MORULE
Ci
incontriamo agli angoli delle strade. A coppie, a grappoli, a stringhe sempre
meno sottili. Cresciamo all’ombra dei portici, come batteri, morule, embrioni
di future miriadi, angeli sparsi in cerca di paradisi possibili.
Siamo
le membrane plasmatiche del centro e delle periferie urbane, giunzioni
occludenti il vuoto delle menti e delle anime, teurgi plastici in cerca di
corpi da rigenerare. Col forcipe dello spirito recidiamo le sbarre dell’anima e
liberiamo dai ceppi impazienti i dèmoni dormienti. I nostri e gli altrui.
Senza
addomesticarli li mandiamo allo sbaraglio tra i ‘petits bourgeois’ della ‘comédie humaine’ (dèmoni versus
demòni: slitta l’accentazione cambia l’eone). Randomizzati vagano impacciati ma
indomiti nelle piazze, nelle case, nelle menti, nelle paludi del
caravanserraglio globale – dove sbuffa behemot, gingillo degli dèi e trastullo
dei titani, e striscia il leviatano, un po’ biscione un po’ caimano.
Bariamo
sui numeri (ma nel frattempo cresciamo a dismisura), saltiamo sui corpi,
puntiamo sulle anime (e lo spirito? Sotto sale). Ci arrampichiamo sui muri,
scivoliamo nei sottotetti, glissiamo sui salotti buoni. Ma verrà anche il loro
turno – tour e retour.
E
allora, che aspettate? Il turn-over? Tornite e guarnite le tartine al caviale,
la pallina sta per fermarsi! Là bas.
Rien
va plus. Il gioco si fa duro. E scivoloso. Ma dolce è l’attesa (meno le
doglie). Arde il rovo, la voce chiama… “Siate caldi oppure freddi: ma i tiepidi
li vomiterò nella Geenna.” Caos calmo, ciechi spasmi, miasmi cosmici:
l’universo attende con ansia l’epifania teandrica – non sa cosa vuole, ma vuole
qualcosa!
Alta
marea: la terracquea arena è lì che aspetta, vociante, torbida, ondeggiante. Bassa
marea: nella platitude vacua vaticina torpida la platea (e non è il Vaticano).
Ogni tribuna e tribuno è in tiepida attesa di un messia o di una miss (tutto fa
brodo – questa la voce del mondo). “Ah, se Erostrato il grande li ghermisse e
facesse assaggiare a tutti i tiepidi il caldo estremo che raggela!” (la cultrea
voce dal profondo).
E
noi? Infine nudi nello spirito, ancora paludati nell’azione, palestrati
nell’animo continuiamo a nasconderci
nelle segrete latebre delle lubriche piazze affollate. Per poi sbucare alla
Kubrik nelle strade bucate e imbucarci, zampillanti e ludici come eroine
zompanti, tra gli zombi nei corridoi sussurranti – riservando ai gorgoglianti portici
le nostre residue ore aliene (è lì, nelle gallerie urbane, il nostro brodo di
coltura).
Tuareg
nel deserto che cresce, effimeri panici al galoppo, ossimorici lunatici
grondanti gelide passioni; cammelli sgobbanti, leoni reboanti, fanciulli
vocianti investiti da folate di sottile silenzio: questi noi siamo. L’ultimo
uomo è appena nato e una donna sta per ucciderlo.
(tratto dal mio
inedito “Nietzsche: sneakers o tacchi a spillo”?)
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