DAL COACHING A UNA
DIMENSIONE AL COACHING OLISTICO E TRANSPERSONALE
«L’uomo è due uomini contemporaneamente: solo che uno è sveglio nelle
tenebre e l’altro dorme nella luce.» (Kahlil Gibran).
Siamo continuamente bombardati da
luci, suoni e parole. Stimoli di ogni genere ti disorientano. Probabilmente hai
bisogno di un coach, un mentore o un corso di risveglio.
Lampi di eternità
«Viviamo in un mondo in cui presunte verità, pseudo-valori, eventi senza
senso e false mete ci indirizzano in vicoli ciechi senza via d’uscita. Siamo
continuamente bombardati da luci, suoni, parole parole parole… Stimoli di ogni
genere ci disorientano, spaventano e bloccano; rimuginazioni continue, idee
fisse, pensieri inutili e improduttivi intasano il mio e il tuo cervello. Tutta
questa pressione finisce per deprimerci: troppo grande è il divario tra i
nostri desideri, le nostre aspettative e la vita reale.» (dal mio PNL
transpersonale)
Nondimeno, «Vi sono improvvisi imprevedibili lampi di eternità o
dell’infinito che giungono a noi quando meno ce li aspettiamo” (Anthony de
Mello). Eppure, spesso la nostra condizione abituale è quella di persone
addormentate. «Il principe azzurro di cui hai bisogno è un coach, un mentore
o, come in questo caso, un corso di risveglio». (dal mio PNL olistica).
Con i piedi per terra
Allora, vai col coaching… diresti tu che ti affacci a questo sito dedicato
al miglioramento personale.
Sì, il coaching va benissimo per risvegliare persone addormentate, risolvere problemi e fare goal, ma senti questa (risale al giorno della fiducia al governo Gentiloni): Mario Monti inizia ringraziando Matteo Renzi. «Non ho alcun motivo sul piano personale, ma sul piano politico lo ringrazio perché ha avuto coraggio ed è stato un buon coach, infondendo un senso di orgoglio e di speranza. Grande tecnico della comunicazione e della motivazione, ha finito con la sua inadeguatezza politica per recare danno al paese».
Sì, il coaching va benissimo per risvegliare persone addormentate, risolvere problemi e fare goal, ma senti questa (risale al giorno della fiducia al governo Gentiloni): Mario Monti inizia ringraziando Matteo Renzi. «Non ho alcun motivo sul piano personale, ma sul piano politico lo ringrazio perché ha avuto coraggio ed è stato un buon coach, infondendo un senso di orgoglio e di speranza. Grande tecnico della comunicazione e della motivazione, ha finito con la sua inadeguatezza politica per recare danno al paese».
Prima adeguato, poi inadeguato…
Qual è la verità, allora? Il coaching fa bene o fa male? È vero che, dopo
essere diventati grandi tecnici della comunicazione e della motivazione,
rischiamo di ritornare alla nostra inadeguatezza? Nei Vangeli c’è
un’espressione molto forte, ma efficace: Il cane è tornato al suo vomito e
la scrofa lavata è tornata a rotolarsi nel fango.
E poi, c’è sempre il rischio di gettare le perle ai porci…
Naturalmente, non sto parlando (bene o male) di Renzi, né di nessun altro,
e nemmeno voglio ergermi a guru o maestro di verità («La verità… ah se fosse
vera!» direbbe Jorge Luis Borges), ma voglio solo scuotervi un po’ ed
emozionarvi (vedi il mio primo articolo: Chiamale se vuoi emozioni).
Dall’uomo a una dimensione a quello tridimensionale
Prima scossa: Herbert Marcuse, il famoso maître à penser, sosteneva che
l’uomo a una dimensione è tale in quanto, con il suo vivere ammansito dalla
società consumistica e drogato dai mass-media, si muove a senso unico, non
riuscendo così a manifestare la molteplicità del proprio essere interiore.
Il coaching può però scuoterlo e fargli fare un salto di livello: da allora
in poi l’uomo a una dimensione (diventato a due dimensioni) comunicherà in modo
migliore e sarà motivato; inoltre, da “Io diviso” (come lo definiva Ronald Laing) passa a “Io unificato”. Ma non è sufficiente… (sarà stato il caso di Renzi?).
L’uomo a due dimensioni rimane, infatti, all’interno di uno schema
stimolo-risposta, sia pure estremamente evoluto, senza però riuscire ad aprire
completamente il ventaglio di tutte le possibilità: non sa (o lo sa in modo
approssimativo e non focalizzato) che di fronte a una difficoltà apparentemente
insormontabile, oltre alla buona comunicazione e alla forte motivazione, può
far appello a risorse transpersonali (la preghiera efficace, la visualizzazione
creativa, la nevillizzazione degli
obiettivi, di cui parlerò in un prossimo post, ecc.).
Con il coaching olistico (che contempla tutt’e tre le dimensioni dell’uomo:
corpo, anima e spirito) e con quello transpersonale, che agisce ancor più sulla
dimensione spirituale, si può arrivare all’uomo a tre dimensioni, completamente
realizzato grazie alla (ri)scoperta della molteplicità dell’essere che
caratterizza la dimensione umana.
L’uomo è, infatti, quell’essere che, come ammoniva Pascal, può e deve
andare oltre se stesso e trascendere la propria natura materiale, con tutti
rischi connessi alla “traversata del mare della vita” (per dirla con
Platone).
Il coaching olistico e transpersonale
Ma cos’è sto coaching di cui stai straparlando? Certamente, qualcosa
la sai, ma a ogni buon conto ecco qui una sintesi. È un incontro one to
one, personalizzato, fatto su misura, pratico, concreto, strategico,
finalizzato a:
- accrescere l’autostima;
- migliorare le performance;
- superare blocchi e convinzioni limitanti;
- implementare la crescita personale o professionale in funzione dei propri obiettivi;
- acquisire competenze e comportamenti che incrementano empatia, efficacia ed efficienza.
Si tratta di un processo interattivo short term: un programma
dinamico focalizzato, più che sulle cause, sulla soluzione. Infatti, non rimane
nel vago, ma punta subito al risultato mediante un programma strategico,
concreto e misurabile, costruito insieme al cliente (ma il coach ci mette le
sue competenze e la sua esperienza).
Un approccio generativo più che riparativo, in quanto volto al
conseguimento del risultato e al raggiungimento dell’obiettivo. Quindi, più che
al passato (e ai suoi traumi), il coach è rivolto al futuro, cioè al
raggiungimento dell’obiettivo concordato con il cliente: il coach è, infatti,
uno specialista dei risultati.
«Non credere a nulla che tu non possa verificare in prima persona»,
raccomandava Gurdjieff. Il motto è stato fatto proprio dalla Programmazione
Neuro-Linguistica (PNL), eccellente modello educativo di auto-aiuto
(self-help), che, nell’ambito del coaching, può essere validamente applicato
alla vita quotidiana, con le sue tecniche di miglioramento personale e,
soprattutto, grazie all’atmosfera e all’approccio mentale (l’atteggiamento) che
crea.
Ma quello che più della PNL interessa sono i suoi risvolti pratici:
semplici tecniche di miglioramento personale che puoi applicare alla vita di
tutti i giorni e che, se fatte in modo etico e responsabile, e salendo e
scendendo i gradini della scala di Dilts, ti aiuteranno a risolvere i
tuoi problemi, grandi e piccoli e a realizzare i tuoi obiettivi.
Tuttavia, e ritorniamo al ragionamento iniziale, se sali solo i primi
gradini della scala (i livelli logici più bassi) – ambiente, comportamento e
capacità – potrai diventare “un grande tecnico della comunicazione e della
motivazione” (il complimento che Monti faceva al primo Renzi), ma c’è
sempre il rischio di diventare inadeguato “politicamente” (in senso lato
– l’accusa di Monti all’ultimo Renzi).
Potrai evitare questo scivolone solo se sali gli ultimi gradini: valori,
identità e spiritualità (la tua vision e mission).
Ed ecco il perché del coaching olistico e transpersonale, che è un
allenamento dell’anima per migliorare le prestazioni del corpo intero – corpo
olisticamente inteso: corpo, anima, spirito. Senza questo tipo di coaching (e
di self-coaching) rischi di girare a vuoto.
«Oggi tendiamo a dimenticare che l’anima, non solo è dentro di noi, ma
anche fuori di noi (…) Se vivessimo in un’altra cultura, diremmo: qualcuno mi
sta inviando un messaggio.» (James
Hillman)
Nondimeno, noi siamo partecipi di un vasto campo energetico invisibile che
contiene tutte le possibili realtà e riflette i tuoi pensieri e le tue
emozioni. Dai quindi maggior spazio all’emisfero cerebrale destro, al pensiero
laterale, alla tua mente intuitiva. «La mente intuitiva è un dono sacro
e la mente razionale è un fedele servo: noi abbiamo creato una società che
onora il servo e ha dimenticato il dono.» (Albert Einstein)
Uno shock addizionale
Ognuno di noi ha bisogno, di tanto in tanto, di uno scossone, di uno
shock. E non sto parlando dello shock che ti traumatizza o dei tanti
piccoli shock quotidiani che, seppure sciocchi, goccia dopo goccia ti procurano
distress, lo stress cattivo, che ti logora la vita, ti avvelena l’anima e ti
può condurre sull’orlo del baratro.
Sto parlando, invece, dello shock positivo, quello che ti carica di
eustress (stress buono), come il flusso di sensazioni dopo il primo bacio o la
discesa a rotta di collo su una pista di sci (se sei uno sciatore provetto).
Ma ancor di più mi riferisco ai cosiddetti shock addizionali (come li
chiamava Gurdjieff, il maestro armeno). Ossia, a quegli scossoni che bisogna
dare, o darsi, quando si nota un calo di tono o si sta deviando dalla direzione
che porta all’obiettivo, col rischio di tornare a rotolarsi nelle vecchie abitudini
o incartarsi. E sono questi – gli shock addizionali – che voglio provocare coi
miei post.
Quindi, se mentre surfeggiavi sulle onde del web sei approdato su questo
post, e solo per questo hai cominciato a interessarti più nello specifico al
miglioramento personale, o semplicemente a qualcosa di culturale, questo è già
uno shock addizionale: hai comunque modificato la tua direzione quotidiana;
oppure, dopo qualche arresto o sbandata, ti sei rimesso sul sentiero. Vediamo
perché.
Secondo Gurdjieff (e la fisica moderna) tutto l’universo è costituito da
vibrazioni, anche la stessa materia. Queste vibrazioni seguono fasi ascendenti
e discendenti, mai in modo lineare, ma sempre attraverso un movimento a
gradini, in modo simile alla scala musicale dei sette toni (DO, RE, MI, FA,
SOL, LA, SI), in cui tra il MI ed il FA e il SI ed il DO non esistono semitoni,
ma solo dei vuoti, che determinano dei rallentamenti.
Questo vale anche per i comportamenti umani: quando ti proponi un obiettivo
(perdere peso, seguire un corso), oppure sei all’inizio di un percorso (un
nuovo incarico, t’iscrivi a un’associazione), la tua motivazione è alle stelle:
niente e nessuno può fermarti, spazzi via tutti gli ostacoli!
A un certo punto, però, ecco il rallentamento, l’impasse, il blocco, il
vuoto.
Proprio durante questi gap molti propositi vengono abbandonati, come molte
promesse di inizio anno. È un continuo drop-out. Tuttavia, quando
diventiamo consapevoli della natura non lineare del cambiamento, possiamo
calibrare il nostro impegno in base alla fase di cambiamento in cui ci
troviamo: quando gli obiettivi o le nuove abitudini che vuoi assumere
richiedono uno sforzo prolungato e hai la consapevolezza di trovarti in una
situazione di stallo, devi procurarti uno shock addizionale, ossia una
spinta aggiuntiva che ti consenta di ripartire lungo la linea retta che conduce
al traguardo.
Purtroppo, di solito non ci si rende conto di questi salti e vuoti;
tuttavia, per rientrare in carreggiata, occorre ritornare in sé (come nella
parabola del figliol prodigo – Gurdjieff parlava di “ricordo di sé”).
Per questo occorrono: consapevolezza (mindfulness),
trasformazione delle emozioni negative in emozioni positive, visualizzazione
plurisensoriale dell’obiettivo come se già raggiunto e, soprattutto, stop alla
procrastinazione.
E non dimenticare di tenere un diario personale, in cui registri
giornalmente pensieri, propositi, risultati raggiunti e ostacoli incontrati:
tutto questo ti aiuta a mantenere il focus sugli obiettivi e ti dà una spinta
propulsiva (il cosiddetto ego-drive). E
poi, come ricorda poi Rudolf Steiner,
Passa in rassegna le gioie e i dolori, le pene e le esperienze, tutte le
azioni come se fossero cose di un altro. Ognuno infatti guarda con chiarezza
nella vita degli altri, e trova la giusta medicina per i mali che non gli
appartengono.
Concludo con un ultimo shock addizionale, un set-up da farsi non appena
svegli: palming – respirazione
sole-luna – riequilibrio energetico (EFT) – switch
– respirazione di fuoco e, per finire, esercizio Stanlio e Ollio. Ma di
questo e altro (il set-up è solo un cliff-hanging)
parlerò nei prossimi post.
P. S. Anche questa è una cover di un mio articolo su IRBUK (sempre più silente: da quando me ne sono andato? Scherzo…).
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