sabato 20 gennaio 2018

AIN'T NO DOUBT ABOUT IT


AIN'T NO DOUBT ABOUT IT
(remix)

Do, re, mi, fa… Do ut des. C’è Eric Darius al sax (sexy!). Yeah, sic stantibus rebus, non posso che fluttuare dimenticandomi della legge di gravità. Sì, fluttuare come un angelo al suono sex and the city (Manhattan sceccherato) di Ain’t no doubt about it.
No, nessun dubbio, no doubt: di domani v’è certezza… (è la mia anima in combutta col corpo e in fuga con lo spirito a sussurrarmelo: il dubbio è del ‘due’ – corpo e anima. Se c’è il ‘terzo’ – lo spirito – il dubbio sfuma nella certezza…).
Let it flow (sempre Eric Darius al sax). Fluttuare e flautare come un angelo. Sì, flirtare con l’angelo… “Sempre più intensamente sentiamo che il semplice potere della tecnica e il suo godimento da parte nostra non ci soddisfano. Sentiamo la mancanza di ciò che un tempo erano gli angeli, e dei doni degli angeli”. Da Jünger a Jung il passo è breve: “Io sono semplicemente convinto che qualche parte del Sé o dell'Anima dell’uomo non sia soggetta alle leggi dello spazio e del tempo”.

È passata mezzanotte e, sincronicità junghiana, la playlist stilla After Midnight di Kim Waters. L’anima sdilinquisce nella quiete by night e mi vien voglia, ora che il corpo langue nella sguincia attesa del guanciale, di indagarne la sgualcita essenza: “… l’anima non è indagabile in se stessa (…) l’uomo resta sempre e comunque da scoprire.” (U. Galimberti). “La lingua ha espulso l’anima dal dizionario per riservarle una nicchia […] nei cataloghi della psicopatologia […] A questo punto, constatato il decesso dell’anima, uccisa dalla modernità sull’altare dell’omologazione, non resterebbe che seppellirne l’involucro e custodirne il santino votivo  […] L’anima esiste indipendentemente dalla sua affermazione o dalla negazione; se rimossa, ritorna in manifestazioni che sembrano estranee alla stessa: si può ritardarne la rappresentazione, differirne l’evocazione, inibirne l’espressione – ma è impossibile negarne l’esistenza” (A. Segatori).
Sì, l’anima è necessaria (come, d’altronde, l’angelo – Cacciari docet): “… la sorte scelta dall’anima è necessaria: non un accidente, non buona o cattiva, non già nota né garantita, semplicemente necessaria.” (J. Hillman).
Ecco dunque il senso della vita: l’anima ri-animata. E poi lo spirito: ebbro della divinità “in fieri” (che stenta a venir fuori: spesso, come tanti gargoyle, sbucano i nostri demoni inferi, ma quanto alla divinità supera…). Per non parlare del corpo e del senso della terra... (Nietzsche suona sempre due volte…).

Senso della vita – conosci te stesso – arte del vivere? Arte di manutenzione del ciclo vitale: “…non sfruttamento della natura, ma fusione della natura e dello spirito umano in una nuova specie di creazione che le trascende.”
Voglio salire in alto! (ma sono ancora ai primi gradini): “La mia vita minuscola. Il mio merdoso, piccolo posto di lavoro. I miei mobili svedesi. Non ho mai detto a nessuno, questo, mai, ma prima di conoscere Tyler avevo intenzione di comperare un cane e chiamarlo ‘Entourage’. A questo punto si può arrivare…”.
Ma noi siamo tipi da ”Flight Club”! (a proposito, se volete, vi ‘posto’ l’ebook) e allora: sursum corda! Passiamo, dunque, dal down (della notte) al dawn del giorno, con un esercizio tratto dal mio libro sulla PNL spirituale:
Chiudi gli occhi e respira profondamente…
Per entrare in ‘situazione’… immagina di essere in un cilindro (o in una sfera – o dove ti ‘senti meglio’) di colore blu.
Ora, con gli occhi chiusi, cerca di ‘addolcire’ in blu il nero del buio… Sei in un cilindro blu, trasparente, avvolgente… tutto intorno a te è blu, blu dipinto di blu…
Respira profondamente… Pian piano, ma solo intorno a te, il blu comincia a trascolorare in un giallo-oro, sempre più luminoso, che ti avvolge… ti ‘scivola’ addosso… Sei immerso in un’atmosfera giallo-oro…
Tu la respiri, la inspiri… inspiri il giallo-oro e lo espiri, quasi sospirando…
Il giallo che tu espiri è un giallo ‘sporco’ – sporco delle tue scorie quotidiane, ambientali – ma, immediatamente… al contatto con l’aura che ti circonda, ridiventa giallo-oro… e tu di nuovo …lo respiri. Te lo senti scivolare dentro, ti permea tutto… Sei tutto giallo oro.
Ora ti senti ‘svuotato’ di tutte le ‘scorie’: di tutte le preoccupazioni, di tutti i pensieri, i sentimenti, le sensazioni, le emozioni, soprattutto quelle negative… senti solo una tale dolcezza… ‘svenevole’. Non senti quasi più niente intorno… e dentro di te… Sei in un vuoto ‘pneumatico’… Sei pronto per ‘rinascere’!
Ora apri gli occhi… osserva tutto ciò che è intorno a te: è tutto ‘nuovo’! Non hai nessuna emozione, nessuna ‘parola’ con cui definire quello che è intorno a te! Immaginati come un pulcino appena nato…
Cerca di rimanere in questa situazione ‘estatica’… Se non sei in un luogo all’aperto (su una terrazza, un balcone, un patio, ecc.), va’ verso la finestra, affacciati e… guarda tutto come se tu fossi appena nato: ogni cosa senza nome… senza definizione… senza ‘giudizio’…
Ora richiudi gli occhi: immergiti di nuovo nella sensazione interiore – di dolcezza, estasi, sdilinquimento… che hai appena lasciato prima di aprire gli occhi. Rigustala…
Riapri gli occhi, riguarda le cose che hai appena lasciato: riconoscile, chiamale per nome, pensale con il loro nome consueto, quello che ti è familiare.
Ma tu sei appena ‘nato’! Hai occhi nuovi… Ogni cosa, ora, la vedi in un modo differente, con una luce diversa… Tu ora sei diverso, tutte le cose intorno a te ti sembrano diverse… Ora tu sei…

giovedì 18 gennaio 2018

GOCCE DI PIOGGIA A JERICOACOARA (incipit)

GOCCE DI PIOGGIA A JERICOACOARA
incipit

È stato definito: “romanzo-rapsodia, fervido di vita e voci, di ritmi e canti e risa, dal profumo di ingenue aurore … vorticoso nel suo ritmo da derviscio tournant, vibrante di tensione e trepidazione, ossimorico nei suoi dolci contrasti, dalla scrittura vivace, geniale, estetizzante, ma tutt'altro che décadent, capace di affratellare Policleto e i Beatles. Un ‘panta rei’ entusiastico ed entusiasmante, un fluire di sapienze ed eresie, dall'oscillare inarrestabile, ebbro … una scrittura da giocoliere della parola e da funambolo della nuance … Romanzo dallo stile unico, affilato e morbido, con scrittura vivacegeniale ed entusiasmante, un fluire di sapienze ed eresie in connessione tra di loro. Uno squarcio sulla cortina che separa il mondo reale da quello del “sogno”. Uno “sfarfalleggiante” battito d’ali che può trasformarsi in un concerto polifonico dagli esiti non ancora immaginabili.”
Di questo mio romanzo (vincitore del Premio Letterario Emily Dickinson 2013), dallo “stile” di scrittura unico (cosi è se vi pare), ecco l’incipit. Nei prossimi post vi inonderò di ampi stralci (d’altronde, una delle caratteristiche del romanzo, di circa 560 pagine…, è quella di offrire, anche se aperto a caso, sempre ampi spazi, prospettive infinite. definite e indefinite…).

«Ma quanto sei strana!»
Il bronzeo addetto alla piscina irruppe da chissà quale anfratto, fiondandosi tra le sdraio e gli ombrelloni strapazzati dalla pioggia con la sfrontatezza di chi vuol battere sul tempo un sole paonazzo e pieno di voglie tanto improvvise quanto prevedibili. Poi il bay-watch prestato alla terraferma cambiò di colpo marcia e, ciondolando – caracollando – tra le pozzanghere, guadagnò il bordo-vasca col piglio di chi getta l’amo per adescare uno squalo.
L’occhio umido (non solo di pioggia) prese a dardeggiare il fluttuante contorno sinuoso che dava un senso all’asettico rettangolo d’acqua, col fermo proposito di colpire il bersaglio mobile al primo colpo.
«Solo la pioggia o la luna riescono a fare il miracolo. Solo loro riescono a farti tuffare...»
Offuscando le parole-esca e mettendo a tacere gli ultimi vagiti meteo, il sorriso (invocato) di lei fece capolino tra le increspature e il cloro, complice e promettente. Nessun indizio, niente che facesse preludere all’epilogo politicamente scorretto. Non la gimcana di labbra sulla pelle che il bagnino aveva messo in conto tra i sogni nel cassetto (insieme a qualche tuffo con la bella naiade), ma solo una risposta da brivido blu:
«Ho il cuore pieno di ceneri e di scorza di limone. Andrò solo dentro me stessa. Mi troverai sempre là...»
Scagliato il dardo al curaro sul san Sebastiano di turno (il bagnino), paga dell’effetto sorpresa, la bionda ondina riguadagnò il bordo-piscina. Salì come da videoclip la scaletta cromata, schioccò un solare ‘ciao!’ da trailer al gallo cedrone dall’ala spezzata e, sfioratane l’epidermide bronzea (di colpo sbiancata), gli lasciò – sapore di sale – il chimerico assaggio di quel suo tatuaggio sfarfalleggiante sulla pelle bagnata.
Gaia era fatta così: non solo tattoo ma anche taboo. Una vita esaltata da brevi ma intensi deliri, la magia di lunghi silenzi bruscamente interrotti da taglienti ossimori, paradossi, voli pindarici, esternazioni frappant. E se qualcuno (non pochi) sostava, rapito, davanti a quest’opera d’arte (e non da tre soldi...) – un taglio di Fontana sulla tela bianca della vita – veniva immancabilmente colpito da un’inattesa sindrome di Stendhal. 
Gaia o dell’avventura dell’esistenza, un ossimoro vivente più che un paradosso. Tutto questo si sarebbe potuto dire – a posteriori – di Gaia (anche il nome). Ma ormai il fugace biondo oggetto del desiderio era fuori campo e a Lorenzo – il terzo silenzioso incomodo (convitato di pietra, nel vero senso del termine) – non rimase che rituffarsi nelle pagine appena lambite da una di quelle piogge lampo settembrine che il Gargano riservava ai suoi ultimi ospiti.
Il turbine (anche sensoriale) era ormai passato, senza lasciare – così il buon Lorenzo pensava – tracce: lui di Gaia conosceva – e gl’importava – solo la Scienza…

Al riparo, raccogliticcio, di uno dei pochi ombrelloni rimasti aperti, l’unico ‘abitato’, Lorenzo riprese la lettura, subito abortita: a braccetto col sole, ritornato master & commander del cielo, come un hobbit da pagina sei sbucò, impertinente, l’ossimoro, questo ‘carneade’ apparentemente fuori luogo in quel villaggio-vacanze così poco manzoniano (e neppure tanto tolkieniano).
Queste paginette sfiorate dal pianto celeste erano la sua ultima conquista (libresca) – il tempo degli amori per Il Signore degli Anelli sembrava appartenere a un altro eone – e a Lorenzo non sembrò affatto un caso che il buon Raimon Panikkar – il teologo di frontiera (non solo Paul Tillich) cui stava facendo il filo tra un tuffo e l’altro – esordisse con quello strano termine, così calzante nell’occasione, per la bella del villaggio.
Sì, ossimoro, oxymoron, questo stravagante matrimonio tra la bella oxys (affilata, appuntita e penetrante) e la bestia moros (ottusa, senza punta, molle, sciocca, folle...). Armonia fra i contrari, coincidenza degli opposti. Palintropia, concordia discors, polemos eracliteo, processo e stasi. In attesa della palingenesi.
E tale, almeno da quel fugace mix di figura, situazione ed insinuante esternazione, gli era subito parsa la ragazza: affilata-spuntita nella sua follia penetrante, un punteruolo nella stupidità altrui. Insomma, la punta che perfora ciò che è molle
In quel momento Lorenzo comprese anche come fosse facile passare da L’esperienza di Dio (il libro dell’ossimoro) all’esperienza di Gaia (dall’esperienza del cielo a quella della terra...). E così, rapito da questi volteggi della fantasia, ormai solo sul campo – il prato più o meno all’inglese che delimitava la piscina – e sospinto da chissà quale daimon, non trovò di meglio che tuffarsi nell’acqua solitaria ma ancora pulsante di vita: se al bagnino – ormai svanito nel nulla – la ragazza aveva prodotto l’effetto di uno shock termico, per lui, semplice e involontario spettatore del duetto, fu invece una salutare botta di vita (fosse stato Tinto Brass, sarebbe subito passato alla ‘botta d’allegria’…).
Anestetizzato da questa sua sobria ebbrezza – l’ossimoro qui è d’obbligo – Lorenzo cominciò a nuotare, ora a stile libero, ora a rana, addirittura a farfalla, se non proprio a delfino (memore del luogo), incurante dell’acqua gelida, indifferente.
Bracciata dopo bracciata, il suo corpo da algido (soprattutto nei sentimenti) prese a intiepidirsi, sciogliersi, rigenerarsi, mentre, accompagnati da ribollii e sfrigolii, risalivano a galla i sedimenti della misteriosa presenza di Gaia e l’eco delle sue parole sibilline. Così incomprensibili e disarmanti per il bagnino, ma così significative e pregnanti per lui: che c’entrava quel barbaglio di contro-cultura nella garganica Pugnochiuso delle vacanze politically correct? Che ci azzeccava?
Chi era quella ragazza così out? Una neo-esistenzialista post-histoire in vacanza single? Cascami di New Age tra barlumi di Next Age? Scampoli del Grande Fratello? Una velina in uscita libera? Una sciampista, una stagista, una staffista? Una veltroniana free-lance? (con un Veltroni ormai infeltrito…). Infin che ’l veltro verrà… Il cervello di Lorenzo fumava nell’acqua diaccia.
Fatto è che le sue ‘vasche’ furono più piacevoli del solito. Rilassanti, da training autogeno, quasi ipnotiche. Da ipnosi regressiva: ripercorse a grandi balzi la sua varia quotidianità, dai picchi (rari) delle esperienze delle vette – era da poco scivolato giù dalla ‘piramide’ di Maslow e vedeva tutto nero – alle depressioni (varie) della banalità del suo Sitz im Leben, il suo ambiente vitale.
Come un film a ritroso – di quelli che si dice veda chi è in punto di morte, quando la corda d’argento sta per essere tranciata –, davanti a lui cominciarono a scorrere veloci i fotogrammi delle tappe più significative della sua vita (e lui non era nel cast: la riflessione di Woody Allen gli calzava a pennello – ma c’era un buco nei fantasmini di Lorenzo…).
E così, tra un flash-back e l’altro, cominciò a togliersi le scaglie di dosso: in fin dei conti, non era poi tanto meno stravagante della sfarfalleggiante fanciulla! È vero, il ruolo sociale, i condizionamenti ambientali e i chiaroscuri del carattere ne avevano spesso frenato la libera espressione, ne ostruivano il libero sgorgare, ma non amava forse, anch’egli (alla faccia dei suoi invisibili ‘cinquanta’), il bagno sotto la pioggia? Non gigzagava, anche lui – malgré gli anta (ma solo quando i cascami di tempo libero glielo consentivano) , tra Mtv e zingarate? Il sapere è una farfalla notturna…
In ogni caso – e qui le sue bracciate cominciarono a perdere colpi –, più della ragassa in sé (che pur valeva una messa), ciò che intrigava il nostro era la sua personalità essenziale, messa a nudo da quell’esternazione fuori dal coro della banalità quotidiana. Un coming out (o un outing? – in fondo era stato il bagnino a ‘costringerla’ a rivelarsi) davvero inaspettato quello dell’ospite (non certo scema) del villaggio (Lorenzo, essendone un habitué, si riteneva quasi il padrone di casa).
E poi... quell’uscita di scena, cui difficilmente avrebbe fatto seguito un secondo atto. Conclusione: la ragazza era piuttosto in alto nelle sfere…

martedì 16 gennaio 2018

SHAPE SHAKE SHARK… SHOT!


SHAPE SHAKE SHARK… SHOT!

“We shape our cities and thereafter they shape us.” (Churchill). Sì, le città ci formano e noi le diamo forma… Ma loro cambiano ancor più velocemente delle nostre emozioni: “la forme d'une ville change plus vite …. que le cœur d’un mortel” (Baudelaire).
Sì, diamo forma alle nostre città, ai nostri quartieri, alle nostre case, alle nostre ‘cose’… e poi loro danno forma a noi, ci conformano, ci deformano.
Form follows fiasco. Sì, è dal nostro insuccesso che si (de)genera la forma e i contenuti della nostra vita. Spesso presunti insuccessi (un fallimento non significa il fallimento: ogni difficoltà è un’opportunitàrepetita iuvant) ci condizionano. E come ormai, dopo Hillman (e non solo), tutti (o quasi) sanno: non è scavando nel pozzo del passato che si ‘guarisce’ e si inizia a ‘volare’. Dal pozzo si tira fuori solo la morte… Se si vuole la vita bisogna ‘cambiare canale’.
“Le città sono stati d’animo, stati emotivi, umori.” Con o senza John Steinbeck e Saul Bellow. Città da abbandonare, ma per andare dove? “When you leave New York you ain’t going nowhere.” Eppure, “Living in New York is never easy” (e nemmeno leaving). Vivi e lascia vivere. Da svegli, dormendo o in fase rem, New York è assolutamente da vivere, fosse anche “vedi New York e poi muori...”
Reading from New York. Città biblica. Come la Bibbia: puoi rileggerla infinite volte e ogni volta scopri un senso nuovo. Settanta sensi. Città fucina, laboratorio di un futuro charming. E il presente? Il sole che sbanda sui muri di vetro, le pareti di mattoni che si fanno rubizze… New York, città di rubino, cristallo e porcellana (cinese). Paradiso, inferno, purgatorio… (il limbo era passato di moda). Chiasso generale tra i silenzi individuali. La musica? From the beginning, di Emerson, Lake e Palmer. Così sentiva (come sintesi) il ‘suono’ della metropoli in quel particolare stato d’animo (alla Emerson: non il pop-singer, ma Ralph Waldo, sempre lui, il filosofo del ‘divenire’, quello per cui “le preghiere degli uomini sono una malattia della volontà e i credi una malattia dell’intelletto”). Sì, questo il suo preludio nuiorchese. Un po’ alba di Pugnochiuso un po’ notti al Cairo. Una malattia e una preghiera. Ma lui ora era in convalescenza. E una volta guarito, avrebbe vissuto d’altro: di architettura, forse di preghiera…
(tratto da Gocce di pioggia a Jericoacoara).
Architettura, preghiera… Il sole che sbanda sui muri, chiasso generale tra silenzi individuali… L’ambiente è sia fondo indefinito e informe”, spazio ‘vuoto’ da ‘riempire’ (con elementi ‘autentici’), sia “ente pervaso da forze generate dagli oggetti” interagenti con quelle prodotte dall’ambiente. E tra lo spazio dei pieni e dei vuoti ci sono gli interspazi, gli ‘spazi negativi’. E sono questi ultimi – l’’inframondo’ (mitwelt) – a generare il ‘pattern’ totale, ossia l'organizzazione funzionale della città e dell’uomo. L’holos, il tutto, superiore alla somma delle parti (almeno nella città 'organica'), è in grado di soddisfare all’obiettivo ‘città’ o ‘uomo’.
La città e l’uomo: il macro e il micro (supra e infra. Talvolta, infradito…), la forma e la funzione che, unite, costituiscono l’organismo ‘città’ e l’organismo ‘uomo’.
La forme d’une ville… Sì, il cuore della città cambia più velocemente di quello dell’uomo. Le città mutano, invecchiano, fanno le grinze, subiscono amputazioni, mettono su pancia (e protesi), cercano un’improbabile eterna giovinezza sfoggiando vestiti sgargianti, all’ultima moda, trendy, trash… Qui e là qualche punturina, ma sì… botox a volontà, squarci e ricuciture, omogeneizzazioni, outing, yoghurt, transgenderizzazioni: sì, le città bene o male cambiano (o ci provano), ma lui (o lei…), il cuore dell’uomo, resta lo stesso. Capace, ora come allora, di slanci vitali e di scivolate suicide (e sudice). Eppur ancora fermo all’Adamo della mela e al Caino dei fagiolini. E non solo il sempre-adamo continua a mangiare la mela, ma si è ormai identificato con essa: è diventato un oggetto al servizio degli oggetti. Sempre più ci identifichiamo con e nelle cose, continuamente ci abbassiamo al loro livello e …scivoliamo (su di esse? su di noi? È lo stesso: ormai siamo tutt’uno con le cose. Siamo diventati una protesi del cellulare…). Malgré tout, c’è ancora vita sulla terra!
Sì, Deo gratias (gratia sine gratis gratia non est...), c’è sempre più chi, dopo l’ubriacatura dell’Italia da bere, vuole tornare all’Itaca da centellinare (siamo o non siamo entrati nell’Era dello Spirito?). Sì, c'è chi si ribella... e qui viene il bello: i ribelli non sono più d’un solo colore (ma non lo sono mai stati: c’era il Che – Guevara – e c’era Jünger. E poi il Che batte anche a destra...). Insomma, c'è chi vuole disidentificarsi, uscire dalla platitude. Sì, in tempi di omologazione, anche eterologa, c’è chi vuole uscire dal coro, vuole fare outing (non che nel passato ci fossero più voci dissonanti: sì, c’era la pizzica, ma solo per i tarantolati; gli altri erano delle comuni lucertole. Poi c’è stato Re lucertola – Jim Morrison – ma non è che le cose siano andate meglio…). Ma per fare coming out occorre aprire la porta. E per i più timidi… passare sotto la soglia.
Per volare in alto l’ala si deve abbassare… Ultimamente forse abbiamo alzato troppo le ali… E come si sa, un battito d’ali ad Avetrana ha scatenato un cataclisma mediatico da Bressanone a Milazzo. Ma non è stato un battito d’ali: solo battiti (prima battiti live, poi ‘battipanni’: battute, botte, solo battiti… poi sempre meno, poi più nulla…).
Le ali si sono spezzate, sono state mozzate. De profundis te clamo… In cantina, nel pozzo, in the cut. Cunto de li cunti, è possibile uscire dal fossato? O cambiare canale?
Sì, siamo nell’epoca del ‘tutto è possibile’. Basta toccare il fondo (se non l’hai fatto, datti tu l’ultima spinta, ma poi, con tutta la rabbia possibile, alla Osborne, devi ri-decidere, devi risalire
Di tecniche per uscire dal pozzo ce ne sono tante, ma non ce le insegnano: a tal proposito, visto che ne parlo spesso (e qui passo dalla città agli stati d'animo: ma siamo lì...), la PNL ha potenzialità eccezionali: tecniche come quelle (pardon per l’argot) dell’ancoraggio, dello swish, dello squash, del reframing, della time-line, danno all’individuo ‘depotenziato’ (e chi in un certo senso non lo è?) quell’ego-drive capace di farlo catapultare dal girone ‘infernale’ al cosmodromo ‘edenico’ (un odeon in cui non si è solo spettatori, ma attori e registi).
Sono arrivato al pit-stop. Al prossimo post i prossimi step. Stop and go. La penna continua a tirare... Uso la scrittura per sopravvivermi… (per dirla con Corona. Non Fabrizio – e non lo dico per invidia, del Fabri – ma Mauro: sì, Mauro Corona, quello del bosco antico). E soprattutto, per far di me stesso fiamma… (senza far la fine del sommo Michelstaedter, né del ‘minimo’ zi’ Miché).

sabato 6 gennaio 2018

2018: UN ANNO DI CARATTERE

Il 2017 è stato un anno up and down. Non dico niente di nuovo: monti e valli fanno parte del continuum naturale – e come si sa, natura abhorret vacuum (quindi, l’importante è che qualcosa comunque sia avvenuto…).
“A ogni giorno il suo affanno…” disse chi non si curava delle “quisquiglie e pinzellacchere” (e non era Totò, però aveva anche Lui il Suo senso dell’umorismo), ma puntava al sodo. E, per quanto mirasse (al)le stelle, voleva che noi, pur con il viso star-targeted (volto verso il Cielo), avessimo i piedi (e il ‘cuore’) puntati sul qui e ora.
Il 2018 sarà l’anno del qui e ora. Le borse ‘scucite’ saranno sostituite da pochette meno ‘quotate’, ma più glamour. Quanto alle borse sotto gli occhi, non avremo paura di eliminarle (queste del tutto, senza sostituzioni) con un bel po’ di filler. E di suon in suono, il 2018 sarà l’anno del feeling: né fiele, né miele, ma cura (alla Heidegger, alla Battiato, e, ribadiamolo, alla Gesù Cristo). In definitiva, un anno di carattere.
A proposito di carattere, surfeggiando sull’oceano-web mi sono imbattuto su un’onda anomala: uno psico-nauta (Adriano Segatori, uno psichiatra no-global del tutto non-conforme) che discettava di carattere a 24 carati. Un breve assaggino per cominciare l’anno (i grassetti sono miei – si sa, i panettoni sono difficili da smaltire).
“Il carattere è quella struttura dell’uomo che si combina tra temperamento e personalità, tra le qualità ereditate e costituzionali che caratterizzano i comportamenti reattivi e l’unicità complessiva data dall’articolata armonia tra strutture connaturate e costruzioni esperienziali. Esso si pone, perciò, a metà tra il dover essere passivamente prestabilito e il voler essere attivamente progettuale, nel punto in cui uno diventa – o almeno dovrebbe auspicabilmente diventare – ciò che è, come destino e come donazione. Il carattere, quindi, si fonda su risorse che escludono la libera volontà del soggetto – il quale può solamente prendere atto della quantità e della qualità delle stesse – e sulla percezione di un peculiare destino da condividere e da perseguire nel percorso integrativo della sua personalità, proprio nell’operazione volontaria di rendere più redditizie e vantaggiose le risorse ricevute.
[…] Il carattere, a questo punto, possiamo vederlo come la carta d’identità della personalità: ciò che caratterizza una persona nel momento in cui questa si trova ad assolvere al compito esistenziale per la quale è stata chiamata: il senso e la meta del viaggio di trasformazione e di integrazione.”
E qui entra in gioco il destino, perché, se “Il carattere è destino” “Ethos anthropoi daimon” come rivendica James Hillman partendo da Eraclito –, allora il carattere è ciò che definisce e caratterizza la “ciascunità”, secondo il felice e centrato neologismo dello stesso Hillman: il carattere è la particolarità che ogni persona esprime usufruendo delle opportunità offerte in natura e che, attraverso un pericoloso percorso di spaesamento e di ritrovamento, cerca, raggiungendo lo scopo interiore di quella sua unica ed irripetibile vita: non trasformazione ma identificazione.
Se il cammino, però, è personale – come le risorse in gioco e la meta auspicata – il metodo può essere unificato e uniformato? Certamente no! Il carattere è imparabile, non insegnabile. Può essere evidenziato e messo in luce attraverso un dispositivo educativo non un procedimento didattico…”
Che il 2018 sia un anno di carattere!