BRIDGE
OVER TROUBLED WATER.
Bridge over troubled water. Sono un ponte sospeso sul mondo (e con i piloni fondati
sull’abisso – e non faccio ancora parte dello star-system). Miro (al)le stelle (specie poi da quando sono
approdato su certi ‘siti’: dapprima, quello di Miro; poi sempre più in alto, li dove danzano le spade e infierisce
il cultro). L’uomo, ‘pontiggia’ Pennac, “scrive
libri perché si sa mortale. Vive in gruppo perché è gregario, ma legge perché è
solo…” E io voglio essere immortale e libero come uno steppenwolf. Ma cerco compagnia…
Avrei potuto farmi anch’io il mio blog. Avrei trovato compagnia
(Miro non c’era più, aveva lasciato
il web, non so fino a quando: ero io il destinato a prenderne la torcia?).
Avrei potuto scrivere quanto e quel che volevo. A ruota libera. E se foravo? Kissenefregava. Me ne sarei impipato
dell’editore (non ne avrei avuto la necessità). Libero, senza controlli, senza
censure… Alla Céline, l’irregolare, a
costo dell’altrui disdoro: “Contro di lui
tutto è permesso, la muta non demorde.” Ma ho staccato la spina (dal web)
già prima di infilarla nella presa (internet non mi ha mai veramente preso, se non
di necessità virtù. Ma ora il vento è cambiato e soffia dove e come vuole…). Non sono un professionista della
scrittura (ma al blog di ‘psico-filo-teo-scrittura creativa’ – Dal caos la stella danzante – ho dato il
mio fiat). Come Cioran, non voglio rinunciare
al mio ‘dilettantismo’. “Se fossi costretto a rinunciarvi è
nell’urlo che vorrei specializzarmi.” E non sono un vizioso, e poi… avrei sprecato troppo tempo online:
io devo scrivere, scrivere, scrivere…
Ma su carta (fosse pure carta carbone, o velina – quest’ultima mi dava più
chance).
“Via le scarpe basse, via le orride
ballerine, via gli stivali rasoterra. Da oggi solo altezze aeree. Da oggi si
sale su, ci si slancia e si ondeggia e si affonda di più sul cemento. Ché anche
la musica la segui meglio e i capelli scivolano ondosi e la gonna trova quel
perfetto punto della gamba in cui fermarsi e i tendini sparano in su e senti
che potresti, davvero, arrivare dovunque, e tutti lo noterebbero, che arrivi.
Le ginocchia così meravigliosamente elastiche. E la caviglia, sì, bellissima
riflessa nello specchio del negozio sotto casa, fra il nero e la luce del sole
e dell’ombra.” Anche se non porterò mai la gonna (mai dire
mai…), ne ho avuto conferma dal blog di tal Gaia (nomen est numen – e poi di
dee ne conosco un paio): devo volare alto, a costo di scivolare.
“La punta pivottante si sradicò dalla
curva superiore, ruotando di novanta gradi fino a toccare la superficie
d’appoggio, per poi rotolarvisi sopra e scomparire nel buio. Senza rumore.
Priva dello stiletto, la sovrastruttura eccentrica venne meno, atterrando non
priva di grazia sulla pista ancora pulsante di vita superiore. Con rumore.
Marzia
si rialzò e riprese il breve viaggio, recuperando lo svantaggio sulle altre
ragazze. La musica degli Oasis, eccessiva ma energizzante, continuava a
martellare. Compulsiva, più un tapis roulant che un tappeto sonoro. Ma era
quella giusta – concordia discors – per l’ora e la controra. Chiodo scaccia
chiodo.”
Splash. Rischiavo, sì, il
naufragio (ormai ballavo da solo – diaballein),
ma volevo navigare nelle acque del logos. Con il simbolo come ciambella di salvataggio. Helzapoppin’. Onda su onda, tra zapping e spleen, schiuma di saudade e folate di stimmung. Ma anche con un occhio (il terzo) al futuro adveniente. New moon o eclipse? Cercavo il sole sorgivo e continuavo a fantasticare nella twilight zone (lì le acque mi sembravano
più calme) “… dove attorno a me non c’era nessuno. Nessun ricordo. Odio i ricordi. Odio
amare. Ho sognato un destino diverso.”.
“Quello
che veramente ami è la tua vera eredità, strappa da te la vanità … cerca nel
verde mondo quale posto possa essere il tuo … strappa da te la vanità … sei un
cane bastonato sotto la grandine, un’ortica rigonfia in uno spasmo di sole,
metà nero metà bianco … strappa da te la vanità, ti dico strappala…” Vagavo nel buio come un caino segnato (e
trasognato), nei coni d’ombra terracquei e nelle atre profondità plutoniche (la
Santacroce come Virgilio – ma io la tradivo con le altre). Anche a costo di
inciampare, scivolare, impaludarmi, scontrarmi con il treno del presente. Del
resto, per dirla alla Céline (quello dei puntini di sospensione), il lato teatrale del disastro mi
entusiasmava. Sì, mi spingeva verso nuove
thule (prima c’erano state solo tulle, pizzi, fiori artificiali). Piccoli scrittori crescono.
”Recatemi i vostri poveri, i vostri infelici,
tutti coloro che vorrebbero respirare liberamente, i tristi relitti delle
vostre rive sovrappopolate. Inviatemi i senza-casa, le vittime della tempesta: la
mia fiaccola li guiderà sulla soglia delle porte d’oro.”
Porte di corno, d’avorio,
d’oro. Non era solo questione di sogni. Occorreva un cambiamento di segno. Signum aeternitatis.
Volevo uccidere la noia,
tirare il collo alle mie paure… Tiravo calci alle porte per entrare nella vera conoscenza (la Sofia di
Lorenzo) e succhiarne il midollo (fino ad allora – prima dell’ultimo tocco al
libro – ero in ammollo, molliccio, mieloso: eppure, in me urgeva, sia pure mignon, l’Übermensch).
”Meglio essere un delinquente che un
borghese” aveva dichiarato lapidariamente il giovane Ernst Jünger. Prima
pietra. La seconda: “…e mentre io guardo
la tua pace, dorme quello spirto
guerrier ch’entro mi rugge.” Conclusione (foscoliana. Ai limiti del
fosco, e del bosco): si svegliò guerriero. E Lorenzo, leopardato e jeopardized, iniziò a tirare le pietre
(e non era brutto…).
E poi solo i delinquenti sanno far
bene all’amore… (direbbe, eretica, l’eterea arya, librettista dell’eros
sublime). Non delinquo, nemmeno sdilinquisco – e non giaccio nemmeno in
deliquio: sto sulla diaccia (o ignea?) linea di confine tra mondo e iper-mondo
(per il momento ‘inter-loquisco’). Sarò stato metrosexual (nella recherche nottaiola,
meno in quella vitaiola), ma non
sognavo Beckham. La rete non mi ha mai veramente
preso (me lo ripeto spesso, per non farmi irretire). Specie ora che sono
per la penna: un indiano metropolitano indeciso
tra gli sneakers e i tacchi a spillo.
Nietzsche… Da Antigone all’antagonismo urbano:
volevo buttarmi nell’agone (per imbucarmi poi nei portici e scivolare nei
salotti al caviale – glisso sugli stadi: la
curva non me gusta). “Se sapessi
veramente scrivere, potrei realizzare qualcosa che uccidesse tutti quelli che
la leggano.” Burroughs, Heavy Metal, Soft Machine. Tutti in macchina. Volevo liberare il mondo dalla storia. Non
voglio essere un notaio dell’esistenza, ma il profumiere dell’essenza.
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