GOCCE DI PIOGGIA A JERICOACOARA
(Gocce)
Tempo d’estate, tempo di letture.
Eccovi, dunque, due assaggini dal mio “Gocce di pioggia a Jericoacoara”
(gli incipit dei capitolo 1 e 11. Tanto
per gradire.
L’INCONTRO
È dolce la stagione della raccolta,
quando
il guardiano è lontano.
Plutarco
1
«Ma quanto sei strana!»
Il bronzeo addetto alla piscina irruppe da
chissà quale anfratto, fiondandosi tra le sdraio e gli ombrelloni strapazzati
dalla pioggia con la sfrontatezza di chi vuol battere sul tempo un sole
paonazzo e pieno di voglie tanto improvvise quanto prevedibili. Poi il
bay-watch prestato alla terraferma cambiò di colpo marcia e, ciondolando –
caracollando – tra le pozzanghere, guadagnò il bordo-vasca col piglio di chi
getta l’amo per adescare uno squalo.
L’occhio umido (non solo di pioggia) prese
a dardeggiare il fluttuante contorno sinuoso che dava un senso all’asettico
rettangolo d’acqua, col fermo proposito di colpire il bersaglio mobile al primo
colpo.
«Solo la pioggia o la luna riescono a fare
il miracolo. Solo loro riescono a farti tuffare...»
Offuscando le parole-esca e mettendo a
tacere gli ultimi vagiti meteo, il sorriso (invocato) di lei fece capolino tra
le increspature e il cloro, complice e promettente. Nessun indizio, niente che
facesse preludere all’epilogo politicamente scorretto. Non la gimcana di
labbra sulla pelle che il bagnino aveva messo in conto tra i sogni nel cassetto
(insieme a qualche tuffo con la bella naiade), ma solo una risposta da brivido
blu:
«Ho
il cuore pieno di ceneri e di scorza di limone. Andrò solo dentro me stessa. Mi
troverai sempre là...»
Scagliato il dardo al curaro sul san
Sebastiano di turno (il bagnino), paga dell’effetto sorpresa, la bionda ondina
riguadagnò il bordo-piscina. Salì come da videoclip la scaletta cromata,
schioccò un solare ‘ciao!’ da trailer al gallo cedrone dall’ala spezzata
e, sfioratane l’epidermide bronzea (di colpo sbiancata), gli lasciò – sapore di
sale – il chimerico assaggio di quel suo tatuaggio sfarfalleggiante sulla pelle
bagnata.
Gaia era fatta così: non solo tattoo ma
anche taboo. Una vita esaltata da brevi ma intensi deliri, la magia di
lunghi silenzi bruscamente interrotti da taglienti ossimori, paradossi, voli
pindarici, esternazioni frappant. E se qualcuno (non pochi) sostava,
rapito, davanti a quest’opera d’arte (e non da tre soldi...) – un taglio
di Fontana sulla tela bianca della vita – veniva immancabilmente colpito da
un’inattesa sindrome di Stendhal.
Gaia o dell’avventura dell’esistenza,
un ossimoro vivente più che un paradosso. Tutto questo si sarebbe
potuto dire – a posteriori – di Gaia (anche il nome). Ma ormai il fugace biondo
oggetto del desiderio era fuori campo e a Lorenzo – il terzo silenzioso
incomodo (convitato di pietra, nel vero senso del termine) – non rimase
che rituffarsi nelle pagine appena lambite da una di quelle piogge lampo
settembrine che il Gargano riservava ai suoi ultimi ospiti.
Il turbine (anche sensoriale) era ormai passato, senza lasciare
– così il buon Lorenzo pensava – tracce: lui di Gaia conosceva – e
gl’importava – solo la Scienza…
LO SCONTRO
Lui non feriscono l’armi,
Lui non brucia il fuoco,
Lui non bagnano l’acque,
Lui non dissecca il vento.
Bhagavadgita
11
Gaia nuotava come
una sirena. Il due pezzi – viola con bordura verde under, il top verde
integrale – era quello dello scoop domenicale. Lorenzo non era da meno (anche
riguardo al monokini, rigorosamente blu elettrico), da buon tritone o delfino
memore delle sue origini ioniche, ma mai applicate così alla lettera come in
quest’occasione. Anzi, se nella piscina le sue evoluzioni erano state piuttosto
sottotono (più che altro, mono-tono), nelle frizzanti acque della baia si
aprirono a ventaglio. Toniche, in un pavoneggiamento spontaneo, schietto,
geneticamente non modificato.
«Dai, raggiungiamo Portopiatto a nuoto.»
In altri tempi questa sarebbe stata una
provocazione che Lorenzo mai e poi mai avrebbe accolto. Specie da quando, a
dieci anni, aveva rischiato di annegare. Lui, il ragazzino timido e solitario
che si prefissava una meta – una boa, una barca, i pali delle cozze –, per poi
raggiungerla in nuotata solitaria, sempre però con l’ausilio delle sue tanto
amate pinne. Solo che quel settembre di una quarantina di anni prima (sì,
proprio settembre...) qualcosa non era andato per il verso giusto. Anche perché
aveva introdotto una variante: niente pinne, niente sotterfugi, ad armi pari.
Un’andata da favola – a piedi nudi alla
meta (era però solo a metà dell’opera) – ma, al ritorno, sullo sfondo,
l’Aventino: la fatica si fece sotto. E lui, avventato, rischiò di andare a
fondo. Le forze, avventizie, gli vennero meno a un centinaio di metri dalla
riva, una bella distanza per la sua acerba età, ma Lorenzo, pur in preda al
montante panico, non chiese aiuto, rischiando così di affogare – e di mandare
all’aria (anzi sott’acqua) il progetto di vita riservatogli ab eterno.
Virile dignità, terrore, assenza di paura? Viltà, forza di volontà? Difficile
da dirsi. Uniche certezze: nessun’anima viva nei pressi, profondo il mare, le
sue forze a fondo.
Eppure, non sa come, riguadagnò la riva
senza che i suoi e nessun altro (almeno nel mondo visibile…) si fossero resi
conto della sua ‘distretta’. Il piccolo Lorenzo non lasciò trasparire nulla, ma
da allora il giocattolo si era irrimediabilmente rotto. Solo da qualche anno
aveva ripreso, prima timidamente poi con una certa naturalezza, ad avventurarsi
un po’ oltre, ma solo un po’, mai al largo. Malgré
tout, il mare aperto era sempre lì pronto ad accoglierlo. E lui, dopo
l’incontro con Gaia, non avrebbe mai più risposto con uno sdegnoso rifiuto...
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