mercoledì 28 gennaio 2009

Un, due, tre... neshamah!


”… quel grande e vero Anfibio la cui natura acconsente a vivere, non solo, come altre creature, in diversi elementi, ma in mondi separati e distinti” (Sir Thomas Browne).
L’uomo: il grande ‘anfibio’… diviso tra ‘cielo’ e terra.

Cielo in terra, cielo in basso; stelle in alto, stelle in basso; tutto quello che è in alto è pure in basso…” questa legge analogica, retaggio quanto mai attuale della Sapienza (la Sophia) e della Tradizione, ci ricorda – ci riporta al ‘cuore’ – quella che è una grande verità: la multiforme apparenza della realtà si riassume in una singola unità. Ogni unicum, ogni ‘unità’, per essere efficace e agire sulla realtà (il regno delle cose), deve contenere in sé la molteplicità.

Dall’uno al molteplice: se l’Uno è la tesi e il Due (dualità, divisione, diavolo… ma anche dì – giorno, luceDio, donna…) pone – e presuppone – l’antitesi (la ‘lotta’), il Tre dispone – e propone – la sintesi (la ‘pacificazione’) degli opposti: si vis pacem para bellum!

Vediamo cosa accade nell’uomo, come questo processo di tesi (Dio) e di antitesi (il mondo) venga qui sintetizzato: l’uomo come sintesi tra la tesi (Dio, lo Spirito) e l’antitesi (la materia, il corpo). Se, come vuole la Tradizione, Deus inversus est daemon (ma, a mio parere, più che l’altra faccia della stessa medaglia, o della ‘luna’, l’inversus è solo una ‘scheggia impazzita’, un ‘frammento di ritorno’ del Caos che vuole ‘intromettersi’ nel nuovo ordine del Cosmos: dal caos la stella danzante…), e quindi la dualità è il primo passo, la trinità è il passo successivo (e definitivo: altri ordini più complessi, basati sul sette, l’otto o il nove, numeri tra loro ‘collegati’, non sono altro che estrinsecazione o suddivisione più ‘minuta’ dell’ordine ternario di base).

Dalla dualità alla trinità: si è abituati a considerare l’uomo ‘diviso’ in corpo e anima: il primo è la parte esteriore, visibile, dell’essere umano, la seconda è la parte interiore, invisibile (anche ‘spirituale’, per chi ha il coraggio di usare questo termine e non si ferma alla ‘mente’). Pertanto, il concetto corrente circa l’essere umano è dualista. Questo è vero, fin troppo spesso, nella pratica, ma, in realtà (e nell’essenza – e idea – delle cose), l’uomo è tripartito: corpo, anima e spirito.

Del corpo ne sappiamo abbastanza (ma non è mai troppo); quanto agli ultimi due: ai limiti della sufficienza. Già il fatto che li si consideri sinonimi (o delle ‘varianti’, o l’uno il ‘prolungamento’ dell’altro) la dice lunga su quanto corta sia la nostra conoscenza su di essi. Ma questi ultimi due termini – anima e spirito – non sono affatto alla stessa stregua, anche se nella pratica corrente l’uno (l’anima) ingloba l’altro (lo spirito). È sì vero che anemos – ‘vento’ o, solo, ‘soffio’ – e ‘spirito’ hanno lo stesso ‘respiro’, ma una cosa è l’analogia tra le parole (che già nel greco, tra psyché – ‘ombra’, farfalla – e pneuma – respiro, soffio animatore – è meno evidente), talora solo flatus vocis, ben altro è fare l’’analisi’ delle stesse parole alla ricerca del loro significato profondo (quello vero).

“Dio, il Signore formò l’uomo dalla polvere della terra, gli soffiò nelle narici un alito vitale e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7). Appena ‘l’alito vitale’ (che sarà poi lo spirito dell’uomo) venne in contatto con il corpo, l’anima ne fu il risultato. L’anima è dunque una combinazione di corpo e spirito, ed ecco perché l’uomo viene definito un’anima vivente. L’alito vitale divino (il ‘soffio’ dello Spirito) diventa, quindi, lo spirito dell'uomo, cioè il principio (l’essenza) di vita che è dentro di lui (Gesù ha detto: È lo spirito che vivifica” Giovanni 6,63). E questo vale, sia pur detto in altri modi, in ogni Tradizione umana: è nell’essenza – e sostanza – delle cose…

Passando, per conferma, dalle radici cristiane all’’humus’ ebraico: Neshamah è lo spirito, di natura divina, pura e nobile. Nefesh e Ruah sono due ‘livelli’ dell’anima: la prima è l’anima fisica, legata al mondo materiale, che si trova in ogni essere umano, in quanto entra in lui nel momento della nascita. È l'aspetto ‘animale’ dell'uomo, che sovrintende a tutte le funzioni mentali e organiche e può commettere il male per appagare un bisogno, un impulso, un ‘raptus’. Ruah è l’anima sensibile, capace di discernere fra il bene e il male, di scegliere la via della saggezza o la legge del desiderio.

Tornando alle ‘radici’ cristiane (senza voler sottovalutare – tutt’altro! – le radici greche, fino a quelle indoeuropee), la ‘tri-unità’ umana è ribadita da Paolo in 1 Tessalonicesi 5,23, lì dove dice: “… l’intero essere vostro, lo spirito, l’anima e il corpo, sia conservato irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo”. Corpo, anima e spirito (Paolo, per metterli ‘in riga’, li nomina dall’’’alto’ in ‘basso’): rispettivamente, gli ‘organi’ in movimento nello spazio, nel ‘piano’ (il ‘piano mentale’, il ‘piano emozionale’, ecc.) e tra i ‘punti’ (lì dove le ‘dimensioni’ sfumano nell’infinito ‘Nulla’…).

Passando dal 'contenitore' al 'contenuto', lo spirito è l’organo della coscienza, dell’intuizione e della comunione, ma perché venga pienamente ‘alla luce’, occorre che ci sia il ‘cesareo’: “… la Parola di Dio è vivente ed efficace, più affilata di qualunque spada a doppio taglio, e penetrante fino a dividere l’anima dallo spirito…” (sempre dal ‘corpus paolino’, in Ebrei 4,12).

L’anima è, invece, l’organo della personalità, il ‘mediatore plastico’ (poco ‘elastico’) tra spirito e corpo. Le sue facoltà sono: la volontà, l’intelletto e i sentimenti. Se l’anima è la ‘mediatrice’ tra lo spirito e il corpo, lo spirito è quella parte che lo mette in comunione con il ‘cielo’ (il 'secondo' e il 'terzo' cielo, ossia il mondo spirituale: quello ‘invisibile’, ma ‘animato’, intorno a noi, e Dio stesso lo Spirito). Queste tre funzioni sono attive pienamente – e quindi dalla ‘statica’ (stitica?) dualità si passa alla ‘dinamica’ (energetica: spirito = dynamis) trinità – solo quando lo spirito si separa dall’anima e agisce come motore dell’attività umana.

Ma l’anima tiene prigioniero lo spirito… Se lo spirito rimane inglobato nell’anima e l’uomo cammina a 'tre (diciamo pure: due) cilindri' – anche se pensa il contrario – le tre 'funzioni' dell'uomo operano a corrente ‘alternata' (più spesso, 'discontinua’, oppure, ancor più sovente, lo spirito è spento, disattivato). L’uomo massa, infatti, ha ‘ammassato’ in sé (una ‘mappazza’ si sarebbe detto ai tempi dell’Arbore in fiore) l’anima con lo spirito: lo spirito è, pertanto, ‘sommerso’ dall’anima e ci vuole, necessariamente, ‘qualcuno’ dall’’esterno’ (un ‘maestro’, un ‘mentore’) o dall’’interno’ (un’illuminazione, un ‘flash’, la Parola di Dio) per tirarlo fuori dalle acque stagnanti (in ogni caso, si può – si deve… – partire dalla Bibbia: così strano per noi italiani! Ma famolo strano… Oppure, un esempio non tanto a caso, si può iniziare dalla ‘Filosofia perenne’ di Aldous Huxley – ma anche il nicciano ‘Cosi parlò Zarathustra, così dissonante, può dare lo squillo di tromba…).

Parafrasando Jung: Se io credo nello Spirito… io so! Insomma, per dirla alla Heidegger: "Il Terribile è accaduto!" D'altronde (qui c'è, invece, Carlos Castaneda): "Il sapere è una farfalla notturna..." Ed è ancora giorno (per molti: ma senza luce....).

“Il soffio creativo viene da una regione dell’uomo in cui l’uomo non può discendere neppure se Virgilio stesso lo accompagnasse, perché Virgilio non potrebbe scendere fin là…” ricordava Ronald D. Laing, lo ‘strizzacervelli’ cult che voleva estrarre lo spirito dall’anima. E ancora: “Molti erano abituati a credere che gli angeli muovessero le stelle. Ora è chiaro che non lo fanno: come risultato di questa e di consimili rivelazioni, adesso molta gente non crede negli angeli. Molti erano abituati a credere che la ‘sede’ dell’anima fosse in qualche posto nel cervello. Da che si cominciò ad aprire i cervelli con una certa frequenza nessuno ha mai visto l’’anima’: come risultato di questa e di consimili rivelazioni, adesso molta gente non crede nell’anima. Come si può ritenere che gli angeli muovano le stelle, o essere così superstiziosi da ritenere che l’anima non esiste solo perché non la si può vedere dall’altra parte del microscopio?”

Ma è veramente così importante fare una distinzione fra lo spirito e l'anima? Sì, questo ‘taglio’ è della massima importanza, e 'urgenza', perché ne derivano delle implicazioni dirette nella vita dell’uomo in generale, non solo del credente. Come può, infatti, egli operare nell’intero ambito della realtà, penetrare nell’essenza delle cose, cercare di ‘dirigere’ per quanto possibile la sua vita, se non conosce i ‘mari’ in cui si avventura, né tanto meno sa dei ‘venti’, dei ‘flussi’ marini, della sua stessa ‘imbarcazione’? Come può comprendere (con-prendere) la vita, non solo quella spirituale ma la stessa esistenza materiale, se ignora l’ampiezza del territorio, o il campo d’azione, dello spirito, se nulla sa di come esso ‘informi’ il corpo (senza lo Spirito è ‘informe’ o, al massimo, ‘deforme’) e di come dall’impatto reciproco nasca quella ‘pellicola protettiva’ (un po’ ‘callosa’) che è l’anima? E poi, la mappa non è il territorio...

Solo uscendo dalla comfort zone (che è poi ‘discomfort') del ‘materialismo’ e dell’’empirismo’ a oltranza – senza per questo farsi tirare giù dalle sabbie mobili di spiritualismi, fondamentalismi, magismi e vaneggiamenti d’ogni sorta – l’uomo può ‘ricostruire’ (ristrutturare) la propria esistenza, passando da quello che spesso è“un brandello, contratto e disseccato” (R. D. Laing, in La politica dell’esperienza) – alla condizione (lo ‘stato desiderato’) di uomo e donna ‘nuovi’ (l’ultimo uomo?). Solo così potremo cominciare ad avere di nuovo “l’esperienza del mondo, con innocenza, verità e amore… (ibidem).



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