LA CITTÀ RESILIENTE
In un recente passato, ahimè ancora presente, il
ruolo cruciale nella crescita economica-sociale delle città, spesso in antitesi alla loro vocazione
originaria, lo hanno avuto le industrie siderurgiche, caratterizzate dall’uso
massiccio di combustibili ad alto impatto ambientale. Di pari passo, le
pubbliche amministrazioni si sono focalizzate eccessivamente su logiche di
efficienza di breve periodo, compromettendo
la sostenibilità futura.
Oggi, rivedendo e correggendo il target e le performance, e quindi le politiche e i piani d’intervento – grazie
a un’azione
collettiva, partecipata e condivisa (Greta docet), nelle sue varie fasi
(conoscitiva, programmatica e progettuale) – si torna a parlare di
Urbanistica, non solo in termini di conoscenza e consapevolezza dei luoghi, ma
anche di correlazione tra i vari stakeholder interessati al “fare città”: d’altronde,
molti studi di settore confermano che le
politiche e i piani di rigenerazione non partecipati rischiano di mancare i
loro obiettivi.
Per
questi motivi, la progettazione
partecipata è tornata a essere nuovamente in auge, dopo un lungo periodo di
stasi (più stand-by passivo che epochè riflessiva): le esperienze americane e
nord-europee di community-based planning e di advocacy planning, ossia di forme di urbanistica
con finalità sociali, adattate al nostro contesto, non solo hanno prodotto,
e producono, buone pratiche nell’ambito
della governance, ma favoriscono
nuove e interessanti occasioni di lavoro per professionisti e imprenditori.
L’approccio teorico-operativo deve essere,
quindi, del tipo misto (top-down e bottom-up), nel quale
al centro è la comunità, con i suoi bisogni e sogni. Punti qualificanti: la
ricerca di coesione sociale, politiche a sostegno dei gruppi e delle aree più
deboli ed emarginate e riconoscimento del valore della qualità architettonica e urbana – non solo dei “pieni” e delle
“emergenze”, ma anche dei “vuoti” (gli spazi pubblici e le aree verdi come
elementi vitali e qualificanti della città).
Si giunge, pertanto, al concetto (e realtà) di resilient city (“città resiliente”), cioè di un sistema urbano che si modifica grazie a risposte sociali,
economiche e ambientali nuove, che le permettono di resistere, nel lungo
periodo, alle sollecitazioni dell’ambiente e della storia. La resilient city non si adegua semplicemente,
ma cambia: sua connotazione è la capacità di mitigare e superare le
problematiche, conservando la sua struttura e la funzionalità di base; ma anche
di cambiare, pur mantenendo la sua identità.
Essendo la
resilienza la capacità di un sistema socio-ecologico di cambiare continuamente
e di adattarsi alle situazioni contingenti, rimanendo tuttavia entro le soglie
critiche, essa è, quindi, oggi, una componente necessaria per lo sviluppo sostenibile, in quanto opera anche sui modelli organizzativi e
gestionali dei sistemi
urbani: una città sostenibile è,
quindi, una città resiliente.
In base a queste
premesse, gli interventi ecocompatibili, nell’ambito di un’economia circolare,
volti alla riqualificazione sostenibile, dovranno confrontarsi con le seguenti
questioni:
· Inquinamento: cercando di ridurre al minimo emissioni nocive, polveri
e rifiuti.
· Consumo di risorse naturali: riducendo i consumi di
elettricità e riscaldamento.
· Salute: riguardo alle costruzioni, utilizzando materiali
ecologici e non tossici.
·
Biodiversità: salvaguardando e proteggendo la flora e la fauna esistenti (ed
eventualmente, introducendone ulteriori elementi).
· Verde pubblico: inserimento di zone verdi – come parchi,
riserve e giardini – da collegarsi, attraverso “vie verdi”, alla città (progettando
un’infrastruttura verde che colleghi gli elementi naturali, già esistenti o da
creare; promuovendo la realizzazione di giardini pubblici, viali alberati,
piccoli spazi verdi nelle corti interne ai palazzi). In aggiunta, interventi su piccola scala, come il “verde verticale”, i tetti verdi (un green roof può rimuovere
la materia particolata e gli inquinanti gassosi, come ossidi di azoto, biossido
di zolfo, monossido di carbonio e ozono), le cisterne di raccolta delle acque e i raingardens. In particolare, questi
“giardini della pioggia” – delle
leggere depressioni del suolo ricoperte a verde, simili a delle aiuole –
servono a controllare le quantità
d’acqua piovana provenienti dai tetti degli edifici, dalle sedi stradali
e dalle grandi aree pavimentate, permettendo il filtraggio e la depurazione naturale dell’acqua raccolta e il
rallentamento nell’afflusso alle falde acquifere e ai corsi d’acqua.
· Strutture info-educative: create appositamente per l’educazione e l’intrattenimento
dei cittadini, come incubatori, biblioteche, campus, centri ricerca, di
intrattenimento ecc.
· Mobilità: sistema della mobilità che prevede la separazione del traffico veicolare da quello pedonale, oltre a un sistema di trasporto pubblico efficiente collegato alla rete di autobus e treni locali. Tappetini
stradali e pavimentazioni che consentano il drenaggio dell’acqua piovana
e il suo recupero con un sistema che funzioni per infiltrazione attraverso la vegetazione
e il suolo, tramite tubi, fossati, bacini di detenzione – disposti come fossero
bacini naturali – e serbatoi che favoriscano il riutilizzo dell’acqua piovana
per la coltivazione e il giardinaggio.
· Water squares: in apparenza dei semplici spazi pubblici
multifunzionali (posizionati in luoghi strategici), i quali, però, nel caso di
forti piogge, si trasformano, parzialmente, in bacini di raccolta e stoccaggio delle acque
piovane, così da alleggerire la pressione sull’impianto
fognario, con la possibilità di riutilizzo delle stesse nei momenti di maggiore
siccità e stress idrico. Le water squares
si presentano, quindi, come delle aree per il gioco e il relax: nella maggior parte
del tempo asciutte e utilizzabili come qualsiasi altro spazio pubblico, e solo saltuariamente
– in base all’intensità piovana –ò più o meno allagate (durante le piogge di
lieve e media intensità l’acqua sarà semplicemente filtrata e immagazzinata in
bacini di stoccaggio nascosti, così da poter essere riutilizzata in futuro; in
caso di forti precipitazioni, la piazza, allagandosi, diventerà un vero e
proprio piccolo laghetto artificiale).
· Produzione energia: l’obiettivo di produrre energia elettrica in
maniera pulita, utilizzando una risorsa praticamente illimitata ed a costo
quasi nullo: il passaggio di autoveicoli. L’idea di fondo è infatti quella di
utilizzare l’energia cinetica prodotta dal passaggio di autoveicoli per
produrre energia elettrica, sfruttando appositi sistemi di conversioni posti
sull’asfalto a tale scopo. Tale idea è già divenuta realtà Tali sistemi di
conversione consentono quindi di trasformare l’energia cinetica che si genera
in un’equivalente elettrico, potendo di fatto sia immagazzinare tale energia sia
utilizzarla nell’immediato. È sistema che potrebbe ridurre sensibilmente, se
non annullare, le spese per l’illuminazione pubblica, abbassando inoltre i
costi per la gestione di ulteriori servizi che necessitano di energia
elettrica, potendo produrla praticamente a costo zero.
N.B. Tratto da un documento trasmesso dalla sez. INBAR di Taranto (elaborato, riguardo alla parte qui pubblicata, dal sottoscritto).
Nessun commento:
Posta un commento