VORTEX
”Una
nave ‘omerica’ finita in secca? Un moderno altare a Poseidone? Una casa del
futuro – o del passato preistorico? Una casa surrealista? Una casa fascista? O
un rifugio ‘tiberiano’? Da un mondo impazzito? È la casa del
dandy e del burlone professionale, l’’arcitaliano’, come lo chiamavano gli
amici – o del malinconico romantico tedesco celato sotto la maschera? La ‘pura’
casa di un asceta? O l’inquieto teatro privo di un insaziabile Casanova?…” Le
parole di Bruce Chatwin, il ‘viaggiatore’, rullanti su Casa Malaparte, ben si attagliavano a Lorenzo e al suo building.
Lorenzo come Curzio (o Kurt?)… Quel Malaparte (‘malacarne’) che già aveva
indicato in Mussolini “un restauratore dell’autorità, della fede, del dogma,
dell’eroismo, contro lo spirito critico, scettico, razionalista e illuminista
dell’Occidente.” Casa vorticista, la casa caprese di quel grand’esteta del
Curzio (e della gaia Capri di Krupp e
armerie omo-amatoriali varie): fascista, archeofuturista, vulcanica
(vulcanista?), ossimorica…
L’imagismo
e il verticismo, un vortice di stili e passioni in cui si fondevano astrattismo
fotografico, futurismo, neo-orfismo e cubismo. Per poi ricomporsi e di nuovo
liquefarsi in fluidità e prospettive multiple, alla Bernard Tschumi e alla Zaha
Hadid. Proprio come, virtualmente (e talvolta concretamente), in Lorenzo
(altalenante, in architettura – e non solo –, tra l’’albino’ Terragni e gli
ipercolorati Arquitectonica, quelli del complesso The Atlantis di Miami-vice.
Ma con un occhio, ipermetrope, al gruppo SITE, con le loro facciate
frastagliate, scollate e scollacciate).
Una nave da crociera buca il silenzio
della notte. La ‘baia del gabbiano’ l’approdo. Qualcuno scende. Poi la nave
scompare. Nessun rumore, prima e dopo. Nel mezzo uno strappo: srotolata è la
vita, dalla trama esce l’anima, finemente intessuta, di nero striata. Si stira,
tira fuori le unghie, inizia a graffiare. Sfioro l’urlo ma mi rinserro. È lei a
graffiarmi, la notte mi fa solo il solletico. È il suo orlo che mi tocca.
Annamaria il nome (le sue labbra mi abbordano, mi vellicano – e non ho il
vello). Pelle nuda, schietta, schiva, velvet
underground. Sotto, audace, palpita il cuore (il suo, i miei muscoli di
contorno). Amore che squassa l’anima.
“Se
qualche poco di luce da lontano mi viene, è da te Jonio gentile, che le muse
riconduci ai lidi degli Dei: fra l’uva e l’uliva Eros ancora versa vino agile e
resina…” La sabbia
infreddolita aggredisce le calde membra roride di sale e d’ambra (forse,
d’ambrosia). Mi aggrappo al carro (del perdente). Catullo, Saffo? Di loro il
soffio (e il carme? Scarmigliante sospiro di Raffaele Carrieri, bollente
fiumano dei due mari, smagliante parigino-meneghino d’antan, sciabordato via in
sciaraballe dalla molle Tarentum, tuttora
imballata. E non sono balle). Bollicine…
Eros
che scioglie le membra. S’allunga
il cono d’ombra. Il mare: un lago di champagne (e le bollicine? Imperlano la
sabbia nostra compagna). Sciaborda l’acqua, sfugge al laccio della luna. “Eccola, eccola là, eccola là, la Luna…
C’era la Luna! La Luna!” (e le stelle? Una, nessuna, centomila…). Selene,
cameratesca, sfoggia allegra il suo abito da sera, lungo. La coda del suo
candore raggiunge i nostri corpi, ne sbianca le bronzee finiture, aggiunge loro
bianche vampate di energia, vitalità, salus. Immacolata tra le stelle riposa
discosta la sua casta veste da camera. Tutto gronda, tutto pulsa. In tutto un
impulso. Bollicine, lucori, turgori, luccicanze lunari. Love goes on.
Il
getto d’acqua tiepida cominciò a distribuirsi generosamente ed equamente su
dossi e curve. Scivolò, quindi, fin nelle cunette, non disdegnando le superfici
piane (poche) e le valli fiorite. Toccò poi il fondo rugoso, deviando
all’improvviso verso l’omphalos, per scomparire infine negli abissi. Acqua a
fiotti, frettolosa, per masse fluttuanti. Acqua nei fiordi. Per Fiordaliso.
Le
pareti translucide, sia pur riottose, non poterono evitare il contatto bagnato
che ne imperlava la superficie interna. E lo scontato scontro con le masse
oscillanti. Anzi, queste parevano godere della situazione. E per ricambiare la
cortesia, furono ben liete di fornire un esile ma volenteroso sostegno ai
volumi dinamizzati. Diritti, flessi, combacianti, intricati. Il segreto e
l’ignoto. Spazzolati. Cento colpi. Uno più, uno meno. Corpi scolpiti.
Ben torniti. Vincolati, slegati, vincenti. Persi, costretti nel piccolo ambito,
ma incuranti del contorno. Vibranti oltre i limiti di sicurezza (e della
decenza). Bastevoli a se stessi, ma in procinto di tracimare.
Silenzio
prima di uscire, silenzio prima di entrare. In mezzo, una cascata di suoni. Il
contatto delle masse e delle superfici, il fluire e il rifluire dell’acqua
corrente, il perlage, l’aria vintage, il parlottio sincopato, quasi dopato.
Forse metalinguistico. Tutto parlava. Tutto taceva nell’infittirsi dei suoni. E
dei movimenti. Iniziali, al climax, finali. E al calare del sipario, ecco
subentrare l’uscita trionfante dalla cabina della doccia e l’ingresso sottotono
negli accappatoi impazienti…
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