure le linguacce). A
proposito, pour parler: Lorenzo, il bookworm (ma anche movieworm), fluiva in english,
galleggiava in tedesco – aveva fatto uno stage nazi-runico –, dava delle
belle unghiate french. E poi ogni tanto stillava, specie quando scriveva, gocce
d’umor pagano dall’Olimpo e dai Sette Colli; un po’ di ‘vento divino’ dal Sinai
per la par condicio e, sursum corda, sciacqui nel Gange).
Croce e delizia. Le parole schiodate dal mio libro (sempre in attesa di
pubblicazione) mi inchiodano a Lorenzo (il mio alter-ego di carta, un ‘ribelle’
sempre meno virtuale). Lui il crociato, io la pietra filosofale, loro, gli ipsissima verba, il martello: il
triangolo perfetto per incidere nella realtà
(e non solo per ballare sul mondo).
Diapason, flauto, arpa, siringa… Ago che inietta vita: senza strumenti musica nuda la parola
produce.
Fatti e misfatti. Verba volant (et volunt). Sì, il linguaggio che si fa
parola, la parola che si fa atto: “nessuna cosa è dove la parola manca”
– questo uno dei motti preferiti di Galatea (soffiato a Heidegger, ma da lui
stillato, con ‘cura’, da ‘Das Wort’, poesia di Stefan George – lingua vergine,
‘virgo mater’ del sacro cerchio). La parola che ‘nomina’ le cose, le contrassegna,
le crea. “Basta la parola…”
Parola coessenziale all’azione. Parola in movimento, in divenire, in
estasi. ‘Versi intessuti’, ‘carmi circolari’, parola in cammino. Parola
‘attiva’. Più che ‘parola’, ‘verbo’, azione
che si attende una re-azione. Action
now. Parola ‘dinamica’, scoppiettante. Parola che grida quando più tace.
Parola che canta, sussurra, piange. Nella parola balugina la spiritualità
dell’anima. E questa si fa corpo. Per accoppiarsi e poi scoppiare. È la parola che dà sostanza, essere, alla
‘res’. Logos lex: la parola è legge. Logos rex: la parola è re, anzi ‘regina’,
e di questo ‘logos’ Galatea era diventata padrona.
‘Suona’ la
parola la malvestita realtà… Parolibere ancheggianti, ossimori frenati o
rutilanti, specchi autoriflettentesi, un po’ narcisi un po’ Eco. Un romanzo-carillon il mio – i
fatti come lame rotanti, i pensieri come trottole vorticose, e in cima a
ciascuna di esse le parole come dervisci tournants
sulla capocchia di uno spillo.
Io (il nome? Non serve), servo della parola. E Lorenzo, mio schiavo (e poi Galatea, la matrona – a seguire famuli e ancillae in
ordine sparso). Romanzo à la carte:
antipasto, primo e secondo della mia vita (ero alla frutta).
Lorenzo audioslave.
Gli piaceva la musica gospel, battere i chiodi col martello e
parlare in lingue. Non era la prima volta che sconfinava in lande
straniere…
Verba
volant (come stringhe cosmiche), scripta manent (come quark plutonici). Macchie uraniche d’inchiostro sotto vetro (il
display del computer), esprit
irenico, platonico, ironico, forse iranico (Zarathustra?). Particelle elementari, staccatesi da un magma incandescente e
filanti senza direzione e senso. Pensieri e parole coagulatesi in stringhe
cosmiche (anche comiche), corde vibranti del mio pluriverso (canone inverso): stringhe aperte sull’universo per connettere le estremità di
pensieri a folle, stringhe chiuse sull’introverso
per accalappiare idee occhieggianti dall’ultramondo (il mio castello interiore,
l’empireo, la Sophia divina, la Scienza gaia?). Lorenzo, the fool on the hill.
Thriller… Con quanti denti le parole mi mordevano! Ma ciò che più incidevano nel romanzo erano i silenzi: “sguardi senza patria quaggiù, silenzi più remoti dell’uranico vento…” Nondimeno, erano le parole a de-cidere, ad agire, a in-cidere sui miei sentimenti. Sono loro – verba, logoi, loghia, rhemata – a configurare e a dare espressione alla mia necessità interiore (in attesa di trasfigurarla, di trovare la mia ‘dimensione’, la mia necessità più alta – insomma, diventare ciò che sono).
Thriller… Con quanti denti le parole mi mordevano! Ma ciò che più incidevano nel romanzo erano i silenzi: “sguardi senza patria quaggiù, silenzi più remoti dell’uranico vento…” Nondimeno, erano le parole a de-cidere, ad agire, a in-cidere sui miei sentimenti. Sono loro – verba, logoi, loghia, rhemata – a configurare e a dare espressione alla mia necessità interiore (in attesa di trasfigurarla, di trovare la mia ‘dimensione’, la mia necessità più alta – insomma, diventare ciò che sono).
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