VERTIGO
Dov’è è finito il nativo?
L’altro ieri se ne è andato via un altro pezzo del ’68 e dintorni, un bardo della beat generation: Peter Orlowskij, più noto come compagno del poeta beat Allen Ginsberg.
Sessantotto, beat e flower generation… un periodo quello dell’alba dell’Età dell’Acquario che mi è caro e che, nel bene e nel male, mi ha forgiato. Ma non ho colto solo le rose (che avrei dovuto solamente guardare, come nell'haiku di Basho), ma anche le ‘spine’: in quello stesso periodo mi hanno punto Nietzsche, Hermann Hesse e Jung – questo ha dato ulteriori colori alla mia Stimmung e Weltanschauung (sono un po’ un post-bambino ‘indaco’).
Detto questo, mi piace ricordare Orlowskij, l’apollo maudit (ai limiti del trash alla Andy Warhol), con alcuni versi della sua Vertigine:
Un arcobaleno entra versandosi nella mia finestra. Sono elettrizzato. Canzoni esplodono dal mio petto, tutte le mie lacrime cessano, il mistero inonda l’aria. Cerco le mie scarpe sotto al letto. (…)
I miei sogni mi sollevavano dal mio letto. Sognavo di saltare nel vortice di una pistola per lottare con una pallottola. Ho incontrato Kafka e lui è salito su un appartamento per evitarmi. Il mio corpo si è trasformato in zucchero, versato nel tè ho trovato il senso della mia vita. (…)
Cammino per le strade cercando oggi gente che mi accarezzi. Ho cantato sugli ascensori credendo di raggiungere il paradiso. (…) Guardo fuori dalla finestra e non vedo nessuno. Vado in strada, guardo verso la mia finestra e non vedo nessuno. Così parlo all’idrante, e gli chiedo “Hai delle lacrime più grandi delle mie?” Non c’è nessuno in giro, piscio ovunque. Mie trombe di Gabriele, mie trombe di Gabriele: Spiegate i canti di gioia, il mio giubilo immenso.
E per un Orlowskij che muore, una petite Orlane che nasce. Il suo nome Dalila, una blog-groupie che m’invia un suo ‘vertiginoso’ scritto, memore di Nietzsche, di Max Stirner, Michelstaedter, Evola, R. D. Laing e, per stare ai nostri tempi, Adriano Segatori e Claudio Risè... oltre, ça va sans dire, al Chuck Palahniuk di Fight Club. Troppi? Fate voi. Ecco comunque il tralcio di Dalila (piccole psiconaute crescono…).
DOVE E’ FINITO IL NATIVO?
Delirio di onnipotenza.
Ce la faccio. Ce la faccio. Ce la faccio. Io sono un essere PERFETTO. Basto a me stessa nella modalità in cui il cosmo, in perfetta armonia con la sua forma, si adatta a me. E la realizzazione altissima dell’incastro preciso tra me e il mondo. Solo che questo non è ancora palpabile. Sono le proiezioni della nostra mente, l’acerbità dei nostri aborti psicologici che ci rovinano, la dimensione della socialità, delle realtà gruppali, del senso di appartenenza che ci mandano in pappa il cervello. Sì, perché, per quanto importanti siano la socialità o il clan, il nostro Io non potrà mai esistere pienamente nella sua essenza, e dunque nella sua forma AUTENTICA.
Dove è finita l’autenticità? Dove è finito il nativo che è in ognuno di noi? Mi piace utilizzare il termine “nativo”, prendendolo in prestito dall’indagine di Rey Chow, mutandone tuttavia il significato. Non lo si vuole intendere qui come “immagine” sottoposta allo sguardo pornografico di altri popoli o come “oggetto inattendibile”, ma come il Sé reale al quale ognuno di noi appartiene o apparteneva. È rimasto nell’epoca preistorica o ce lo portiamo dentro, come un feto ammalato e decomposto?
Siamo venuti al mondo, il mondo è perfetto, noi siamo perfetti. Serviamo al cosmo, come il cosmo serve a noi, ma allora perché ci crogioliamo nell’irrequietudine che ci attanaglia e ci spinge ad un insano ed insensato pathos, per non dire ad un’ansia cronica, dettata da pensieri ossessivi e realizzata in compulsioni soggettive?
Forse la verità è che abbiamo tradito il nostro Io, venendo al mondo e facendo i conti con QUESTA realtà, con questa dimensione o, per meglio dire, con la percezione reiterata della nostra fittizia realtà mentale, costruita attraverso le sovrastrutture sociali, etiche e morali. Per tornare all’autenticità allora basterebbe rinchiudersi in un eremo? La risposta è no, poiché questo tradimento, avvenuto e consumatosi tanti tanti anni orsono, non può essere cancellato; oramai è insito in noi: è l’obbedienza ad una legge superiore che ci ha voluti così e si staglia in nebulose incertezze, attanagliandoci in fobie, dubbi, amarezze, depressioni e angosce terribili. Ma adesso basta. Adesso non vogliamo riprenderci il nativo che in noi. Sarebbe un’impresa a dir poco ardua, e soprattutto non ci gioverebbe, poiché figlia di un tempo che non è questo. Tanto vale rimboccarci le maniche e andare a conquistare la vittoria.
Non tenteremo di vincere. Non ci proveremo affatto. NOI VINCEREMO.
CAMBIEREMO IL FLUSSO NEGATIVO DI QUESTO TRADIMENTO, non torneremo all’essenza primordiale, non cercheremo i figli di un’epoca andata, ma combatteremo i nostri demoni e invertiremo l’andamento dei pensieri negativi, delle azioni negative, delle conseguenze negative. Semplicemente perché, se ci concentriamo su una cosa da cercare, su una cosa da “tentare”, è molto probabile che non la troveremo o che non riusciremo a realizzarla. Dunque, fatevi sotto pensieri del cazzo, manie di merda, fobie insensate! Se vi foste fatte vive quando ancora c’erano i nativi, quando ancora tutto era forma e sostanza assieme, quando si era centrati nell’essere Sé, ve la sareste fatta sotto. La puzza si sarebbe sentita fin qui. Ed ora che ci penso, l’olezzo che sento, stantio e vecchio di migliaia di anni, è proprio la vostra merda che è viaggiata nell’etere e nel tempo! Ora vi credete forti, ora non avete paura di nulla, certo, perché la socialità, il mondo, la realtà fattuale, le dinamiche relazionali rappresentano per voi un’assicurazione sulla vostra fottutissima vita.
SIETE SOLO DEI PAVIDI, VIGLIACCHI E SGRETOLANTI POPPANTI CAGASOTTO CHE SI FANNO VIVI SOLO QUANDO TUTTO E’ PIU’ SEMPLICE!!!
Noi no. Noi andiamo e vinciamo. E se non vinciamo, andremo di nuovo e ancora e ancora e ancora, fin quando VINCEREMO.
Fin qui Dalila, la fighter. Non mi resta che chiosare, surfeggiando sulle sue stesse onde sulla tavola del Tyler club-fighter:
Siamo i figli di mezzo della storia, non abbiamo né uno scopo né un posto. Non abbiamo la grande guerra né la grande depressione. La nostra grande guerra è quella spirituale, la nostra grande depressione è la nostra vita…
Sentite balordi, non siete speciali, non siete un pezzo bello, unico e raro. Siete materia organica che si decompone come ogni altra cosa. Siamo la canticchiante e danzante merda del mondo. Facciamo tutti parte dello stesso mucchio di letame.
Fin qui Tyler e, per alcuni versi, noi blogger e co-blogger. In ogni caso, se combattete con noi, diverrete le canticchianti stelle danzanti del mondo…
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