SUMMER DAWN
SOGNO DI UN’ALBA DI INIZIO ESTATE
Come afferma Goleman, le emozioni sono
attitudini fondamentali nella vita. E nell’estate
le emozioni si “riscaldano”…
Dall’interazione tra
la sfera affettiva (un’emozionalità diffusa che ‘abbraccia' l’’altro’, che da monade ti fa diade – tertium non datur? Chissà…) e la dimensione cognitiva nasce l’individuazione dell’essere umano come
‘soggetto’ partecipe del suo essere-nel-mondo. Risultato: l’uomo che non è più un’isola, e sa usare l’”internet
cosmico”, si realizza e può realizzare ogni cosa (o quasi).
Ogni distorsione o
‘rallentamento’ in questa dinamica rende l’essere umano, non solo ‘statico’, ma
gettato nel mondo (ed è quello che accade a
molti di noi, la stragrande maggioranza). Nondimeno, con
Heidegger, l’uomo, nel suo esser-ci (dasein) è sì “gettato nel mondo”, ma ha la potenzialità
di ri-progettarsi continuamente, di interrogarsi sulla vita e sulla morte,
sull’essere e il nulla.
“La capacità di
entrare in sintonia emozionale con un’altra persona, ovvero la capacità di
essere empatici, implica di conseguenza il saper cogliere queste coloriture
affettive che accompagnano tutta una serie di atteggiamenti ed espressioni
individuali, non codificabili verbalmente e razionalmente. Come un antico detto
insegna, “l’occhio è effettivamente lo specchio dell’anima” (Aldo Carotenuto, Il
tempo delle emozioni).
Questo è quel che, senza che ciò implichi
necessariamente innamoramento (o friendship with benefit…), possiamo chiamare empatia o, nella PNL, rapport.
Quindi, il requisito
della realizzazione interiore è in antitesi con quello dell’Ego: se quest’ultimo ha un
atteggiamento di difesa, di ‘resistenza’, o chiusura a riccio, le
caratteristiche dell’essenza (il vero Sé) sono, invece, l’apertura, l’amore… L’amore spiana il
cammino all’essenza e a quella che è la lampada al suo piede: l’intuizione, ossia la potenza cognitiva coniugata con l’immaginazione metafisica,
ossia l’apertura
al mondo spirituale comunque lo si voglia intendere o chiamare. Non solo, ma sviluppa
in te l’empatia, ossia l’esperienza
dello stato di coscienza altrui: il fatto che tu possa sperimentare
l’esperienza di un altro Io diverso da te.
L’empatia è un sentire dentro, un patire dentro, un sentire insieme, una sintonia ‘lirica’, una compassione interiore e reciproca.
Fermandoci alle tecniche
PNL, all’’empatia (rapport), ottenuta con il ‘rispecchiamento’ e l’’imitazione’ (mirroring e matching) – quindi, dopo aver
assecondato l’’altro’ (“andando al passo con lui”: leading) – segue il ‘ricalco’
(pacing).
Ultimo punto – last
but not least – da osservare è l’ecologia, cioè la verifica
conclusiva che la persona stia agendo in totale rispetto con se stessa (ossia
con il suo ‘sistema’ di credenze e valori).
Mirroring/matching,
pacing e leading: il mondo è il nostro specchio, per cui, se vogliamo che sia come noi lo
vogliamo, dobbiamo prima “pulirci dentro” (Gesù nei Vangeli fornisce l’immagine
della casa vuota e ripulita, che però ha bisogno di essere poi riempita di
mobili e cose nuove – l’immagine rimanda a quella degli otri vecchi in cui non
si può mettere vino novello o delle toppe che non possono essere cucire su stoffa
vecchia e consunta…).
Con questi termini, la
PNL intende mettere a fuoco il work in progress della relazione
terapeutica (o del percorso di peak performance). Il mirroring e il matching indicano il “farsi
analogo” con l’’altro’, il pacing l’andare a braccetto col
paziente/cliente, l’assecondarlo, lo stargli dietro, mentre il leading indica il guidare, il
condurre il coachee su una strada ‘piana’, breve, con eventali ‘scorciatoie’, verso il
traguardo prefissato (goal). Questo, ossia lo stato
desiderato, è l’obiettivo del percorso ‘strategico’ che ognuno di noi deve porre in
essere: e visto che siamo in estate, e che siamo un po’ relax and do it (oppure relax and do nothing), iniziamo un bel
percorso di formazione, informazione e trasformazione.
Ma torniamo, dalla
prosa, alla poesia. Osservate questo rapporto empatico, emozionale, affettivo, passionale (con tutti i benefit possibili…), nella
lettura che segue. Leggetelo per emozionarvi, ma andate anche dietro lo specchio… Troverete l’immagine
ideale di voi e la pulsione per un effettivo élan vital (come al solito queste
“pillole di vita” – o perle? non dite cozze… – le ho tratte dal mare magnum del
mio Gocce di pioggia a Jericoacoara).
“Marinai
erranti! Frammenti d’antiche stelle! Voi mari dell’avvenire! Inesplorati cieli!
A tutti i solitari ora getto l’amo: date risposte all’impazienza della fiamma,
catturate per me, pescatore su alti monti, la mia settima, estrema solitudine!” Tornati
all’appartamento di Galatea, non molto lontano (ma vi giunsero quasi in volo),
l’approdo fu il letto. Singolo, ma duplicatosi nelle intenzioni.
La
camera galleggiava nel buio della notte, al riparo dai venti della metropoli.
Camera con vista. E nessuno a vederli. Veni, vidi, vici. Solo la brezza
dei loro respiri, poi gli alisei dei loro desideri, infine il caldo monsone
della loro rinascente passione. Il montone e la pecorella (in realtà, il leone
e la pantera). Un vero manhattan sceccherato (il secondo).
Twist
and shake. Scacco al re. Così parlò Zarathustra. E Dio diede il suo amen.
I due marinai erano scampati alla tempesta. Prospero e Ariel si rotolavano
sul bagnasciuga. Eppure, nessun uomo è un’isola. E nessuna donna. La penisola
poteva ancora attendere, tanto più l’Arno d’argento. Non c’era pericolo che si
arrugginisse. New York aveva l’oro in bocca e loro due non erano tipi da
gettare le perle ai porci.
Erano
due esseri liberi. Avevano aderito al proprio fatum. E cavalcavano la
tigre (sempre lei, ma ora più pantera). Nei limiti e nei presupposti della loro
‘natura’, la loro libertà era completa, ma la loro ‘animalità’ li rendeva
soggetti alle pulsioni. Non all’istinto, come porci sia pur imperlati,
alati o no che fossero, ma all’impulsiva o repulsiva (non compulsiva) scelta o
rifiuto del proprio destino (Dio che guida l’uomo e l’uomo che Lo cavalca).
I heard love is blind. L’uomo
e la donna: tigre contro tigre. Amore cieco. Graffiante. Lorenzo e
Arianna, due griffe: liberi di perdere la propria umanità per poi
trascenderla, o di scendere nella fogna (o nell’abisso) per poi risalire
semprevergini. Essenze fragranti. Senza etichetta. Esseri sfolgoranti, in
continuo divenire. Arianna e Lorenzo, vetrine in allestimento (senza più
manichini). Ben lustrati per la prossima inaugurazione (dopo essere stati
listati a lutto). Perduti, si erano ritrovati. Rigenerati, si erano ‘ricreati’
(e si ricreavano in tutti i sensi…).
L’alba,
ancora imperlata da gocce di luna, cominciava a rosseggiare pudica, in attesa
spasmodica delle prime, audaci, vampate del sole mattutino, ribaldo reduce
dalle scorribande notturne nei lerci sottofondi della città terrestre.
Lorenzo
e Arianna non erano da meno. Erano tornati al mondo ‘moltiplicati’, ma
ri-uniti. Ripuliti da tutte le scorie. Non da tutte le scaglie, però (a proposito,
i serpenti… Dove si erano cacciati?). Rimanevano in bilico l’orma del ricordo,
l’impronta del passato (e del peccato), la memoria che giace silenziosa (simul
iusta et peccatrix), che attende soltanto che qualcuno o qualcosa la
risvegli, dicendo la ‘parola’. E il mito, che è parola, sa sempre come tornare
in superficie.
Certi
amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano. Amici
mai (di Venditti), amanti sempre (senza più vendette). Ed eccoli, i ‘mitici’,
le ‘vedette’, con una coppa di vino (champagne millesimato) in mano (e una rosa
tra le dita di Lorenzo), pronti a danzare tra le nuvole, dopo aver toccato il
fondo dell’oceano. Senza retorica o recita da saggio di fine anno. Non erano
dei back-guys/girls, dei revenant, dei boomerang.
Love is a losing game. Gli
anni erano passati (anche neri – black is back), ma non invano, con i
loro andirivieni, tornanti, toboga e bungee-jumping. E con le tracce mnestiche
ancora a pelle E ora erano ridiscesi (loro e i loro anni, gli ‘anta’), ma sulle
vette, con tutte le fibre dei loro corpi ringiovaniti pronti alla fusione nei
ripristinati amplessi d’amore, tra scabri colli e verdeggianti valli. Vedette
(lombarde, toscane, pugliesi…).
Vette
spianate, colline, dune, giardini. Battesimo di corpi, comunione di anime,
cresima di spiriti, unzione. Trinità e unità. Doppia, triplice ‘unzione’. Sulla
strada di Elia ed Eliseo, sulla via Emmaus, lontano dal viale di Eliogabalo.
La
via di Babalon l’avevano intravista, ma di svista. Babilonia pure (New York.
Roma, ancora no). La porta del cielo si era aperta. E via a ogni sensazione, a
tutte le emozioni possibili (beninteso, positive). Epidermiche, tattili,
duttili. Granitiche. Stalattiti e stalagmiti. Evoluzione della specie.
Polo
positivo e polo negativo. Entrambi in pole position. Dalle vette apollinee
scivolarono poi negli abissi di Venere. Speziati, impreziositi, spretati. Anche
un poì spietati. Volendo dirla alla ‘iki’ (senza dimenticare le atmosfere alla
Prevert e, perchè no, alla Baudelaire – con Anna K. a guardare), erano in tre
nella stanza: una rosa, una bottiglia di champagne e …loro due.
“Non
pretendete che gli altri comprendano l’unione dei vostri corpi nel piacere né
la compenetrazione delle vostre menti e dei vostri spiriti. Chi non ha fatto
questa esperienza non può capire: non cercate di spiegare perché le parole non
servono…” Ashley Thirleby e il suo Tantra avevano facile
gioco sulle parole. Anzi, le speziavano ancor più.
Specie in momenti come questi. Cosmoteandrici, pentecostantrici, ostetrici. Parole fluide ma corpose. Liquide, pronte a imbucarsi in ogni recesso, in ogni andito. Parole ‘cesaree’, corsare. Ma occorreva spaziare oltre. Andare al di là dell’adyton. Verba volant. Ci volevano i fatti. Terra terra. Dissotterrati, spianati, sbucciati. Sbucati dalla memoria akashica.
Specie in momenti come questi. Cosmoteandrici, pentecostantrici, ostetrici. Parole fluide ma corpose. Liquide, pronte a imbucarsi in ogni recesso, in ogni andito. Parole ‘cesaree’, corsare. Ma occorreva spaziare oltre. Andare al di là dell’adyton. Verba volant. Ci volevano i fatti. Terra terra. Dissotterrati, spianati, sbucciati. Sbucati dalla memoria akashica.
“Vi
furono mai nozze come queste? Un paradiso li ospitava e cherubini e serafini
furono i rispettosi invitati.” Come languide
anguille, i corpi avvinti si contorcevano, accasciati, avviluppati, atterrati,
approdati, ora affioranti, ora imbucati. Efflorescenti, vividi nel loro calore.
Intumescenti. Quasi colorati. Cariche e scariche. Arianna e Lorenzo sapevano il
fatto loro. E lo facevano. E non avevano un attimo di tregua. Nessuna sosta nel
giardino di Eden alla Emily (Dickinson), solo il battito del diapason. La notte
era in stand-by (l’alba aveva fatto marcia indietro).
Abbandonati
in un intimo, chiuso, abbraccio; aperti l’uno all’altra. Con la vocazione
all’alto (e l’uno per l’altro. Senza terzi incomodi o convitati di pietra –
semmai di spirito). Dischiusi all’eros che si fa voce, pur nutrendosi di
silenzio. Rarefatto, evanescente: la gola che cominciava a schiarirsi e l’ugola
che iniziava a vagire.
I
respiri in sincronia, tra movimenti asimmetrici eppur combacianti. Ogni chakra
aperto al flusso delle energie d’amore. Ars amandi, sinergia delle emozioni e
dei feromoni. Un uomo, una donna. Vaghi, vaganti. Vaghe stelle dell’orsa.
Maggiore e minore (mai uguali. E se uguali, diversi). Due voci. Concerto
a voce sola. Infine, l’urlo.
“Amare
è sentire la pressione del corpo assente contro il proprio.” (Anna
K. Valerio, sempre lei a infierire, l’orca assassina, mai anoressica –
tutta Iki, per grazia, con grazia.) Garcia Lorca e arca di Noè. Sesso:
un sasso nello stagno. Fuori dalla palude, in mare aperto, tra correnti e
gorghi rotanti. Un rodeo.
Ormoni
e sinapsi, gli uni rilasciati, le altre connesse e moltiplicate. Duplicazione
degli effetti, l’affetto a fette. E dappertutto, fitte. L’ossitocina a fiotti,
affettiva, complice, duplice, semplice. Supplice. La dopamina alle stelle,
cupida, pronta ad accopparli (accoppiati lo erano già, corpo, mente e spirito:
tre per due).
Il
cervello sessuale aveva ormai preso il posto del cervello bradipo. L’epifisi:
schiusa. La ghiandola pineale: fusa (sempre più ‘liquida’). I movimenti: sempre
più veloci, dopo l’apparente parentesi. Ognuno il prolungamento dell’altro.
Lui
e lei in ogni declinazione, coniugati dal qui e ora, apparentati dalla
rinnovata familiarità e dalla resuscitata complicità. E poi di nuovo
frammentati in un arcipelago di membra alla ricerca l’uno dell’altra, l’una
dell’altro. Ricongiunti infine, a formare una sola grande isola. E il letto a
fare da piattaforma continentale.
N. B. Per
chi non se ne fosse accorto, ho tratto quasi tutto da un mio vecchio post – uno
dei primi – Love is a losing game. Solo
dopo averlo ripescato mi sono accorto che tra poco ricorre il terzo
anniversario della departure della
mitica Amy (Bel Ami? “Perché torni sempre da me?” – “Non lo so. Forse solo per sorprenderti ogni
volta…”).
E che vor dì? Che Love is a winning game, specie in un’alba
di inizio estate…
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