METÀNOIA
TUTTO IL RESTO È NOIA…
Sentiva nella ghianda dell’anima che c’era something new in
the air. Qualcosa di nuovo stava per accadere: su di sé, intorno a sé,
dentro di sé, sentiva good vibrations. Sentì vibrare il nucleo, il
cuore, l’antro sotterraneo che si celava dentro: un desiderio violento lo
pervase, come magma pronto a eruttare che la crosta esterna comprimeva,
tratteneva, faceva muraglia tutt’intorno. Bramose voglie in cerca di un
significato, aneliti vulcanici, ma spesso degradati a basic instincts
senza profondità vitale.
Nondimeno, dal mondo del sogno – il
Tjukurrpa aborigeno in cui spesso si rifugiava, e da sempre (già nel
ventre materno – così gli sussurrava l’Io subliminale) – più di una volta era
riuscito a tirar fuori il ‘nucleo immaginale immanente’ (frase a effetto
esplosa da Lorenzo in una delle conferenze amatoriali del suo periodo rosa),
cioè la qualità ‘numinosa’ che lo sottendeva. In pratica, aveva dato corpo (nel
vero senso del termine) ai voli della sua immaginazione.
Quel bisogno di creatività, di fuga dal
mondo, di fantasie da realizzare, che può creare sia il gigante sia il mostro.
Ma Lorenzo non era riuscito a essere né l’uno né l’altro; se non a sprazzi o,
nel migliore dei casi, in maniera discontinua, frammentata. Arenato, frenato,
appesantito dall’io sociale che non lasciava correre il suo io reale. Eppure la
voce tiranna – Krishnamurti dixit – gridava...
E come strillava! Munch… Sussurri
e grida. Un urlo sul ponte.
Ginsberg… che urlo! “Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia,
affamate nude isteriche, trascinarsi per strade di negri all’alba in cerca di
droga rabbiosa…” Anche Lorenzo arrancava, ma senza strillare. Non più nero di rabbia. Solo
frenato. Senza remi, con molte remore. Ramingo.
Freni interni ed esterni. Per rompere i
quali, e catapultarsi nella vita, aveva cercato – pensando che fosse lì
il problema – d’integrare il puer con il senex (quest’ultimo, in
lui, pressoché assente), affinché si riconciliassero e passeggiassero insieme.
Ma il fanciullo aveva avuto sempre la meglio.
Aveva, infine (passo decisivo), compreso
che il suo malessere esistenziale derivava da un bisogno inespresso di
esplorare le contrade del mondo dello spirito, le città invisibili: un mal-essere che solo un
rivolgimento completo del suo essere, una metànoia, avrebbe potuto
dissolvere…
(Tratto dal mio romanzo “Gocce di pioggia a
Jericoacoara”)
Bene, sei a passo dalla metànoia: tutto il resto è noia…
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