SMARTÀ – TARANTO KULTUR
Nel precedente post “Le
cinque menti” ho re-iniziato un ulteriore percorso di auto-formazione, al
fine di mettere insieme le tessere sparse in tutto il blog. Tuttavia, l’interesse
per l’architettura, l’urbanistica e, meno scalpitante, per l’attualità, mi
spinge a un primo pit-stop.
L’occasione mi è data da un fatto locale: la proposta di
designazione della città di Taranto come Capitale
italiana della Cultura 2016/2017.
Taranto, come è noto, da città dalle magnifiche sorti (e) progressive (dai tempi della Magna Grecia ai
primi del ‘900) è regredita fino a quasi una morte progressiva. Eppure tanto di
quel fuoco arde sotto la cenere (dell’ILVA).
Anche se gli uomini
vollero piuttosto le tenebre che la luce.
Il documento seguente è un mio contributo alla “validazione”
della proposta, ma, sotto la coltre (o se preferisci, le ceneri) c’è tutta una
serie di ‘tessere’ che puoi utilizzare per comporre il tuo mosaico personale
(anzi, più d’uno).
Taranto Capitale
italiana della Cultura 2016 -2017
Considerazioni
“Se qualche poco di luce da lontano mi viene, è da te Jonio
gentile, che le muse riconduci ai lidi degli Dei: fra l’uva e l’uliva Eros
ancora versa vino agile e resina…”
“Era alla gioia e non alla rassegnazione e alla tristezza
che (…) puntava: una gioia disperata, un bisogno (…) di felicità da conquistare
ad ogni costo.”
Ecco due “foto” di Taranto, la prima di Raffaele Carrieri, la seconda di
Giacinto Spagnoletti: due voci eminenti della Taranto “emigrata” del secolo
scorso.
“Non scelgo dove mettere un'emozione, scelgo a chi donarla.”
Questa è, invece, la grande Alda Merini, voce “immigrata”, senza tempo.
“Voglio donare a Taranto, ma nessuno risponde”, fa da contraltare Biagio Antonacci, voce del nostro tempo.
Luce, gioia, emozione, dono… versus
rassegnazione, tristezza, disperazione.
Una visione contro la
foschia: parole di speranza, sia pure con un fil di voce.
Bene, noi siamo pronti a dar voce alla “nuova”
Taranto!
Ma qual è la Taranto che ci vogliamo scrollare di dosso? E
qual è la Taranto che vogliamo?
“Era una vecchia città
industriale e commerciale. È diventata un modello di ristrutturazione
urbanistica “green” e sostenibile. Mescolando creatività, tecnologia e …”
Ci fermiamo qui, il resto dobbiamo farlo noi: se nel reportage
de L’Espresso “l’ecologia riparte da Bristol”, nella nostra “visione”, e
“missione”, la Cultura riparte da
Taranto.
Abbiamo anche noi, soprattutto
noi, il “Waterfront” – il Lungomare, più
d’uno… E poi, il porto, i porticcioli – più in potenza che in atto – la pesca,
la miticultura e, soprattutto, la cultura
tout court: superfluo citare i luoghi – ipogei e, se si vuole, “apogei” – che
caratterizzano la città storica e la memoria urbana, tangibile e “intangibile”.
“Taranto antica capitale della Magna Grecia: un punto di
partenza e non un semplice dato storico. Dovrebbe essere questa la logica
capace di invertire la rotta, di produrre veramente una rivoluzione copernicana
per la nostra città, puntando sull’esistente e valorizzando i tesori nascosti e
dimenticati. In quest’ottica un plauso al “Comitato Taranto Capitale italiana
della Cultura 2016 -2017”, coordinato da Claudio Leone.”
Parole sacrosante quelle di “Cronache Tarantine” del 18 aprile:
sì, è questo il momento di invertire la
rotta (siamo o no una città di mare?) e “formare” di nuovo la nostra città. D’altronde, “we shape our cities
and thereafter they shape us” (noi diamo forma alle nostre città e queste danno
forma a noi), ricordava Winston Churchill. Senza
dimenticarci che “Le
coeur de une ville change plus vitement de le coeur de l’homme” (Charles Baudelaire).
Sì, le città cambiano, non sono statiche, ma dinamiche, vive. Taranto è una città che deve
rinascere sulle basi della memoria, ma con una “visione”, un progetto. Ecco lo
“sfondo”:
visione (vision/mission) – obiettivi
(goals) – stato di fatto/avanzamento (progress report)
– risultati (outcomes) – prospettive (outlooks).
Si potrebbe parlare,
riguardo a Taranto-Cultura, di “SMARTÀ” – il riferimento, esplicito, è al suo
Museo, il MARTA.
Forte
enfasi sarà data al: coinvolgimento della comunità nelle fasi di
concepimento e sviluppo del progetto, stimolando la costruzione del consenso
tra i diversi gruppi d’interesse (stakeholders), la promozione della capacità
di progettazione urbana delle associazioni; l’innalzamento della consapevolezza
da parte dei cittadini delle problematiche legate allo sviluppo; l’aumento
della fiducia in tutti coloro che saranno coinvolti nell’attività “rigenerativa”,
come risultato dell’esperienza di lavoro di gruppo; la creazione di visioni
condivise per il futuro della comunità e l’identificazione di strategie di
breve e lungo periodo.
Come ricordano gli studiosi Taewoo Nam e Theresa A. Pardo, tre sono le componenti
concettuali chiave di una Smart City: la tecnologia
(infrastrutture hardware e software), le persone (la creatività, la diversità e
l’istruzione), le istituzioni (governo e politica). Data la connessione fra questi
fattori, una città è “intelligente” e “brillante” quando gli investimenti nel
capitale umano e sociale e le infrastrutture dell’information technology crescono
in maniera sostenibile e migliorano la qualità della vita attraverso un governo
partecipativo.
Il concetto di Smart
City, e Taranto deve diventare una Smart City della Cultura, è collegato alle nozioni di competitività globale,
sostenibilità, responsabilizzazione e qualità della vita, con il supporto di tecnologie
avanzate, scienze informatiche, neuroscienze, nano-scienze (mai più ILVA!) e scienza
dell’informazione, per affrontare le sfide future della città, come l’energia,
la salute, la sicurezza e il commercio.
Una città di start-up, laboratori culturali, artistici e
artigianali, workshop, installazioni ed eventi. Il tutto finalizzato, in
primis, a:
Arricchimento della qualità della vita.
Incentivo alla scoperta e crescita di talenti artistici.
Sprone all’”orgoglio” comunitario.
Aumento della fiducia nelle proprie qualità e crescita
dell’autostima.
Promozione del benessere psicofisico.
Nuove occasioni di lavoro e di passatempo.
Miglioramento della qualità dell’ambiente.
In pratica, partendo dal patrimonio
“acquisito”, una “Arts Strategy”, con il coinvolgimento dei cittadini, specie dei più giovani, nelle
svariate opzioni formativo-culturali elaborate e messe in atto dal “Piano della Cultura”, sia come
“creativi” – in qualità di partecipanti attivi ai corsi di arte, alle start-up
tecnologiche e alla “Kultur” in senso lato – sia come semplici spettatori o
fruitori: in tal senso, si forniranno incentivi e nuove opportunità ai
residenti, anche promuovendo esposizioni e mostre dei propri lavori.
Tutto ciò servirà a migliorare la qualità dell’ambiente naturale e
costruito.
In definitiva, il programma Taranto-Cultura, o “SMARTÀ”, sarà caratterizzato
dall’integrazione a scala di quartiere di interventi sulla “città fisica” e
sulla “città sociale”. Attori pubblici e privati, organizzazioni di
cittadini, membri dell’Amministrazione Comunale, collaboreranno per rigenerare,
realmente e per via endogena, le aree urbane più degradate.
I “campi di
battaglia” saranno: quello sociale, economico, politico. Il modello non sarà, quindi,
riconducibile al tipico Top down, ma nemmeno a un puro Bottom up:
l’idea è quella di un approccio ”misto”, dove il peso degli attori locali sarà davvero rilevante; allo stesso tempo, il Governo (locale,
regionale, nazionale) potrà/dovrà tracciare le direttrici da seguire per il
raggiungimento dell’obiettivo/obiettivi finale/i, fornendo gli impulsi affinché
il meccanismo non si fermi.
Trattandosi
di una ri-generazione, quindi di una nuova nascita, nei quartieri born-again,
e nella città in generale, ci si dovrà muovere tra le diverse esperienze nascenti
– o ri-nascenti –in cui, accanto alla riqualificazione fisica, saranno presenti
aspetti culturali, sociali, economici e ambientali, sia provenienti dalla tradizione
e dall’humus locale (genius loci) sia dallo “spirito del tempo” (zeit-geist),
in un mix tra localizzazione e globalizzazione – per cui,
in un certo senso, si potrà parlare di glocalizzazione.
La partecipazione
della comunità, l’integrazione, la cooperazione, l’omeostasi, la
sussidiarietà e la sinergia saranno i concetti chiave per una corretta gestione
urbana orientata verso la sostenibilità e la durabilità di una Taranto “culturalmente-orientata”.
Questo
concetto di rigenerazione urbana “culturalmente-orientata” è da intendersi come l’output di politiche e progetti
integrati, all’interno dei quali la ricerca di una nuova qualità
della vita e dell’abitare si coniugherà con l’attenzione rivolta agli aspetti
economici e sociali che concorreranno alla ridefinizione di scenari e prospettive
di più ampio respiro. Nel caso specifico di Taranto, l’aspetto che si cercherà
di far emergere con maggior forza sarà, in particolare, la pluralità di
significati con cui si confronterà la costruzione del nuovo paesaggio
urbano, in cui gli spazi aperti si legheranno sempre più strettamente a quelli
della residenza, del lavoro, del tempo libero, della circolazione, nell'intento
di riqualificare gli insediamenti dal punto di vista formale e relazionale.
A ciò si aggiunge la particolare cura
(nel senso di Heidegger – l’autenticità del senso dell’essere-nel-mondo)
nella ricerca di empowerment (potenziamento sociale), con il coinvolgimento
della comunità, lì dove per
“comunità” intendiamo: un insieme di abitanti e operatori economici che
vivono o lavorano abitualmente in una data porzione di città e che ne
condividono un determinato spazio urbano.
Questo community-based
planning, cui il “Progetto Cultura” farà da traino, vedrà la comunità
locale come interlocutrice: la interpellerà, per instaurare un dialogo
con gli abitanti dei quartieri da rigenerare, per affrontare i problemi
comuni e favorire la partecipazione al processo decisionale.
La
partecipazione potrà avvenire in diversi modi, a misura del grado di
coinvolgimento effettivo: dai casi più semplici di consultazione, in cui i
cittadini saranno chiamati a esprimere il loro punto di vista sul progetto
predisposto dall’amministrazione, a esperienze più complesse di “progettazione partecipata”, in cui
verrà riconosciuto ai cittadini il potere di entrare nel merito del progetto,
discuterlo e negoziarlo con l’amministrazione, anche mediante dibattiti e
valutazione da parte di un gruppo di “cittadini comuni” o di utenti di un
servizio.
Tutte
queste procedure di town-planning partecipato si rifanno alla
pluridecennale esperienza dell’advocacy planning, una particolare forma
di urbanistica con finalità sociali, che coinvolge i
cittadini nei processi decisionali, assistendo i più deboli nella difesa
dei propri quartieri, al fine di migliorare le loro condizioni di vita e la
qualità ambientale in genere.
Due saranno
i soggetti principali di riferimento: la comunità e le associazioni. La comunità,
oggetto/soggetto dai contorni mutevoli e dai legami instabili, si pone come
riferimento, in quanto incarna l’idea di “bene comune” e di “soggetto locale”: di
qualcosa che è più vicino ai cittadini di un generico interesse pubblico dato
in delega ad altri.
La comunità
tutela gli esclusi e chi non è rappresentato, è il riferimento di un pluralismo
più esteso e più rappresentativo. La comunità porta, inoltre, in sé l’idea di coesione
sociale: è un patrimonio immateriale, riconosciuto come elemento
fondamentale per una società sana, aperta, fiduciosa, solidale, capace di
prosperità economica. Senza coesione sociale il prezzo da pagare è la
disgregazione della città, la marginalità di ampie fasce di popolazione,
l’indebolimento della fiducia reciproca necessaria per lo sviluppo economico.
Le associazioni,
soprattutto quelle di tipo comunitario e del settore non-profit, sono a
loro volta riconosciute come un fondamentale collante sociale. La loro
inclusione nei processi decisionali e nelle politiche istituzionali è
considerata fondamentale per l’attuazione di politiche di governance
giuste ed efficaci.
Molti studi
di settore affermano che le politiche e i piani di rigenerazione urbana che non
prendano nella debita considerazione i soggetti destinatari e che non adottano
processi partecipati rischiano di mancare i loro obiettivi (Dockerty, Goodland,
Paddison).
L’urbanistica
partecipata con le comunità, e il caso di Taranto potrebbe diventare un
esempio paradigmatico, assume un rilievo strategico nei processi di
rigenerazione urbana, in quanto assume in sé, metabolizzandole, per poi
superarle, le politiche ristrette della gestione e della ricomposizione dei
conflitti sociali e della protesta delle fasce emarginate e borderline.
A ciò si
aggiunge, last but not least, il riconoscimento del valore della qualità
architettonica e urbana: non solo dei “pieni”, delle “emergenze”, ma
anche dei “vuoti”, degli spazi pubblici e delle aree verdi come elementi vitali
e qualificanti della città.
Un’urbanistica
che non sia solo autoreferenziale, o summa di pieni e vuoti, ma che sia dialogica
e olistica: una scienza con coscienza…
La coscienza del
ruolo di Taranto come città “Capitale della Cultura”.
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