CAPITANO, MIO CAPITANO…
“Mi contraddico? Certo
che mi contraddico! Sono grande, contengo moltitudini…”
Non sarò il Walt Whitman di “capitano, mio capitano”, ma ho le
spalle larghe. D’altronde, quel che ho alle
spalle e quel che ho davanti sono piccole cose se paragonate a ciò che ho
dentro (per
dirla con il mio amato Ralph W. Emerson).
E dopo un inizio d’anno con un po’ di danni, ecco che sento di nuovo il mio ego-drive – il mio
“impulso” esistenziale – mettersi in moto e salire di giri… Ed eccomi al mio
primo “vero” giro di valzer (o breakdance) di quest’anno.
Dance dance dance…: «ho provato una tale
gioia che ho pensato che Dio fosse tutto solo per me e che non appartenesse a
nessun altro…» Ed ecco che mi torna il mente il buon Ruysbroek, il mistico
fiammingo che ha colorato qualche “different corner” – per cantarla con il semprevivo George Michael – di un paio
delle mie tele librarie (Gocce di pioggia a
Jericoacoara e Prendi la PNL con
Spirito!).
Del resto, “chi cerca perle deve
tuffarsi in profondità” (John Dryden).
E poi: “La vita è come una piscina: bisogna tuffarsi e, bracciata dopo
bracciata, raggiungere l’altra sponda…” (come ha
scritto la coach Nicoletta Tedesco, che ho ripescato or ora).
Ma ecco Ruysbroek:
“Dalla gioia, che appena abbiamo terminato di descrivere, nasce
un’ebbrezza spirituale che consiste, per l’uomo, nell’essere ricolmato di
maggiore gustosa dolcezza e gioia di quanto il suo cuore ed il suo desiderio
possano augurarsi o contenere.
L’ebbrezza spirituale produce molti effetti strani. Mentre gli
uni cantano e lodano Dio per eccesso di gioia, altri versano lacrime abbondanti
per la grande gioia del loro cuore. In quelli si manifesta un’agitazione di
tutte le membra che li costringe a correre, a saltare, a danzare; negli altri
l’ebbrezza è così grande da far battere le mani ed applaudire. Uno grida ad
alta voce e manifesta così la sovrabbondanza di quel che sente dentro; l’altro,
al contrario, ammutolisce, sprofondando nelle delizie che prova in tutto il suo
essere.
Talvolta si è tentati di credere che tutti facciano la stessa
esperienza; oppure ci si figura, al contrario, che nessuno abbia mai gustato
quel che ciascuno sperimenta in se stesso. Sembra che sia impossibile veder
sparire questa gioia e che di fatto non la si perderà giammai; e ci si
meraviglia talvolta che tutti gli uomini non diventino spirituali e divini.
Talvolta si pensa che Dio sia tutto per noi soli e che non appartenga a nessun
altro che a noi stessi; talvolta ci si domanda con ammirazione cosa mai sia
tale gioia, donde venga e cosa sia quel che ci accade.
È la vita più deliziosa che un uomo possa conoscere sulla terra,
in quanto gioia sperimentata. E talvolta le gioie son così grandi che il cuore
crede che stia per spezzarsi…”
Questa è l’ebbrezza spirituale.
E qual è la gioia, di cui Ruysbroek parla nell’”Ornamento delle
nozze spirituali”, che produce l’ebbrezza spirituale e che persiste anche dopo
l’inebriamento dell’anima?
“La dolcezza, di cui abbiamo ora terminato di parlare, fa
nascere nel cuore e nelle potenze sensibili una gioia tale che l’uomo pensa di
essere tutto avviluppato interiormente dall’abbraccio divino dell’amore.
Ora, questa gioia e questa consolazione sorpassano in dolcezza,
per l’anima e per il corpo, tutto quello che il mondo intero può dare di tal
genere, quand’anche un solo uomo potesse esaurirne in se stesso tutta la
pienezza. È così che Dio si diffonde nel cuore, per mezzo dei suoi doni, e vi
spande una così grande e gustosa consolazione ed una tale gioia che il cuore
interiormente straripa.
Allora si comprende bene quanto sono miserabili coloro che
restano al di fuori dell’amore. La gioia così provata fa quasi sciogliere il
cuore, tanto che l’uomo non può più contenersi sotto l’abbondanza della gioia
interiore.”
Per concludere con il mi(s)tico Rumi: «Quando il liuto intona la melodia, il cuore, impazzito, spezza
le catene».
Anche perché vivere è
saper disegnare senza la gomma per cancellare…
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