domenica 25 ottobre 2020

BEAUTY FORM

 

BEAUTY FORM

 

Gaia nuotava come una sirena. Il due pezzi – viola con bordura verde under, il top verde integrale – era quello dello scoop domenicale. Lorenzo non era da meno (anche riguardo al monokini, rigorosamente blu elettrico), da buon tritone o delfino memore delle sue origini ioniche, ma mai applicate così alla lettera come in quest’occasione. Anzi, se nella piscina le sue evoluzioni erano state piuttosto sottotono (più che altro, mono-tono), nelle frizzanti acque della baia si aprirono a ventaglio. Toniche, in un pavoneggiamento spontaneo, schietto, geneticamente non modificato.

    «Dai, raggiungiamo Portopiatto a nuoto.»

   In altri tempi questa sarebbe stata una provocazione che Lorenzo mai e poi mai avrebbe accolto. Specie da quando, a dieci anni, aveva rischiato di annegare. Lui, il ragazzino timido e solitario che si prefissava una meta – una boa, una barca, i pali delle cozze –, per poi raggiungerla in nuotata solitaria, sempre però con l’ausilio delle sue tanto amate pinne. Solo che quel settembre di una quarantina di anni prima (sì, proprio settembre...) qualcosa non era andato per il verso giusto. Anche perché aveva introdotto una variante: niente pinne, niente sotterfugi, ad armi pari.

    Un’andata da favola – a piedi nudi alla meta (era però solo a metà dell’opera) – ma, al ritorno, sullo sfondo, l’Aventino: la fatica si fece sotto. E lui, avventato, rischiò di andare a fondo. Le forze, avventizie, gli vennero meno a un centinaio di metri dalla riva, una bella distanza per la sua acerba età, ma Lorenzo, pur in preda al montante panico, non chiese aiuto, rischiando così di affogare – e di mandare all’aria (anzi sott’acqua) il progetto di vita riservatogli ab eterno. Virile dignità, terrore, assenza di paura? Viltà, forza di volontà? Difficile da dirsi. Uniche certezze: nessun’anima viva nei pressi, profondo il mare, le sue forze a fondo.

    Eppure, non sa come, riguadagnò la riva senza che i suoi e nessun altro (almeno nel mondo visibile…) si fossero resi conto della sua ‘distretta’. Il piccolo Lorenzo non lasciò trasparire nulla, ma da allora il giocattolo si era irrimediabilmente rotto. Solo da qualche anno aveva ripreso, prima timidamente poi con una certa naturalezza, ad avventurarsi un po’ oltre, ma solo un po’, mai al largo. Malgré tout, il mare aperto era sempre lì pronto ad accoglierlo. E lui, dopo l’incontro con Gaia, non avrebbe mai più risposto con uno sdegnoso rifiuto...

  

    Superata la fila di boe, Lorenzo raggiunse Gaia e iniziò a ‘giocare’ con lei, come un delfino con la sua istruttrice, squittii compresi. Sempre più sicuro di sé, ormai mascalzone latino, dal clownesco virò sull’affettuoso e, presa sempre più confidenza con gli alti fondali (la complicità con Gaia era matter of fact), si lasciò andare, senza opporre resistenza, a tutto quello che la situazione intrigante del momento suggeriva.

    Passò più volte sotto il flessuoso corpo flottante, sbucando strafottente, ora alla sua destra, ora alla sua sinistra, sgusciando sott’acqua tra le sue gambe, non senza prima aver mimato un plateale risucchio negli abissi (quattro-cinque metri, volendo abbondare), emergendo poi a squalo alle sue spalle. Abbracciandola, vellicandola, fingendo di affogarla. Baciandola senza ritegno... (ma sentiva che in quel momento – una prosecuzione, e consecutio, del tempo propizio – tutto era degno, e lecito: omnia munda mundis…).

   Ho chiuso con questa vita. Non ho cercato il cielo. Non temo l’inferno. Deporrò queste ossa al di là del triplice mondo. Non asservito, imperturbato…” Prima la poesia zen di Fuyo-Doka, poi Rabia, la mistica sufi: “Oh, mio Dio, se Ti adoro per il timore dell’Inferno, bruciami nell’Inferno; e se ti adoro per la speranza del Paradiso, escludimi dal Paradiso; però, se Ti adoro unicamente per Te stesso, non mi privare della Tua bellezza eterna.”  Le vibrazioni celesti e i sussulti ctoni, pur nella loro dissonanza, si accordavano (ossimoro: tutto si fa per te…) con quelli terrestri (e marini), provocando un riverbero, una risonanza – come da sitar indiano –, sulla pelle di Lorenzo, bagnata d’acqua e di passione.

    I got you under my skin, I love you under my skin. Lei lo faceva fare, anzi, gli ricambiava il favore con immersioni ed emersioni ancor più audaci (compresi baci e apertura simultanea di tutti i sensi, grossolani e sottili). Due ragazzini appena sbocciati all’amore: lui, l’eterno giovane, abbronzato, tonificato, effervescente; lei, la jeune fille en fleur alla David Hamilton (ben prima di Helmut Newton). Questa l’impressione flash/flesh di Lorenzo e Gaia sul manipolo che, spezzando l’incantesimo, irruppe all’improvviso ex nihilo a cavalcioni di un motoscafo che, col suo blu elettrico (a far da pendant al costume del nostro man at work), incrinò lo specchio verde assoluto della baia. Materializzatosi d’incanto per intromettersi tra i due al solo scopo di rimetterli sulla rotta giusta per Portopiatto.

    Tre a bordo, due ragazzi e una ragazza, da copertina, circostanza che a Lorenzo, esteta per natura e scelta di vita, non poteva certo sfuggire, data la loro azzardosa contiguità. Ancor più da presso, al punto da sfiorare Gaia, una giovane, ancor più bella (degli altri due), anche lei sui vent’anni – alta, i capelli lunghi, il castano che scivolava sul biondo –, virò bruscamente sugli sci d’acqua per non arrotare il due di cuori.

    L’amazzone, per nulla turbata, invece di inveire, o quantomeno chiedere scusa per la mancata precedenza, sorrise radiosamente e, dopo aver staccato la mano destra dal cavo di traino, salutò allegramente. Poi, dopo un attimo di souplesse, sì allontanò al seguito del motoscafo in direzione dell’hotel ‘Il Faro’, ma non prima di essersi congedata – come il genius loci imponeva – appoggiando due dita sulle labbra e staccandole a mo’ di bacio volante. Anche i tre a bordo salutarono – kiss kiss – riprendendo a gorgheggiare a voce alta “a new day has come...”

 

  «Ti piace Céline Dion, o la trovi stucchevole?» gli spruzzò in viso Gaia, senza scomporsi, né accennare minimamente allo scampato pericolo.

   Lorenzo annuì frettolosamente, lasciando nel vago l’esatto senso di quel suo sì quasi deglutito: la sua attenzione era stata improvvisata attratta da un oggetto non meglio identificato, entrato in rotta di collisione col suo braccio destro nel bel mezzo delle concitate fasi delle evoluzioni del motoscafo e dei suoi ospiti a bordo (e qui un flash-back della sciatrice: per un attimo Lorenzo vide sovrapporsi su di lei l’immagine di Arianna ventenne – quasi due gocce d’acqua, e di memoria; e poi anche lei amava lo sci nautico).

    «Lorenzo, sento che in questo momento Céline Dion sta per passare il testimone a Dion Fortune, meglio ancora, a Dio e alla Fortuna. Lo sai che lo Spirito Santo è la ‘fortuna’ di Dio?»

  Ancora una volta Gaia aveva, misteriosamente (e cripticamente), colto nel segno…

   Colpito, Lorenzo distolse per un attimo lo sguardo dall’oggetto galleggiante, percorso da nuovi intensi brividi, non tanto di piacere fisico quanto spirituale; attraversato in ogni sua fibra da una misteriosa sensazione, eccitante, effervescente, fibrillante: quella di catarsi addosso (anche questo un gioco di parole del filone precedente, quello dei piccoli sassi). Era fatto: fiumi di dopamina gli scorrevano dentro, l’ossitocina era alle stelle, bombato gli pareva di rivivere i viaggi del sessantotto... Non solo un nuovo giorno era venuto, ma ogni momento, da allora, prometteva di essere una scoperta, nuova, continua, una matrioska fino alla sorpresa finale (con botto).

   Sorpresa: l’ufo acquatico si rivelò una banale bottiglia. Il botto (il primo di una lunga serie): la bottiglia era speciale, da love-boat o love-movie (sempre con Arianna, l’estate prima aveva visto un film con un incontro del terzo tipo like that, ma sul bagnasciuga). Insomma, a message in the bottle alla Police (Lorenzo, quanto a canzoni, non si faceva certo mancare nulla).

   Era la seconda volta che gli capitava. Qualche anno prima – questa volta sulla costiera ionica di casa –, una sua pigra nuotata, bordeggiando la scogliera con Arianna, l’allora piccola Marzia, Davide ormai garzoncello e alcune loro cuginette, era stata allertata dal rinvenimento in acqua, quella volta senza scontro e botto, di una bottiglia incrostata dal tempo (un annetto), con dentro una lettera. Il messaggio, manoscritto, in inglese: due ragazze svizzere in vacanza – di una ricordava il nome, Helga – promettevano delizie d’amore al fortunato Indiana Jones e al suo compagno d’avventura. Indirizzo e cellulare non furono però sufficienti a indurlo al grande salto (il volo per Ginevra): per Lorenzo-Lancillotto la ricerca dell’arca perduta (per non parlare del Santo Graal) non era ancora terminata.

 

(Cap. 11 del mio romanzo Gocce di pioggia a Jericoacoara – N.B. il titolo Beauty form non è quello del capitolo, ma solo del post)

 

 

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