venerdì 4 luglio 2014

SUMMER DAWN – SOGNO DI UN’ALBA DI INIZIO ESTATE



SUMMER DAWN

SOGNO DI UN’ALBA DI INIZIO ESTATE

Come afferma Goleman, le emozioni sono attitudini fondamentali nella vita. E nell’estate le emozioni si “riscaldano”…
Dall’interazione tra la sfera affettiva (un’emozionalità diffusa che ‘abbraccia' l’’altro’, che da monade ti fa diade – tertium non datur? Chissà…) e la dimensione cognitiva nasce l’individuazione dell’essere umano come ‘soggetto’ partecipe del suo essere-nel-mondo. Risultato: l’uomo che non è più un’isola, e sa usare l’”internet cosmico”, si realizza e può realizzare ogni cosa (o quasi).
Ogni distorsione o ‘rallentamento’ in questa dinamica rende l’essere umano, non solo ‘statico’, ma gettato nel mondo (ed è quello che accade a molti di noi, la stragrande maggioranza). Nondimeno, con Heidegger, l’uomo, nel suo esser-ci (dasein) è sì “gettato nel mondo”, ma ha la potenzialità di ri-progettarsi continuamente, di interrogarsi sulla vita e sulla morte, sull’essere e il nulla.
“La capacità di entrare in sintonia emozionale con un’altra persona, ovvero la capacità di essere empatici, implica di conseguenza il saper cogliere queste coloriture affettive che accompagnano tutta una serie di atteggiamenti ed espressioni individuali, non codificabili verbalmente e razionalmente. Come un antico detto insegna, “l’occhio è effettivamente lo specchio dell’anima” (Aldo Carotenuto, Il tempo delle emozioni).
Questo è quel che, senza che ciò implichi necessariamente innamoramento (o friendship with benefit…), possiamo chiamare empatia o, nella PNL, rapport.
Quindi, il requisito della realizzazione interiore è in antitesi con quello dell’Ego: se quest’ultimo ha un atteggiamento di difesa, di ‘resistenza’, o chiusura a riccio, le caratteristiche dell’essenza (il vero ) sono, invece, l’apertura, l’amore… L’amore spiana il cammino all’essenza e a quella che è la lampada al suo piede: l’intuizione, ossia la potenza cognitiva coniugata con l’immaginazione metafisica, ossia l’apertura al mondo spirituale comunque lo si voglia intendere o chiamare. Non solo, ma sviluppa in te l’empatia, ossia l’esperienza dello stato di coscienza altrui: il fatto che tu possa sperimentare l’esperienza di un altro Io diverso da te.
L’empatia è un sentire dentro, un patire dentro, un sentire insieme, una sintonia ‘lirica’, una compassione interiore e reciproca.
Fermandoci alle tecniche PNL, all’’empatia (rapport), ottenuta con il ‘rispecchiamento’ e l’’imitazione’ (mirroring e matching) – quindi, dopo aver assecondato l’’altro’ (“andando al passo con lui”: leading) – segue il ‘ricalco’ (pacing).
Ultimo punto – last but not least – da osservare è l’ecologia, cioè la verifica conclusiva che la persona stia agendo in totale rispetto con se stessa (ossia con il suo ‘sistema’ di credenze e valori).
Mirroring/matching, pacing e leading: il mondo è il nostro specchio, per cui, se vogliamo che sia come noi lo vogliamo, dobbiamo prima “pulirci dentro” (Gesù nei Vangeli fornisce l’immagine della casa vuota e ripulita, che però ha bisogno di essere poi riempita di mobili e cose nuove – l’immagine rimanda a quella degli otri vecchi in cui non si può mettere vino novello o delle toppe che non possono essere cucire su stoffa vecchia e consunta…).
Con questi termini, la PNL intende mettere a fuoco il work in progress della relazione terapeutica (o del percorso di peak performance). Il mirroring e il matching indicano il “farsi analogo” con l’’altro’, il pacing l’andare a braccetto col paziente/cliente, l’assecondarlo, lo stargli dietro, mentre il leading indica il guidare, il condurre il coachee su una strada ‘piana’, breve, con eventali ‘scorciatoie’, verso il traguardo prefissato (goal). Questo, ossia lo stato desiderato, è l’obiettivo del percorso ‘strategico’ che ognuno di noi deve porre in essere: e visto che siamo in estate, e che siamo un po’ relax and do it (oppure relax and do nothing), iniziamo un bel percorso di formazione, informazione e trasformazione.
Ma torniamo, dalla prosa, alla poesia. Osservate questo rapporto empatico, emozionale, affettivo, passionale (con tutti i benefit possibili…), nella lettura che segue. Leggetelo per emozionarvi, ma andate anche dietro lo specchio… Troverete l’immagine ideale di voi e la pulsione per un effettivo élan vital (come al solito queste “pillole di vita” – o perle? non dite cozze… – le ho tratte dal mare magnum del mio Gocce di pioggia a Jericoacoara).
“Marinai erranti! Frammenti d’antiche stelle! Voi mari dell’avvenire! Inesplorati cieli! A tutti i solitari ora getto l’amo: date risposte all’impazienza della fiamma, catturate per me, pescatore su alti monti, la mia settima, estrema solitudine!” Tornati all’appartamento di Galatea, non molto lontano (ma vi giunsero quasi in volo), l’approdo fu il letto. Singolo, ma duplicatosi nelle intenzioni.
La camera galleggiava nel buio della notte, al riparo dai venti della metropoli. Camera con vista. E nessuno a vederli. Veni, vidi, vici. Solo la brezza dei loro respiri, poi gli alisei dei loro desideri, infine il caldo monsone della loro rinascente passione. Il montone e la pecorella (in realtà, il leone e la pantera). Un vero manhattan sceccherato (il secondo).
Twist and shake. Scacco al re. Così parlò Zarathustra. E Dio diede il suo amen. I due marinai erano scampati alla tempesta. Prospero e Ariel si rotolavano sul bagnasciuga. Eppure, nessun uomo è un’isola. E nessuna donna. La penisola poteva ancora attendere, tanto più l’Arno d’argento. Non c’era pericolo che si arrugginisse. New York aveva l’oro in bocca e loro due non erano tipi da gettare le perle ai porci.
Erano due esseri liberi. Avevano aderito al proprio fatum. E cavalcavano la tigre (sempre lei, ma ora più pantera). Nei limiti e nei presupposti della loro ‘natura’, la loro libertà era completa, ma la loro ‘animalità’ li rendeva soggetti alle pulsioni. Non all’istinto, come porci sia pur imperlati, alati o no che fossero, ma all’impulsiva o repulsiva (non compulsiva) scelta o rifiuto del proprio destino (Dio che guida l’uomo e l’uomo che Lo cavalca).
I heard love is blind. L’uomo e la donna: tigre contro tigre. Amore cieco. Graffiante. Lorenzo e Arianna, due griffe: liberi di perdere la propria umanità per poi trascenderla, o di scendere nella fogna (o nell’abisso) per poi risalire semprevergini. Essenze fragranti. Senza etichetta. Esseri sfolgoranti, in continuo divenire. Arianna e Lorenzo, vetrine in allestimento (senza più manichini). Ben lustrati per la prossima inaugurazione (dopo essere stati listati a lutto). Perduti, si erano ritrovati. Rigenerati, si erano ‘ricreati’ (e si ricreavano in tutti i sensi…).
L’alba, ancora imperlata da gocce di luna, cominciava a rosseggiare pudica, in attesa spasmodica delle prime, audaci, vampate del sole mattutino, ribaldo reduce dalle scorribande notturne nei lerci sottofondi della città terrestre.
Lorenzo e Arianna non erano da meno. Erano tornati al mondo ‘moltiplicati’, ma ri-uniti. Ripuliti da tutte le scorie. Non da tutte le scaglie, però (a proposito, i serpenti… Dove si erano cacciati?). Rimanevano in bilico l’orma del ricordo, l’impronta del passato (e del peccato), la memoria che giace silenziosa (simul iusta et peccatrix), che attende soltanto che qualcuno o qualcosa la risvegli, dicendo la ‘parola’. E il mito, che è parola, sa sempre come tornare in superficie.
Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano. Amici mai (di Venditti), amanti sempre (senza più vendette). Ed eccoli, i ‘mitici’, le ‘vedette’, con una coppa di vino (champagne millesimato) in mano (e una rosa tra le dita di Lorenzo), pronti a danzare tra le nuvole, dopo aver toccato il fondo dell’oceano. Senza retorica o recita da saggio di fine anno. Non erano dei back-guys/girls, dei revenant, dei boomerang.
Love is a losing game. Gli anni erano passati (anche neri – black is back), ma non invano, con i loro andirivieni, tornanti, toboga e bungee-jumping. E con le tracce mnestiche ancora a pelle E ora erano ridiscesi (loro e i loro anni, gli ‘anta’), ma sulle vette, con tutte le fibre dei loro corpi ringiovaniti pronti alla fusione nei ripristinati amplessi d’amore, tra scabri colli e verdeggianti valli. Vedette (lombarde, toscane, pugliesi…).
Vette spianate, colline, dune, giardini. Battesimo di corpi, comunione di anime, cresima di spiriti, unzione. Trinità e unità. Doppia, triplice ‘unzione’. Sulla strada di Elia ed Eliseo, sulla via Emmaus, lontano dal viale di Eliogabalo.
La via di Babalon l’avevano intravista, ma di svista. Babilonia pure (New York. Roma, ancora no). La porta del cielo si era aperta. E via a ogni sensazione, a tutte le emozioni possibili (beninteso, positive). Epidermiche, tattili, duttili. Granitiche. Stalattiti e stalagmiti. Evoluzione della specie.
Polo positivo e polo negativo. Entrambi in pole position. Dalle vette apollinee scivolarono poi negli abissi di Venere. Speziati, impreziositi, spretati. Anche un poì spietati. Volendo dirla alla ‘iki’ (senza dimenticare le atmosfere alla Prevert e, perchè no, alla Baudelaire – con Anna K. a guardare), erano in tre nella stanza: una rosa, una bottiglia di champagne e …loro due.
“Non pretendete che gli altri comprendano l’unione dei vostri corpi nel piacere né la compenetrazione delle vostre menti e dei vostri spiriti. Chi non ha fatto questa esperienza non può capire: non cercate di spiegare perché le parole non servono…” Ashley Thirleby e il suo Tantra avevano facile gioco sulle parole. Anzi, le speziavano ancor più. 
Specie in momenti come questi. Cosmoteandrici, pentecostantrici, ostetrici. Parole fluide ma corpose. Liquide, pronte a imbucarsi in ogni recesso, in ogni andito. Parole ‘cesaree’, corsare. Ma occorreva spaziare oltre. Andare al di là dell’adyton. Verba volant. Ci volevano i fatti. Terra terra. Dissotterrati, spianati, sbucciati. Sbucati dalla memoria akashica.
“Vi furono mai nozze come queste? Un paradiso li ospitava e cherubini e serafini furono i rispettosi invitati.” Come languide anguille, i corpi avvinti si contorcevano, accasciati, avviluppati, atterrati, approdati, ora affioranti, ora imbucati. Efflorescenti, vividi nel loro calore. Intumescenti. Quasi colorati. Cariche e scariche. Arianna e Lorenzo sapevano il fatto loro. E lo facevano. E non avevano un attimo di tregua. Nessuna sosta nel giardino di Eden alla Emily (Dickinson), solo il battito del diapason. La notte era in stand-by (l’alba aveva fatto marcia indietro).
Abbandonati in un intimo, chiuso, abbraccio; aperti l’uno all’altra. Con la vocazione all’alto (e l’uno per l’altro. Senza terzi incomodi o convitati di pietra – semmai di spirito). Dischiusi all’eros che si fa voce, pur nutrendosi di silenzio. Rarefatto, evanescente: la gola che cominciava a schiarirsi e l’ugola che iniziava a vagire.
I respiri in sincronia, tra movimenti asimmetrici eppur combacianti. Ogni chakra aperto al flusso delle energie d’amore. Ars amandi, sinergia delle emozioni e dei feromoni. Un uomo, una donna. Vaghi, vaganti. Vaghe stelle dell’orsa. Maggiore e minore (mai uguali. E se uguali, diversi). Due voci. Concerto a voce sola. Infine, l’urlo.
“Amare è sentire la pressione del corpo assente contro il proprio.” (Anna K. Valerio, sempre lei a infierire, l’orca assassina, mai anoressica – tutta Iki, per grazia, con grazia.) Garcia Lorca e arca di Noè. Sesso: un sasso nello stagno. Fuori dalla palude, in mare aperto, tra correnti e gorghi rotanti. Un rodeo.
Ormoni e sinapsi, gli uni rilasciati, le altre connesse e moltiplicate. Duplicazione degli effetti, l’affetto a fette. E dappertutto, fitte. L’ossitocina a fiotti, affettiva, complice, duplice, semplice. Supplice. La dopamina alle stelle, cupida, pronta ad accopparli (accoppiati lo erano già, corpo, mente e spirito: tre per due).
Il cervello sessuale aveva ormai preso il posto del cervello bradipo. L’epifisi: schiusa. La ghiandola pineale: fusa (sempre più ‘liquida’). I movimenti: sempre più veloci, dopo l’apparente parentesi. Ognuno il prolungamento dell’altro.
Lui e lei in ogni declinazione, coniugati dal qui e ora, apparentati dalla rinnovata familiarità e dalla resuscitata complicità. E poi di nuovo frammentati in un arcipelago di membra alla ricerca l’uno dell’altra, l’una dell’altro. Ricongiunti infine, a formare una sola grande isola. E il letto a fare da piattaforma continentale.
N. B. Per chi non se ne fosse accorto, ho tratto quasi tutto da un mio vecchio post – uno dei primi – Love is a losing game. Solo dopo averlo ripescato mi sono accorto che tra poco ricorre il terzo anniversario della departure della mitica Amy (Bel Ami? “Perché torni sempre da me?” –  “Non lo so. Forse solo per sorprenderti ogni volta…”).
E che vor dì? Che Love is a winning game, specie in un’alba di inizio estate…

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