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La filosofia mi tira, la teologia mi attira, la psicologia mi attrae, la spiritualità mi atterra… (mi atterrisce, ma di
terrore sacro). E la fede mi porta in alto.
Il Terribile è accaduto!
Il Terribile è accaduto!
Pistis Sophia – Fede e Sapienza: la Tradizione
che non tradisce…
Ho rivisto Million Dollar Baby e ho compreso una
volta ancora che la vita bisogna afferrarla, per poi lasciarla andare
sulle onde dello Spirito. Anche se tutto questo può portare, in taluni casi (il film ne è un esempio),
a una momentanea fine, forzata da una ferma volontà d’indomita rassegnazione:
un tranciare il filo dell’esistenza, dopo aver cavalcato la
tigre, affinché dall’existenz minimum si passi alla massima vita.
E se ciò – il forzare
il passaggio oltre il velo, squarciandolo – può non essere moralmente plausibile,
so pure che la Sua benignità dura in eterno…
La ragazza da un
milione di dollari (Hilary Swank/Maggie) mostrava una sua fede, sia
pure apparentemente aliena dallo Spirito; così pure i suoi coach (Clint Eastwood/Frankie e Morgan Freeman/Scrap
sullo schermo – digiuni, forse, di PNL nella ‘carne’, non di certo nello ‘spirito’).
Una ‘trinità’ che ben rappresenta ogni tri-unità ‘corpo-anima-spirito’,
nei suoi complessi intrecci e intersezioni (l’olismo che supera ogni
mera unità).
E poi, il quarto (con
e oltre Jung): lo ‘spettatore’, che ben comprende che la profondità della Realtà
è ben oltre la superficie (in sintonia, anche non avvertita, con l’essenza del
messaggio di Cristo, ri-soffiato continuamente, di età in età, di
luogo in luogo, dallo Spirito Santo – lo Spirito è Dynamis).
Come tale può sembrare
contro la nostra ‘morale’, per quanto buona e morale possa apparire… E se addentiamo
il ‘frutto proibito’ (la ‘mela’, il ‘pomo della discordia’) male ci
coglie; ma è una felix culpa: non ci sarebbe redenzione, libertà,
felicità, se non riuscissimo a liberarci dalle catene per correre verso le
vette. Ma Dio è Colui che ha creato anche la “mela” e Lui può usarla a
suo piacimento!
Qui mi fermo (lascio
che io mi riposi e altri vadano ‘oltre’); in mia vece, lascio che alcune Gocce
di pioggia a Jericoacoara (il mio romanzo) vi bagnino. Purché non vi
raffreddiate...
“E come dicono
piacesse a una fanciulla svelta il pomo dorato che le tolse l’impaccio della
sua ritrosia, mi piace.” Di morso in morso, sempre più vicino al torsolo…
Lorenzo, dimentico della Genesi (e memore di Catullo), clonò il suo sorriso:
solo allora si rese conto – forzando un po’ i tempi – che due incontri casuali
in così breve tempo facevano bingo (più che ambo) nel campo delle leggi
statistiche (che lui ben conosceva, da un esame marginale del suo piano di
studi) e che si accingeva a rientrare, per l’ennesima volta, nell’accidentato
territorio di Jung e delle sue sincronicità. La situazione non era però
impilabile in quella della piscina: l’intreccio di libro e gambe configurava
uno scenario ben diverso.
«Conosci Laing? Mi
riferisco a erredì Laing (Lorenzo calcò intenzionalmente sulle iniziali R. D.
per giocarci un po’), il guru della pazzia...»
Scagliata la prima
pietra, il tempo di un respiro, fatta una breccia nella muraglia, cominciò ad
avvolgere (come non era solito fare) l’inerme fanciulla nelle sue spire.
«Sì, il guru: beh,
sai, la posizione del loto stimola!»
Lorenzo non riuscì a
trattenere la banalità intellettualoide, arrotando pure la erre, ma la ragazza
valeva ben una messa (...in moto, di ogni sua risorsa).
«Touché!» lei di
rimando.
Ormai il contatto era on
– l’anglicismo è qui d’obbligo in onore di Ronald – e la luce si accese
su (e in) entrambi. Non particolarmente vivida, ma più che sufficiente a
illuminare per una decina di minuti il percorso tra lo psicanalitico e lo
spirituale che si era inaspettatamente avviato, complice Ronald David Laing, il
guru scozzese dell’antipsichiatria, il mentore di Lorenzo.
«Di Laing, e parlo del
’68 – che qui da noi era poi il ’69, l’anno del mio debutto in una bollente
Firenze (e dintorni, Pisa soprattutto) –, mi aveva colpito il suo approccio
esistenzialista. Mi sembrava quasi un Sartre più nauseato del solito, ma ciò
che più mi attraeva era il suo cotè metafisico, spirituale, al di là del
velo.»
Il fiotto delle parole
fu quasi orgasmico. Lorenzo poteva, finalmente, permettersi di parlare alto.
Era da un bel po’ di
tempo che non usava il sermo compositus per titillare e avvincere, se
non convincere, gli interlocutori (le ultime frequentazioni di chiesa, gente
spesso alla buona, e quel che rimaneva dei suoi cerchi di amicizie avevano abbassato
il suo ‘tono’). Lui amava la varietas e la mutatio. E
riusciva a passare, in un battito d’ali, dal sublime al terra terra. Ma quel
che più detestava era l’analfabetismo culturale, il balbettio o la logorrea
senza ratio né pneuma. E i palloni gonfiati. Ma soprattutto, i
talenti sotterrati. Non riusciva proprio a comprendere come si potesse vivere
senza cultural literacy. Lui valutava le case, e le persone, dalle loro
librerie…
«Certo, Laing. Se non
fosse stato per lui, anch’io sarei rimasta al muto cicaleccio quotidiano.
Oppure, all’happy hour, al brunch, al grunge... Niente di
male, per carità. C’è il tempo per i voli pindarici e quello per le scivolate e
le bischerate (qui Gaia toccò le corde del Lorenzo alla fiorentina, già a mezza
cottura…). Ma io, allora, e parlo di solo un paio di anni fa, volevo, non solo conoscere,
ma sapere. Penetrare nelle cose. Coglierne l’essenza. Pistis e
Sophia, fede e sapienza. Ed ecco che, in un incidente di percorso, andai
a sbattere contro Ronald. Se sei pronto, il maestro non si farà attendere… E
lui mi venne incontro. Come ti ho detto, più che un incontro, fu uno scontro.
Uno sgambetto, un colpo a tradimento. Un deragliamento dal binario delle mie
robotiche certezze. Prima robuste, poi indebolite. Se non fossi inciampata in
Ronald, avrei continuato a bighellonare tra vetrine e display. Oppure sarei
rimasta in sosta, al palo o da velina (il massimo immaginabile, ma c’è pure il
minimo…), in quel grande parco-macchine che è il mondo. Magari girando e
girando in cerca di un posto… Una gogo girl tra tanti gogo boys. Ma lui
era dietro l’angolo e mi colpì alla testa.»
Gaia finse di
massaggiarsi la tempia destra (il ‘cervello destro’?) e continuò la corsa,
premendo l’acceleratore.
«Un libro. Sì, è stato
proprio un libretto a cambiarmi la vita. A introdurmi in nuovi territori,
inesplorati. Con strani abitanti. A farmi navigare su mari lontani, e pericolosi.
Una cosa tra le cose, un volume affondato nell’oceanica biblioteca di Babele di
questo caotico cosmo quotidiano. L’ossimoro che si fa emozione, la bellezza che
dà ossigeno all’anoressica realtà, una flebo di vita ‘autentica’ per
disintossicarsi dalla tisica quotidianità. Un libro trans contro
l’anossia dell’esistenza. Spruzzi e sprazzi di vernice spray sul muro bianco
della mia vita (anche se ho letto da qualche parte che “L’uomo è un foglio
bianco, su cui l’ambiente e la società incidono delle linee precise…”).
‘La politica dell’esperienza’, il libro che tu ben conosci, trovato per
caso (ma il ‘caso’ è il ‘cacio sui maccheroni’ della quotidianità) su una
bancarella di libri usati, fu proprio una mazzata. Una scossa, in particolare
la sua chiusa: “Se solo potessi convertirvi, condurvi fuori dalle vostre
meschine menti, se potessi comunicare con voi, allora sapreste.” E io seppi,
ma non mi fermai lì, andai oltre…»
Solo un attimo di
sospensione, e poi la stoccata finale.
«A proposito, se
incontri il maestro, abbraccialo, bacialo e poi… uccidilo.»
(...)
Un lampo, un
flash-back nello spin del tempo: fu proprio alla svolta dell’ultima pagina del
fatidico 1991 che – complice un ‘supporto’ umano (e un altro paio a far da
‘volano’) – Lorenzo si ‘risvegliò’, rientrando in sé come il figliol
prodigo (pur non avendo vissuto, salvo qualche intemperanza – so’ ragazzi… –,
alla maniera dissoluta di questi). Ma, passato il momento di lucidità, non
sempre era riuscito a sfuggire al cappio dell’immancabile (sia pur sempre meno
frequente) ricaduta, ripetutamente risucchiato dall’esistenza ordinaria.
Come un sonnambulo o,
peggio, un robot, aspirato dai suoi pensieri, dai suoi ricordi, dai suoi
desideri, dalle sue sensazioni, dalla bistecca che mangiava, dalla sigaretta
che fumava, dall’amore che faceva, dal bel tempo, dalla pioggia, dall’albero
vicino, dalla vettura che passava... Pur non rientrando appieno nella
tipologia (comune, diciamo pure maggioritaria) dell’uomo sonnambulico, o
eterodiretto, non sarebbe di certo sfuggito all’occhio levantino di monsieur
Gurdjieff (anche se Lorenzo non fumava).
Fasi up e fasi down.
Up nella sua volontà, down nelle viscere del suo subconscio. Qualche
volta il ribaltone. Guai se il down esteriore fosse stato, abitualmente,
in fase col down interiore… Che risonanza! Anzi, che dissonanza.
Stonata: depressione, vuoto, oppressione, letargo. Ma ora i due up si
erano riallineati e Lorenzo, sospinto fuori dalla caverna delle ombre vaganti,
si era ri-risvegliato (se così si poteva dire) quel che bastava per continuare
quel cammino sul ponte, così pieno d’intralci e intoppi (e scivoloni),
che pure – così almeno gli era stato profetizzato anni prima – lo avrebbe
portato verso una meta luminosa.
Un faro al termine
della notte: da tempo premonizioni, intuizioni e segni vari
(bagliori) gli avevano fatto intravedere squarci di un mondo ‘autre’, di
un’altra dimensione della realtà. E una chiamata a una vita diversa...
“Viaggiare è proprio
utile, fa lavorare l’immaginazione ... Il viaggio che ci è dato è interamente
immaginario ... Basta chiudere gli occhi. È dall’altra parte della
vita.” Il viaggio alla Céline (anche se Lorenzo oscillava più tra Céline
Dion e Dion Fortune, tra la cantante e l’esoterista) lo stava portando dal fondo
della notte verso un’alba dorata. Lui che, come Salgari, suo
compagno di fanciullezza, viaggiava soprattutto a cavallo della fantasia. Anche
in questo cavalcava la tigre.
L’immaginazione al
potere. E Lorenzo, immaginifico com’era, sarebbe certamente diventato re… Circostanze
e coincidenze gli avevano dato delle indicazioni ben precise e lo stavano
accompagnando, mano nella mano, talvolta con strattoni, verso la corona – Keter
–, la ‘sfera’ più in alto sull’’albero della vita’. Oppure, anche senza
scettro, nella giusta direzione. Giusta ma non ancora a portata di mano, o di
vista (se non del terzo occhio: l’oculus fidei).
Se fino ad allora
tutto era andato a rilento, ora ebbe, dentro di sé, la sensazione certa che
tutto avrebbe cospirato a farlo andare, e quanto prima, verso la meta.
Non solo quella eterna: già un primo traguardo – e che traguardo! (ma lui non
lo sapeva ancora) – in questa vita. Saltando, zompando, cabalisticamente, dal
tempo circolare – l’eterno ritorno – dei primordi al tempo cubico –
lineare – del futuro: scagliato come un dardo verso il traguardo.
Morte, dov’è il tuo
pungiglione? Dalla vita ‘muta’ alla vida loca. Dal Mito alla Storia… Ma sarebbe
stato pur sempre un futuro ‘mitico’. Luminoso, gioioso, focoso. Vitale,
vitalistico, pieno di slancio. Olistico. Senza più affanno e viso
abbattuto. Non più come Caino. Al contrario, sarebbe corso verso la meta
ridendo, danzando, con una mano verso il cielo e l’altra puntata verso la
terra.
Dionisiaco e
apollineo. Filosofo e poeta, avrebbe inghiottito il tempo in una folle risata. Non più
l’Adamo scacciato dal giardino (si era forse scocciato?), Lorenzo, ma lo
Zarathustra disceso dal monte (e come rimase scioccato!). Per lui, che nicciano
era fino al midollo, diciamo pure fino all’ossimoro (e non nicchiava
più), era giunto il momento (divino, malgré Nietzsche) di trangugiare
tutto d’un fiato il ben poco sciropposo Gilles Deleuze e la sua salata
citazione internettiana, scippata a un sito di ‘cultura non conforme’: “Coloro
che leggono Nietzsche senza ridere, e senza ridere molto, senza ridere spesso,
colti talvolta da un fou rire, è come se non leggessero Nietzsche.”
E Lorenzo aveva deciso
di ridere.
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