mercoledì 4 luglio 2018

VORTEX

VORTEX

Una nave ‘omerica’ finita in secca? Un moderno altare a Poseidone? Una casa del futuro – o del passato preistorico? Una casa surrealista? Una casa fascista? O un rifugio ‘tiberiano’? Da un mondo impazzito? È la casa del dandy e del burlone professionale, l’’arcitaliano’, come lo chiamavano gli amici – o del malinconico romantico tedesco celato sotto la maschera? La ‘pura’ casa di un asceta? O l’inquieto teatro privo di un insaziabile Casanova?… Le parole di Bruce Chatwin, il ‘viaggiatore’, rullanti su Casa Malaparte, ben si attagliavano a Lorenzo e al suo building. Lorenzo come Curzio (o Kurt?)… Quel Malaparte (‘malacarne’) che già aveva indicato in Mussolini “un restauratore dell’autorità, della fede, del dogma, dell’eroismo, contro lo spirito critico, scettico, razionalista e illuminista dell’Occidente.” Casa vorticista, la casa caprese di quel grand’esteta del Curzio (e della gaia Capri di Krupp e armerie omo-amatoriali varie): fascista, archeofuturista, vulcanica (vulcanista?), ossimorica…
L’imagismo e il verticismo, un vortice di stili e passioni in cui si fondevano astrattismo fotografico, futurismo, neo-orfismo e cubismo. Per poi ricomporsi e di nuovo liquefarsi in fluidità e prospettive multiple, alla Bernard Tschumi e alla Zaha Hadid. Proprio come, virtualmente (e talvolta concretamente), in Lorenzo (altalenante, in architettura – e non solo –, tra l’’albino’ Terragni e gli ipercolorati Arquitectonica, quelli del complesso The Atlantis di Miami-vice. Ma con un occhio, ipermetrope, al gruppo SITE, con le loro facciate frastagliate, scollate e scollacciate).

Una nave da crociera buca il silenzio della notte. La ‘baia del gabbiano’ l’approdo. Qualcuno scende. Poi la nave scompare. Nessun rumore, prima e dopo. Nel mezzo uno strappo: srotolata è la vita, dalla trama esce l’anima, finemente intessuta, di nero striata. Si stira, tira fuori le unghie, inizia a graffiare. Sfioro l’urlo ma mi rinserro. È lei a graffiarmi, la notte mi fa solo il solletico. È il suo orlo che mi tocca. Annamaria il nome (le sue labbra mi abbordano, mi vellicano – e non ho il vello). Pelle nuda, schietta, schiva, velvet underground. Sotto, audace, palpita il cuore (il suo, i miei muscoli di contorno). Amore che squassa l’anima.
“Se qualche poco di luce da lontano mi viene, è da te Jonio gentile, che le muse riconduci ai lidi degli Dei: fra l’uva e l’uliva Eros ancora versa vino agile e resina…” La sabbia infreddolita aggredisce le calde membra roride di sale e d’ambra (forse, d’ambrosia). Mi aggrappo al carro (del perdente). Catullo, Saffo? Di loro il soffio (e il carme? Scarmigliante sospiro di Raffaele Carrieri, bollente fiumano dei due mari, smagliante parigino-meneghino d’antan, sciabordato via in sciaraballe dalla molle Tarentum, tuttora imballata. E non sono balle). Bollicine…
Eros che scioglie le membra. S’allunga il cono d’ombra. Il mare: un lago di champagne (e le bollicine? Imperlano la sabbia nostra compagna). Sciaborda l’acqua, sfugge al laccio della luna. “Eccola, eccola là, eccola là, la Luna… C’era la Luna! La Luna!” (e le stelle? Una, nessuna, centomila…). Selene, cameratesca, sfoggia allegra il suo abito da sera, lungo. La coda del suo candore raggiunge i nostri corpi, ne sbianca le bronzee finiture, aggiunge loro bianche vampate di energia, vitalità, salus. Immacolata tra le stelle riposa discosta la sua casta veste da camera. Tutto gronda, tutto pulsa. In tutto un impulso. Bollicine, lucori, turgori, luccicanze lunari. Love goes on.

Il getto d’acqua tiepida cominciò a distribuirsi generosamente ed equamente su dossi e curve. Scivolò, quindi, fin nelle cunette, non disdegnando le superfici piane (poche) e le valli fiorite. Toccò poi il fondo rugoso, deviando all’improvviso verso l’omphalos, per scomparire infine negli abissi. Acqua a fiotti, frettolosa, per masse fluttuanti. Acqua nei fiordi. Per Fiordaliso.
Le pareti translucide, sia pur riottose, non poterono evitare il contatto bagnato che ne imperlava la superficie interna. E lo scontato scontro con le masse oscillanti. Anzi, queste parevano godere della situazione. E per ricambiare la cortesia, furono ben liete di fornire un esile ma volenteroso sostegno ai volumi dinamizzati. Diritti, flessi, combacianti, intricati. Il segreto e l’ignoto. Spazzolati. Cento colpi. Uno più, uno meno. Corpi scolpiti. Ben torniti. Vincolati, slegati, vincenti. Persi, costretti nel piccolo ambito, ma incuranti del contorno. Vibranti oltre i limiti di sicurezza (e della decenza). Bastevoli a se stessi, ma in procinto di tracimare.
Silenzio prima di uscire, silenzio prima di entrare. In mezzo, una cascata di suoni. Il contatto delle masse e delle superfici, il fluire e il rifluire dell’acqua corrente, il perlage, l’aria vintage, il parlottio sincopato, quasi dopato. Forse metalinguistico. Tutto parlava. Tutto taceva nell’infittirsi dei suoni. E dei movimenti. Iniziali, al climax, finali. E al calare del sipario, ecco subentrare l’uscita trionfante dalla cabina della doccia e l’ingresso sottotono negli accappatoi impazienti…



Nessun commento: