GOCCE DI PIOGGIA A JERICOACOARA
incipit
È stato definito: “romanzo-rapsodia, fervido di vita e voci, di ritmi e canti e risa, dal profumo di ingenue aurore … vorticoso nel suo ritmo da derviscio tournant, vibrante di tensione e trepidazione, ossimorico nei suoi dolci contrasti, dalla scrittura vivace, geniale, estetizzante, ma tutt'altro che décadent, capace di affratellare Policleto e i Beatles. Un ‘panta rei’ entusiastico ed entusiasmante, un fluire di sapienze ed eresie, dall'oscillare inarrestabile, ebbro … una scrittura da giocoliere della parola e da funambolo della nuance … Romanzo dallo stile unico, affilato e morbido, con scrittura vivace, geniale ed entusiasmante, un fluire di sapienze ed eresie in connessione tra di loro. Uno squarcio sulla cortina che separa il mondo reale da quello del “sogno”. Uno “sfarfalleggiante” battito d’ali che può trasformarsi in un concerto polifonico dagli esiti non ancora immaginabili.”
Di questo mio romanzo (vincitore del Premio Letterario Emily Dickinson 2013), dallo “stile” di
scrittura unico (cosi è se vi pare), ecco l’incipit. Nei prossimi post vi
inonderò di ampi stralci (d’altronde, una delle caratteristiche del romanzo, di
circa 560 pagine…, è quella di offrire, anche se aperto a caso, sempre ampi
spazi, prospettive infinite. definite e indefinite…).
«Ma
quanto sei strana!»
Il bronzeo addetto alla piscina irruppe da chissà quale anfratto,
fiondandosi tra le sdraio e gli ombrelloni strapazzati dalla pioggia con la
sfrontatezza di chi vuol battere sul tempo un sole paonazzo e pieno di voglie
tanto improvvise quanto prevedibili. Poi il bay-watch prestato alla terraferma
cambiò di colpo marcia e, ciondolando – caracollando – tra le pozzanghere,
guadagnò il bordo-vasca col piglio di chi getta l’amo per adescare uno squalo.
L’occhio umido (non solo di pioggia) prese a dardeggiare il fluttuante
contorno sinuoso che dava un senso all’asettico rettangolo d’acqua, col fermo
proposito di colpire il bersaglio mobile al primo colpo.
«Solo la pioggia o la luna riescono a fare il miracolo. Solo loro
riescono a farti tuffare...»
Offuscando le parole-esca e mettendo a tacere gli ultimi vagiti meteo,
il sorriso (invocato) di lei fece capolino tra le increspature e il cloro,
complice e promettente. Nessun indizio, niente che facesse preludere
all’epilogo politicamente scorretto. Non la gimcana di labbra sulla
pelle che il bagnino aveva messo in conto tra i sogni nel cassetto (insieme a
qualche tuffo con la bella naiade), ma solo una risposta da brivido blu:
«Ho il cuore pieno di ceneri e di
scorza di limone. Andrò solo dentro me stessa. Mi troverai sempre là...»
Scagliato il dardo al curaro sul san Sebastiano di turno (il bagnino),
paga dell’effetto sorpresa, la bionda ondina riguadagnò il bordo-piscina. Salì
come da videoclip la scaletta cromata, schioccò un solare ‘ciao!’ da
trailer al gallo cedrone dall’ala spezzata e, sfioratane l’epidermide bronzea
(di colpo sbiancata), gli lasciò – sapore di sale – il chimerico assaggio di
quel suo tatuaggio sfarfalleggiante sulla pelle bagnata.
Gaia era fatta così: non solo tattoo ma anche taboo. Una
vita esaltata da brevi ma intensi deliri, la magia di lunghi silenzi
bruscamente interrotti da taglienti ossimori, paradossi, voli pindarici,
esternazioni frappant. E se qualcuno (non pochi) sostava, rapito, davanti
a quest’opera d’arte (e non da tre soldi...) – un taglio di Fontana
sulla tela bianca della vita – veniva immancabilmente colpito da un’inattesa
sindrome di Stendhal.
Gaia o dell’avventura dell’esistenza, un ossimoro vivente più che
un paradosso. Tutto questo si sarebbe potuto dire – a posteriori – di
Gaia (anche il nome). Ma ormai il fugace biondo oggetto del desiderio era fuori
campo e a Lorenzo – il terzo silenzioso incomodo (convitato di pietra, nel
vero senso del termine) – non rimase che rituffarsi nelle pagine appena lambite
da una di quelle piogge lampo settembrine che il Gargano riservava ai suoi
ultimi ospiti.
Il turbine
(anche sensoriale) era ormai passato, senza lasciare – così il buon Lorenzo
pensava – tracce: lui di Gaia conosceva – e gl’importava – solo la Scienza…
Al riparo, raccogliticcio, di uno dei pochi ombrelloni rimasti aperti,
l’unico ‘abitato’, Lorenzo riprese la lettura, subito abortita: a braccetto col
sole, ritornato master & commander
del cielo, come un hobbit da pagina sei sbucò, impertinente, l’ossimoro,
questo ‘carneade’ apparentemente fuori luogo in quel villaggio-vacanze così
poco manzoniano (e neppure tanto tolkieniano).
Queste paginette sfiorate dal pianto celeste erano la sua ultima
conquista (libresca) – il tempo degli amori per Il Signore degli Anelli sembrava
appartenere a un altro eone – e a Lorenzo non sembrò affatto un caso che il
buon Raimon Panikkar – il teologo di frontiera (non solo Paul Tillich)
cui stava facendo il filo tra un tuffo e l’altro – esordisse con quello strano
termine, così calzante nell’occasione, per la bella del villaggio.
Sì, ossimoro, oxymoron, questo stravagante matrimonio tra
la bella oxys (affilata, appuntita e penetrante) e la bestia moros (ottusa,
senza punta, molle, sciocca, folle...).
Armonia fra i contrari, coincidenza degli opposti. Palintropia, concordia discors, polemos eracliteo, processo e
stasi. In attesa della palingenesi.
E tale, almeno da quel fugace mix di figura, situazione ed
insinuante esternazione, gli era subito parsa la ragazza: affilata-spuntita
nella sua follia penetrante, un punteruolo nella stupidità altrui. Insomma, la
punta che perfora ciò che è molle…
In quel momento Lorenzo comprese anche come fosse facile passare da L’esperienza
di Dio (il libro dell’ossimoro) all’esperienza di Gaia (dall’esperienza
del cielo a quella della terra...). E così, rapito da questi volteggi della
fantasia, ormai solo sul campo – il prato più o meno all’inglese che delimitava
la piscina – e sospinto da chissà quale daimon, non trovò di meglio che
tuffarsi nell’acqua solitaria ma ancora pulsante di vita: se al bagnino –
ormai svanito nel nulla – la ragazza aveva prodotto l’effetto di uno shock
termico, per lui, semplice e involontario spettatore del duetto, fu invece una
salutare botta di vita (fosse stato Tinto Brass, sarebbe subito passato alla
‘botta d’allegria’…).
Anestetizzato da questa sua sobria ebbrezza – l’ossimoro qui è d’obbligo
– Lorenzo cominciò a nuotare, ora a stile libero, ora a rana, addirittura a
farfalla, se non proprio a delfino (memore del luogo), incurante dell’acqua
gelida, indifferente.
Bracciata dopo bracciata, il suo corpo da algido (soprattutto nei
sentimenti) prese a intiepidirsi, sciogliersi, rigenerarsi, mentre,
accompagnati da ribollii e sfrigolii, risalivano a galla i sedimenti della
misteriosa presenza di Gaia e l’eco delle sue parole sibilline. Così
incomprensibili e disarmanti per il bagnino, ma così significative e pregnanti
per lui: che c’entrava quel barbaglio di contro-cultura nella garganica Pugnochiuso
delle vacanze politically correct? Che ci azzeccava?
Chi era quella
ragazza così out? Una neo-esistenzialista post-histoire in
vacanza single? Cascami di New Age tra barlumi di Next Age? Scampoli del Grande
Fratello? Una velina in uscita libera? Una sciampista, una stagista, una
staffista? Una veltroniana free-lance? (con un Veltroni ormai infeltrito…). Infin che ’l veltro verrà… Il cervello
di Lorenzo fumava nell’acqua diaccia.
Fatto è che le sue ‘vasche’ furono più piacevoli del solito. Rilassanti,
da training autogeno, quasi ipnotiche. Da ipnosi regressiva: ripercorse a
grandi balzi la sua varia quotidianità, dai picchi (rari) delle esperienze
delle vette – era da poco
scivolato giù dalla ‘piramide’ di Maslow e vedeva tutto nero – alle
depressioni (varie) della banalità del suo Sitz im Leben, il suo
ambiente vitale.
Come un film a ritroso – di quelli che si dice veda chi è in punto di
morte, quando la corda d’argento sta per essere tranciata –, davanti a
lui cominciarono a scorrere veloci i fotogrammi delle tappe più significative
della sua vita (e lui non era nel cast: la
riflessione di Woody Allen gli calzava a pennello – ma c’era un buco nei fantasmini
di Lorenzo…).
E così, tra un flash-back e l’altro, cominciò a togliersi le scaglie di
dosso: in fin dei conti, non era poi tanto meno stravagante della
sfarfalleggiante fanciulla! È vero,
il ruolo sociale, i condizionamenti ambientali e i chiaroscuri del carattere ne
avevano spesso frenato la libera espressione, ne ostruivano il libero
sgorgare, ma non amava forse, anch’egli (alla faccia dei suoi invisibili
‘cinquanta’), il bagno sotto la pioggia? Non gigzagava, anche lui – malgré gli
anta (ma solo quando i cascami di tempo libero glielo consentivano) –, tra Mtv e zingarate? Il sapere è una farfalla notturna…
In ogni caso – e qui le sue bracciate cominciarono a perdere colpi –,
più della ragassa in sé (che pur valeva una messa), ciò che
intrigava il nostro era la sua personalità essenziale, messa a nudo da
quell’esternazione fuori dal coro della banalità quotidiana. Un coming out (o
un outing? – in fondo era stato il bagnino a ‘costringerla’ a rivelarsi)
davvero inaspettato quello dell’ospite (non certo scema) del villaggio
(Lorenzo, essendone un habitué, si riteneva quasi il padrone di casa).
E poi... quell’uscita di scena, cui difficilmente avrebbe fatto seguito
un secondo atto. Conclusione: la ragazza era piuttosto in alto nelle sfere…
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