venerdì 21 ottobre 2016

IL RIBELLE – Cosa bolle in pentola



IL RIBELLE
Cosa bolle in pentola

Partiamo da Clint Eastwood. Lasciamo solo Clint (e la sua colt). Passiamo poi, sull’altra sponda, a Rupert Everett. Ma anche a Rupert Murdoch, per alcuni versi sulla stessa onda politica di Clint. E anche qui lasciamo solo il nome: Rupert.
Facciamo una crasi (o craxi?) tra Clint e Rupert, modificandola un po’, anche geneticamente, ed ecco, da un lato la Clinton dall’altra Trump: una conservatrice ribelle e un ribelle conservatore (o viceversa; oppure, un po’ dell’uno un po’ dell’altro, con un bel po’ di additivi).
Un inizio un popo’ sgangherato per introdurre alcuni concetti e definizioni: quelle di ribelle, identico, identarismo, false identità…
Tutto nasce da un articolo – sul blog Barbadillo – di Alain de Benoist, filosofo e scrittore francese, tra gli animatori, a partire da fine anni’60, del movimento Nouvelle Droite (Nuova Destra). Ecco un estratto (valido per tutti, al di là delle appartenenze o simpatie ideologiche Destra – Sinistra, anche Centro). Il grassetto e i corsivi sono miei.

Dovendo intervenire in una discussione dedicata all’idea di ribellione, la prima delle cose da fare è senz’altro quella di interrogarsi sulla definizione del ribelle, e il miglior modo di farlo è forse quello di paragonare la figura del ribelle a due altre figure, il cui nome comincia tra l’altro con la stessa lettera: il rivoltoso e il rivoluzionario. Queste tre figure hanno indubbiamente degli aspetti in comune. Il ribelle, il rivoltoso e il rivoluzionario, per esempio, incarnano tutti e tre una legittimità che si oppone alla legalità dell’ordine costituito. Ma tra di loro vi sono anche delle differenze.
Il rivoltoso appartiene senza alcun dubbio a tutte le epoche, e il nostro passato ne è testimone. La storia della Francia e dell’Europa può infatti leggersi come un susseguirsi quasi ininterrotto di rivolte popolari, movimenti di protesta e insurrezioni. (…)
Naturalmente le rivolte non sono una prerogativa dell’Ancien Régime, ma sono continuate anche nel periodo repubblicano, e ciò è un segnale di come l’avvento dell’ideologia dei diritti umani non abbia per nulla cambiato le cose. Quest’ultima, universalizzando alcuni valori particolari, ha messo fine a certe oppressioni, ma in compenso ne ha da subito suscitate delle nuove; preoccupandosi degli individui, si è disinteressata delle comunità e dei popoli (…).
Il rivoluzionario appare invece in circostanze storiche molto particolari. Rispetto al rivoltoso, presenta soprattutto due grandi tratti caratteristici: da una parte è dotato di una coscienza ideologica molto più forte, dall’altra manifesta un’esigenza di trasformazione molto più radicale. Ecco perché si oppone a ciò che considera come puramente istintivo, se non ingenuo, nella semplice rivolta. Ed ecco perché, allo stesso modo, rifiuta ogni riformismo, contrapponendo all’ideologia dominante una visione del mondo diversa. In questo senso, il rivoluzionario è una figura della modernità (…).
Tuttavia, accanto ai rivoltosi ed ai rivoluzionari, ci sono anche i dissidenti, i liberi pensatori e i non credenti, i fondatori di samizdats ante litteram, le vittime dei cacciatori di streghe e dei tribunali della Santa Inquisizione, tutti coloro che nel corso della storia sono stati perseguitati, censurati, imprigionati per anticonformismo rispetto alle ortodossie del momento (…). Tutti questi sono già dei ribelli, e continuano ad esistere al giorno d’oggi. Sono coloro che disturbano, coloro di cui i guardiani del pensiero unico hanno deciso di non parlare; se non sono imprigionati, sono messi al bando. Le loro pubblicazioni sono a malapena tollerate, in ogni caso emarginate, condannandoli in questo modo alla morte mediatica e sociale.
Alla pari del rivoltoso, il ribelle rifiuta l’ordine dominante del mondo in seno al quale è stato gettato. Come il rivoluzionario, lo rifiuta in nome di un altro sistema di valori, di una concezione del mondo che trova in se stesso e di cui si fa portatore. Tuttavia, al contrario del rivoltoso o del resistente, il ribelle trae innanzitutto da se stesso ciò che anima il suo atteggiamento. La rivolta è legata ad una situazione, ad una congiuntura che ne è la causa, e si spegne nel momento in cui tale causa sparisce e la situazione cambia. La ribellione invece non è legata solamente alle circostanze, ma è di ordine esistenziale. Il ribelle sente fisicamente ed istintivamente l’impostura. Rivoltosi si diventa, ma ribelli si nasce.
Il ribelle è ribelle perché ogni altro modo di esistere gli è impossibile. Il resistente cessa di resistere quando non ha più i mezzi per farlo. Il ribelle, anche in prigione, continua ad essere un ribelle. Ecco perché se può dirsi perdente, non può mai dirsi vinto. Non sempre i ribelli possono cambiare il mondo. Ma mai il mondo potrà cambiare i ribelli. (…)
Il ribelle è fatto per la lotta, sia essa anche senza speranza. Il ribelle si sente straniero al mondo che abita, ma senza mai smettere di volerlo abitare: sa che non si può nuotare contro corrente se non a condizione di non abbandonare mai il letto del fiume. La distanza interiore che lo caratterizza non lo conduce a rifiutare il contatto, poiché sa che il contatto è necessario alla lotta. E se fa «appello alle foreste» per riprendere un’espressione conosciuta, non è per rifugiarvisi – anche se spesso è in esilio –, ma per riprendere forza.
D’altra parte, scrive ancora Ernst Jünger, «la foresta è dappertutto. Ci sono foreste nel deserto così come nelle città, foreste in cui il Ribelle vive nascosto dietro la maschera di qualche professione. Ci sono foreste nella sua patria, così come in ogni altro suolo in cui si può concretare la sua resistenza. Ma ci sono soprattutto delle foreste nelle retrovie del nemico». Se ciò che distingue il rivoluzionario è la volontà di raggiungere uno scopo, il ribelle incarna innanzitutto uno stato d’animo ed uno stile. Ciò non toglie che sappia anche fissarsi degli obiettivi (…).
Contro che cosa ci si deve ribellare al giorno d’oggi? Di fronte all’ascesa del pensiero unico, di fronte al gonfiarsi di un’onda straordinaria di ciò che non esitiamo a chiamare il conformismo planetario, di fronte alle diverse patologie che affliggono le nostre società, di fronte alle varie minacce che su di esse gravano e che oscurano il loro avvenire, non c’è che l’imbarazzo della scelta.
 
E tu, di fronte alla mondializzazione, alla globalizzazione, all’indifferenziato, alla melassa dei luoghi comuni, da che parte stai? Sì sì o no no? 
Sei un uomo comune, un luogo comune, o un differenziato? Turbi, o disturbi? Sei turbo, biturbo o un tubo?
Identità, false identità, costituzione, de-costruzione, elogio delle differenze e, tuttavia, pari opportunità per tutti. Ma essere differenti, diversi, non deve diventare lo standard…
By the way, lo sapevi che anche Gesù era un ribelle?

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