sabato 24 febbraio 2018

LACCA, LACCHÈ E ALLOCCHI

LACCA, LACCHÈ E ALLOCCHI
ovvero La caduta degli dèi 
“Casomai qualcuno non avesse ancora capito (ma si stenta a crederlo, essendo tutto così chiaro), è pronta la “scuola di formazione politica stabile” e soprattutto “permanente”. Affidata a un altro principe della supercazzola […] con scappellamento a sinistra, al centro e a destra: Massimo Recalcati, lo psicanalista col ciuffo e il chiodo alla Fonzie […] Dopo avere scoperto che il figlio di Ulisse si chiamava Telemaco e averci fatto un libro pensando a Renzi che c’è subito cascato, Recalcàzzola animò l’ultima beneaugurante Leopolda prima del flop referendario presentandosi come “il padre adottivo di Telemaco” e, prima dell’arrivo degli infermieri, fece in tempo a scomunicare “le mummie del No”. Infatti milioni di giovani si precipitarono a votare No. (cit. Marco Travaglio, da Il Fatto Quotidiano del 25 Marzo 2017).
Si parla qui di Massimo Recalcati, psicanalista lacaniano, del quale avevo apprezzato questo stralcio (tant’è che l’ho postato il 18 ottobre 2016):
“Era questa l’esperienza decisiva di Cristo: scendere negli abissi della morte, scendervi come uomo, per vincere la morte, per risorgere dal suo ventre scuro e ricongiungersi al padre. Si trattava dello stesso passo che ritrovai più tardi in Heidegger? Liberare la vita dalla paura e dall’orrore della morte, renderla risorta (...) L’amore – ed è qui che ritrovo il motivo decisivo della testimonianza di Cristo – può salvare dalla morte e dalla distruzione. Esso è come la bellezza della rosa che sa essere eterna nel battito di un solo giorno.”.
Bene, dopo il crollo di Sgarbi, con le sue ultime farneticazioni pre-elettorali (eppure, anche del Vittorio nazionale ho apprezzato più di qualcosa e poi Sgarbi è un frequentatore delle risse e scivola spesso), ecco a far da pendant l’ancor più “loffia” scivolata di Recalcati. Perché, se di Vittorio conosciamo le intemperanze, il risvolto lacché, qualunquista e sgrammaticato del Recalcati (di cui pure serpeggiava qualche avvisaglia nell’articolo di Travaglio) mi era francamente ignoto. 
Ecco qui il suo sgangherato post spot pubblicitario del PD (che, giustamente ha avuto, a parte qualche leccata buonista, un bel po’ di fischi e pernacchie).
“Il PD, nonostante un buon governo, fatica nel raccogliere consensi. Questo sembra entusiasmare molti. Il nostro paese sarà consegnato nelle mani di una Srl guidata da un comico bipolare a sua volta rappresentato da uno ex-steward del San Paolo di Napoli con evidenti difficoltà di ragionamento e lessicali, oppure ad un pregiudicato ultra ottantenne incandidabile, residuato del discorso della pubblicità attorniato a sua volta da gruppi razzisti e xenofobi. Difficile per la sinistra rinunciare alla maledizione dell’utopia per fare politica.”
Ora, è vero che ognuno ha diritto ad avere le sue opinioni (alcuni, recalcatiani, hanno più diritto di altri…), ma il post, se non è un fake (e sembra non lo sia), trasuda acrimonia, egotismo e super-egotismo e balza fuori l’Es del bambino capriccioso a cui hanno tolto la caramella da succhiare.
E poi Recalcati attribuisce a Di Maio “evidenti difficoltà di ragionamento e lessicali”, quando è proprio il suo post a essere poco razionale e fluido, oltre che dall'italiano claudicante… (“uno ex-steward”, invece di “un ex steward”; “ultra ottantenne” invece di “ultra-ottantenne” o “ultraottantenne”; “fatica nel”, invece di “fatica a”…). E che dire del farraginoso e inconsequenziale pregiudicato [...] incandidabile, residuato del discorso della pubblicità? (pregiudicato residuato del discorso... ma che vor di’?).
E ciliegia (guasta) sul dolce (un po’ troppo zuccheroso qui, e velenoso lì…), tutto il post trasuda di spirito dell’Es (la paura “bambina” di essere picchiato dal Partito) e di super “Super-Ego” censorio e bastonatore (degli avversari, ça va sans dire), che, per di più, mal si confà a quanto il Nostro posta pochi giorni dopo il famigerato (s)post.
“Lo sguardo del Super-io – come lo sguardo di Dio per l'uomo più brutto di Nietzsche – è uno sguardo che lacera ogni velo, penetra nel cuore delluomo, vede “da parte a parte”, non lascia tregua. Il suo sadismo è quello di una Legge che si applica senza interruzioni, senza eccezioni, come un meccanismo impersonale, nella più totale indifferenza rispetto alle sorti del soggetto [...] La sua finalità non è affatto la riabilitazione, ma la distruzione del soggetto. Non a caso Lacan definisce questa Legge “irresponsabile” e “senza dialettica” [...] “Irresponsabile” perché non contempla la redenzione, l’assoluzione, la salvezza [...] “senza dialettica” perché non conosce l’alleanza col desiderio, ma solo la lotta contro il desiderio.
(Massimo Recalcati, “Contro il sacrificio. Al di là del fantasma sacrificale.”).
Insomma, tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino…  
P.S. Ora leggerò con maggiore sospettoIl complesso di Telemaco che occhieggia dalla mia libreria. Lotterò contro il desiderio...


lunedì 19 febbraio 2018

CAPITANO, MIO CAPITANO


CAPITANO, MIO CAPITANO

“Mi contraddico? Certo che mi contraddico! Sono grande, contengo moltitudini…”
Non sarò il Walt Whitman di “capitano, mio capitano”, ma ho le spalle larghe. D’altronde, quel che ho alle spalle e quel che ho davanti sono piccole cose se paragonate a ciò che ho dentro (per dirla con il mio amato Ralph W. Emerson). 
E dopo un inizio d’anno con un po’ di danni, ecco che sento di nuovo il mio ego-drive – il mio “impulso” esistenziale – mettersi in moto e salire di giri… Ed eccomi al mio primo “vero” giro di valzer (o breakdance) di quest’anno.
Dance dance dance…: «ho provato una tale gioia che ho pensato che Dio fosse tutto solo per me e che non appartenesse a nessun altro…» Ed ecco che mi torna il mente il buon Ruysbroek, il mistico fiammingo che ha colorato qualche “different corner” – per cantarla con il semprevivo George Michael – di un paio delle mie tele librarie (Gocce di pioggia a Jericoacoara e Prendi la PNL con Spirito!). 
Del resto, “chi cerca perle deve tuffarsi in profondità” (John Dryden).
E poi: “La vita è come una piscina: bisogna tuffarsi e, bracciata dopo bracciata, raggiungere l’altra sponda…” (come ha scritto la coach Nicoletta Tedesco, che ho ripescato or ora).

Ma ecco Ruysbroek:
“Dalla gioia, che appena abbiamo terminato di descrivere, nasce un’ebbrezza spirituale che consiste, per l’uomo, nell’essere ricolmato di maggiore gustosa dolcezza e gioia di quanto il suo cuore ed il suo desiderio possano augurarsi o contenere. 
L’ebbrezza spirituale produce molti effetti strani. Mentre gli uni cantano e lodano Dio per eccesso di gioia, altri versano lacrime abbondanti per la grande gioia del loro cuore. In quelli si manifesta un’agitazione di tutte le membra che li costringe a correre, a saltare, a danzare; negli altri l’ebbrezza è così grande da far battere le mani ed applaudire. Uno grida ad alta voce e manifesta così la sovrabbondanza di quel che sente dentro; l’altro, al contrario, ammutolisce, sprofondando nelle delizie che prova in tutto il suo essere. 
Talvolta si è tentati di credere che tutti facciano la stessa esperienza; oppure ci si figura, al contrario, che nessuno abbia mai gustato quel che ciascuno sperimenta in se stesso. Sembra che sia impossibile veder sparire questa gioia e che di fatto non la si perderà giammai; e ci si meraviglia talvolta che tutti gli uomini non diventino spirituali e divini. Talvolta si pensa che Dio sia tutto per noi soli e che non appartenga a nessun altro che a noi stessi; talvolta ci si domanda con ammirazione cosa mai sia tale gioia, donde venga e cosa sia quel che ci accade. 
È la vita più deliziosa che un uomo possa conoscere sulla terra, in quanto gioia sperimentata. E talvolta le gioie son così grandi che il cuore crede che stia per spezzarsi…”

Questa è l’ebbrezza spirituale. 
E qual è la gioia, di cui Ruysbroek parla nell’”Ornamento delle nozze spirituali”, che produce l’ebbrezza spirituale e che persiste anche dopo l’inebriamento dell’anima?
“La dolcezza, di cui abbiamo ora terminato di parlare, fa nascere nel cuore e nelle potenze sensibili una gioia tale che l’uomo pensa di essere tutto avviluppato interiormente dall’abbraccio divino dell’amore. 
Ora, questa gioia e questa consolazione sorpassano in dolcezza, per l’anima e per il corpo, tutto quello che il mondo intero può dare di tal genere, quand’anche un solo uomo potesse esaurirne in se stesso tutta la pienezza. È così che Dio si diffonde nel cuore, per mezzo dei suoi doni, e vi spande una così grande e gustosa consolazione ed una tale gioia che il cuore interiormente straripa. 
Allora si comprende bene quanto sono miserabili coloro che restano al di fuori dell’amore. La gioia così provata fa quasi sciogliere il cuore, tanto che l’uomo non può più contenersi sotto l’abbondanza della gioia interiore.”

Per concludere con il mi(s)tico Rumi: «Quando il liuto intona la melodia, il cuore, impazzito, spezza le catene».
Anche perché vivere è saper disegnare senza la gomma per cancellare…


mercoledì 14 febbraio 2018

AMOR OMNIA VINCIT – ALL YOU NEED IS LOVE


AMOR OMNIA VINCIT

ALL YOU NEED IS LOVE

“Questi amanti incorporei s’incontrarono, un cielo nello sguardo, cielo dei cieli a ognuno il privilegio di contemplare gli occhi dell’altro.” (Emily Dickinson).
San Valentino: l’amore che tutto vince… The power of love. Love is Power.  Oggi (e non solo) celebriamo l’inno all’amore (da san Paolo in poi …e prima).
L’amore è incantamento, incanto, charme…

Gli dèi hanno abbandonato l’uomo e il mondo ha perduto il suo incanto. Ma Dio c’è…
In tempi di disincanto – lo cunto de li cunti – dobbiamo arrabattarci con i barattoli dello sbaraccamento quotidiano (sempre meno vestiti di marca, sempre più cibi in via di scadenza, sempre più bollette scadute) e dello stravaccamento dei media.
Sempre più vacche magre: siamo ormai nella «notte in cui tutte le vacche sono nere».
Le nostre riflessioni su ciò che accade intorno (e dentro) a noi si rivelano incapaci di cogliere la contraddittorietà e complessità del reale (la banalità del quotidiano e la “banalità del male” – v. il trucido omicidio di Pamela, che si vorrebbe sotterrare al più presto…), senza peraltro riuscire a cogliere i bagliori dell’”oltre”, del Divino, dello Spirito (che per i più, col naso abituato ai loro “odori” quotidiani, è solo aria fritta.).
E tuttavia, più è buio più rifulge la bellezza. E questo vale, soprattutto, ora – anche se non è l’età dell’oro, semmai del ferro (ormai arrugginito: vedi ILVA) o del silicio (Silicon Valley e siliconate varie e avariate). D’altronde, “I Vangeli e il Manifesto del partito comunista sbiadiscono; il futuro del mondo appartiene alla Coca-Cola e alla pornografia.” (Nicolás Gómez Dávila).
Eppure, “è sufficiente che la bellezza sfiori appena il nostro tedio, perché il cuore ci si laceri come seta tra le mani della vita” (sempre Dávila).
Il mondo, scriveva ne «L’idiota» Dostoevskij, sarà salvato dalla bellezza. Una profezia che sembra ormai essersi rovesciata. Perché il culto della bellezza – sfruttata dal mercato, amplificata dai media, ostentata dal potere – produce un mondo che non è mai stato tanto brutto (ma ci sono tante eccezioni, a dire il vero, solo che non vengono propagandate. Tutto sembra a binario unico – quello del “politicamente corretto” e della “distrazione di massa”).

Esiste, allora, una via d’uscita da un simile nichilismo estetico (ed esistenziale)? E non parlo del nichilismo, con un suo senso, di filosofi e pensatori di fine Ottocento.
«Non c'è più tempo», sembra suggerire il titolo dell’ultimo romanzo del filosofo Sergio Givone. Ma non tutto è perduto – assicura l’autore, perfettamente a suo agio nella doppia veste di filosofo e scrittore.
Professore, che rapporto ha la nostra società con la bellezza?
«Ossessivo e compulsivo, direi. A tal punto da ritenere che solo ciò che è bello abbia valore, sia degno di essere apprezzato, comprato, votato. Siamo tutti vittime di questo abbaglio. Perché si tratta di un’idea di bellezza vuota che si concretizza nel trionfo del brutto. In questo senso, più che salvare il mondo, la bellezza sembra averlo condannato».
Come si è imposta una simile ideologia?
«La bellezza muore quando perde il legame con ciò che è buono e con ciò che è vero. E se non è più capace di fare cenno ai valori etici e morali diventa un guscio vuoto, appunto, qualcosa che inseguiamo solo per affermare noi stessi».
Ma cos’è la bellezza, qual è il suo significato più autentico?
«È la cosa più inutile che esista, ma di cui non possiamo fare a meno. Senza bellezza perdiamo la nostra umanità, siamo ridotti allo stato di natura. E come insegna il mito biblico della caduta, lo stato di natura non è affatto il luogo da cui proveniamo, bensì quello in cui siamo stati cacciati. E dal quale perciò dobbiamo uscire. Ecco, la bellezza è lo scarto che c’è tra lo stato di natura e quel “di più” a cui siamo chiamati per essere davvero uomini. La bellezza è l’ideale che ci ricorda che non siamo fatti per vivere come bruti. È per questo che gli antichi la legavano al Bene e al Vero. Noi l’abbiamo dissociata».
E l’arte contemporanea come vive questo tradimento?
«Rifiutando la bellezza e tutto ciò che a che fare con l'armonia, la composizione luminosa, l' immagine. Penso a Beuys, che raccoglie delle pietre e le scarica sul pavimento: non perché scelte in base a qualche criterio estetico, ma in quanto pietre e basta. Oppure a Rothko, con il suo imprigionare frammenti di luce dentro a una tela nera che li inghiotte».
Non abbiamo dunque scampo dal pensiero unico di una bellezza autoreferenziale?
«Non tutto è perduto, anche perché la bellezza si dà in molti modi. Non esiste infatti solo la visione occidentale di proporzione formale, la bellezza può essere anche ad esempio pensata come bellezza del gesto: nei giardini giapponesi l’idea è quella di intervenire senza che l’intervento si veda, lasciando che la natura faccia ciò che deve. Altre forme di bellezza non ossessiva si affacciano nella nostra esperienza quotidiana, penso al piacere che proviamo nel servire una cena come si deve, nel disporre i fiori nel vaso in un certo modo. Il bello ci seduce e ci guida sempre, anche se noi lo tradiamo di continuo».
(Cutri Fabio – Corriere della Sera del 3 maggio 2008).

La bellezza dev’essere mostrata, ostentata (nel senso di ‘ostensione’  e ‘di ‘osculum’ – bacio), se ne devono fare dei poster immaginari da avere sempre davanti agli occhi:
“Devi creare delle belle sensazioni e renderle intense e creare delle sensazioni motivanti e renderle intense. Devi farti immagini grandi, grandissime, non delle stupide immaginette minuscole e indistinte. Quelle non sono buone basi di una vita motivata, e con delle buone basi puoi vivere una vita davvero forte.” (Richard Bandler).
E allora, vivi la bellezza… La puoi trovare in varie forme, non solo nelle beauty farm…

domenica 4 febbraio 2018

IL TEMPO DELLE DECISIONI


IL TEMPO DELLE DECISIONI

«Ama e fa’ ciò che vuoi» diceva Sant’Agostino.Decidi dall’Essere e fa’ ciò che vuoi” mi verrebbe da dire dopo aver riletto un libro di Mauro Ventola, giovane pensatore di talento, a cui ho prefato e commentato più d’un libro.
Decidere: tagliare via (il superfluo). Quello della decisione è uno degli ambiti più problematici del nostro tempo: non siamo più nel tempo delle mele (qualcuna ne è rimasta, ma acerba o guasta), ma neanche nel tempo del male (ma c’è sempre più la “banalità del male”); direi che, più che altro, siamo nel tempo delle molle: un po’ su un po’ giù, un po’ di qui un po’ di là… Tante banderuole, tanti zombie, tanti “tutti d’un pezzo” (come robot).
È questo un tempo di crisi, quindi di necessità di discernimento (l’etimo è, sostanzialmente, lo stesso). E se c’è crisi, ci sono – lo sanno ormai anche i bimbi – le opportunità. E se è tempo di discernimento, la questione non è se sia bene decidere (o piuttosto rimanere in stand-by), ma solo su cosa sia bene decidere. È giusto avere un periodo di epoché, di sosta, ma è giunto il momento di passare decisamente dall’avere all’essere, insomma di passare all’azione (cominciando dalle elezioni).
 
Il ad una scelta, deve essere, però, completato da alcuni no, altrimenti è illusorio. In ogni caso, è il tempo delle decisioni.
“Gesù si diresse decisamente verso Gerusalemme”. La sua vita non vaga a casaccio, ma Gesù va dritto verso il luogo della suprema testimonianza. È un modo di sottolineare la libertà dell’aver deciso un orientamento, una direzione, che comprende e coinvolge con sé tutto il resto.
La morte di Gesù è il ritorno del Figlio al Padre suo. La sua ultima parola “Tutto è compiuto” significa che egli ha condotto a buon fine la sua missione.
E noi, la nostra missione la stiamo compiendo? E poi, qual è la nostra missione? Ne abbiamo una? È diversa da quella degli altri, o siamo tutti indirizzati verso un’unica meta?
Meta, metànoia, metafora. Lo scopo è il cambiamento di mentalità, la trasformazione (metamorfosi) di noi stessi e del mondo che ci è attorno. Se prima eravamo metà, ora siamo interi...
Ma, innanzitutto, è necessario partire, fare il primo passo, poi il secondo, il terzo…  Purché non ci si fermi a metà del cammino. La meta è vicina, lo Spirito soffia, la carne urla: l’importante è rimanere sottovento.
Sì, come afferma la Kabbalah (la mistica ebraica, e, in fondo, lo stesso Cristianesimo), per esistere, quindi essere, dobbiamo divenire: il cambiamento costante ci porta a livelli sempre superiori. La nostra vita è una ‘pasqua’, un passare oltre: c’è il lunedì, il martedì… il giovedì santo, il venerdì santo, la ‘passione’, la ‘morte’, la ‘risurrezione’.
Non solo, ma il nostro “quadretto” individuale dev’essere inserito in un grande “polittico”: nostro scopo è rimuovere caos e sofferenza, non solo dalla nostra vita, ma da quella di chi ci è vicino (e lontano). Se la nostra vita è perfetta, ma la nostra famiglia, i nostri vicini, i colleghi di lavoro, sperimentano caos e sofferenza, la loro ‘entropia’ (degrado) rischia di contaminarci, di risucchiarci, vampirizzarci, licantropizzarci.

Eppure, solo il caos può partorire la stella danzante… Elevando le singole ‘consapevolezze’, anche la world consciousness (coscienza mondiale) si eleverà a livello di consapevolezza cosmica. Il caos partorirà la stella danzante.
Per progredire nelle nostre esistenze quotidiane è però necessario – come già detto – prima fermarsi (fermati e ascolta il tuo Dio…): dobbiamo individuare (identificare) dove siamo (lo stato attuale) e stabilire la meta, ossia dove vogliamo andare, quali risultati desideriamo ottenere, quale vita condurre, che uomo e donna vogliamo essere (lo stato desiderato). 
Se consideriamo che ‘desiderio’ ha a che fare con le stelle (sidera), possiamo ben dire: dalle stalle alle stelle.
«Riportate, come me, la virtù volata via sulla terra – sì, riportatela al corpo e alla vita; perché dia un senso alla terra, un senso umano!» Così cantava Nietzsche.
E io, con Gregorio Nazianzeno, aggiungo: «Scruta seriamente te stesso, il tuo essere, il tuo destino; donde vieni e dove dovrai posarti; cerca di conoscere se è vita quella che vivi o se c’è qualcosa di più.»
E se vuoi qualcosa di piu, devi decidere ...adesso!