GETTA IL TUO PANE SULLE ACQUE
Lunedì, inizio della settimana lavorativa (anche per chi non lavora): lavorare per il pane quotidiano (anche per piacere, vocazione, condivisione di
talenti)…
E a proposito di “panem et circenses” (ma in versione più “alta”, non certo “plebea”), vi propongo un breve brano tratto dal mio romanzo “Gocce di pioggia a Jericoacoara”).
E a proposito di “panem et circenses” (ma in versione più “alta”, non certo “plebea”), vi propongo un breve brano tratto dal mio romanzo “Gocce di pioggia a Jericoacoara”).
Getta il tuo pane
sulle acque, perché dopo molto tempo lo ritroverai. Abbattuto il muro di cellofan, messa alla
berlina ogni timidezza, la contiguità tra i due si fece comunione. E comunicarono.
Le parole tra lui e Gaia (il nome della ragazza non era più un
segreto per Lorenzo: anche se avrebbe fatto più fino saperlo dopo...) si
rincorrevano tra le balze dei loro territori ora senza più confini; i pochi
silenzi sembravano fatti della stessa stoffa delle parole. Silenzi sempre più
rarefatti, pronti però a riprendere, man mano, vigore.
Sintonizzati sulle stesse frequenze, Gaia e Lorenzo ebbero,
contemporaneamente, la sensazione panica (nel senso bucolico) di essere un
tutt’uno con l’erba, i fiori, i cespugli; con il vociare dei ragazzi e delle
ragazze che percorrevano, proprio in quel magico istante, il sentiero
sottostante. Col flautare della brezza settembrina, tutt’uno col battito del
cuore della formica che dalla mano di lui era passata a quella di lei...
Il tempo, fino a quel momento acerbo, giunse a maturazione e
stillò gocce di Kairòs: il tempo propizio pensò bene di fermare
le lancette del Chronos, del tempo qualunque (e qualunquista).
Come può esserci
Eros senza Imeros? Amore senza Desiderio? I due, ciascuno prima perso nel suo viaggio al
termine della notte, si avvicinarono sempre più (la formica...), fino a
sfiorarsi in più punti strategici. Un lieve, improvviso, fruscio d’aria
increspò i capelli di lei, facendoli vibrare sul viso di lui. Furono uno: lo
stesso misterioso montante desiderio, la stessa cruda sensualità che si offriva
spontanea e naturale. Un’aspra dolcezza (l’ossimoro…) che fluiva sottopelle,
come in rivoli sotterranei mai esplorati. Lo stupore e l’innocenza dei sensi.
Complicità e confidenza tra i corpi e le menti (e il luogo). L’eros che si
fa ethos.
Lorenzo e Gaia: il corpo di lei abbandonato accanto al suo, le
vibrazioni del suo respiro che si accordavano armoniosamente con quelle delle
sue membra. Una sinfonia di bassi, di acuti, di silenzi, che sembravano fatti
della stessa organza dell’ambiente circostante. Magico, soprannaturale, ma
vibrante di passione, di vita, carne e sangue...
Come può esserci Eros se non c’è
Afrodite? Più che Laing poté Plutarco!
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