venerdì 29 giugno 2018

GOCCE DI PIOGGIA A JERICOACOARA


GOCCE DI PIOGGIA A JERICOACOARA
(le ultime)

Le ultime parole del mio romanzo:

“…senza muovermi minimamente per volere le pur grandi ricchezze che Dio ha in sé, l’anima riposa e gode. Dio opera in lei, per lei, senza di lei, tanto meglio quanto più lei è assente.” Visio facialis di Dio sul dance-floor. E di lì sui marciapiedi. Per le strade, sui muri, sui tetti… Visione beatifica già in questa vita. Visione corporea, carnale. Vis-à-vis. Poi, quando sarà il momento, giungerà l’attimo fuggente: la grateful death. Ma ora viviamo, godiamo, leviamo i calici…
     Un lampo (esclar) seguì il fulmine del lumen gloriae, spegnendo con la sua luce smagliante fari e faretti del tempio-dance. Si sentì un suono di campane (un po’ hip-hop). Poi una fragranza al vetiver (questo il profumo dominante, ma l’intreccio aromatico andava ben oltre) invase e permeò l’atmosfera ambient. Ma ognuno la sentì nel suo intimo in modo differente (un unicum): la presenza reale, e sempre diversa, di Cristo che si contempla nell’anima e la riempie tutta, colorandola, insaporendola, profumandola. Dal ‘fumo’ al ‘profumo’: scandalo…
     Pietra dello scandalo: il ‘nobile’ ingresso dello Spirito già in questa vita e l’affacciarsi di questa sulla plenitude (quasi), dopo l’uscita dalla platitude (in toto). Dopo il ‘tocco’, “l’anima può essere toccata dal dispiacere, ma questo non penetra nel suo fondo, non la tocca nel suo centro. Il centro di gravità permanente era stato raggiunto. Colpito. Scolpito nelle anime, nei corpi, negli spiriti.
     Blue in green. Kind of blue. L’atmosfera si fece rosé. Fuori, buio assoluto (la luna dormiva, le stelle erano in libera uscita). A frotte sciamarono dalla discoteca, danzando, cantando, urlando (eppure sembrava s’udisse solo un sottile suono di silenzio). Si sparsero nelle strade, corsero sui muri, scivolarono sui tetti… A piedi, in bici, in moto (le macchine, appiedate). Cristo e l’arte della manutenzione dell’anima.
     Tutti furono toccati. Soprattutto, i cuori. L’aria fu tutta impregnata, saturata, ossigenata. Cominciò a piovere. Diluvio universale (per il momento solo un inizio di piovasco estivo. Ma quante nuvole all’orizzonte!). Nessuna sirena nella notte, solo musica e danze. Preparate il vitello grasso (anche solo un’insalatona).
     Il cielo s’illuminò. Solo un lampo. Eclar. I lampioni, più luminosi del solito. La luna si affacciò al verone (ma Firenze continuava a dormire). Le stelle si precipitarono sotto di lei (non tutte: Florence sogna e c’era chi sognava con lei. Anche chi flirtava all’ombra dei portici – del cielo).
     Pioggia a catinelle. Diana inciampò in un barbone (e le stelle a guardare. Anche la luna, ritrosa). Poco mancò che cadesse (il marciapiede, per di più, era scivoloso). Non si allontanò. Si avvicinò ancor più. Nessuno la trattenne. Volle dargli un po’ d’amore. Ma si limitò a carezzarlo con affetto, carità. S’inginocchiò, lo guardò negli occhi. Pianse. Lui sorrise. I suoi denti erano più bianchi delle perle.









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