giovedì 20 novembre 2008

L'occhio indiscreto

IL PORTO DELLE NEBBIE








Un sito e un blog sono dei porti sicuri nell'oceano-web: consentono l'attracco al navigante (anche al naufrago) e permettono, una volta approdati, di esplorare nuovi territori e fare anche degli 'acquisti'.
Nel caso specifico, anche nuove opportunità di lavoro. Il banner allegato non è per caso: è un esempio di come, se si hanno dei 'talenti' (anche il più piccolo: si veda nella parabola dei talenti, nei Vangeli - l'importante è non sotterrarlo...), è possibile farli fruttare: è difficilissimo far conoscere il proprio pensiero, farsi pubblicare un libro, manifestare le proprie 'abilità': ma la 'rete', quando non irretisce, riesce anche a far produrre, fosse pure a 'rate'. Naturalmente, non tutto è denaro, anzi dobbiamo dare più spazio all'anima in questa società dis-animata (a cominciare dalle famiglie, prese anche giustamente, da problemi innanzitutto 'basici': d'altronde, se non si soddisfano prima le esigenze 'primarie' difficilmente ci si potrà dedicare ad altro...), nondimeno se si riesce a unire le esigenze della propria anima e del proprio spirito (sono 'istanze' differenti, anche se i più le confondono) con quelle 'materiali' la propria autostima - meglio, il senso della propria 'autoefficacia' - crescerà e tutto il sistema 'triadico' personale (corpo, anima, spirito) e 'interpersonale' (comportamento individuale, inferenze personali bio-psicologiche e influenze socio-ambientali) ne risentirà positivamente. Lo shalom (o la salus) è un 'fatto' olistico: è pace interiore, ben-essere, prosperità, felicità...


L’OCCHIO INDISCRETO

“Uno dei caratteri salienti delle società moderne è la strutturazione di nuove forme di potere e di controllo sociale fondate su base razionale… Al di là della razionalità o irrazionalità di tutti i ‘poteri’ che ci attanagliano (e della loro ‘autorità’ – exousia – dovuta ad ‘autorevolezza’ o a semplice forza – dynamis), fatto è che essi sempre più sostituiscono quello che era il ‘classico’ potere di controllo: la religione (che, in ogni caso, sopravvive, anche quando, apparentemente, dovrebbe ‘rendere liberi’). Ma di religione e, meglio (alla Karl Barth), di fede parleremo in seguito; qui torniamo al ‘controllo sociale’ d’impronta ‘laica’: un autore che su di esso si è soffermato con ‘occhio attento’ è certamente Michel Foucault, il geniale ‘profeta’ prefiguratore di fenomeni a noi contemporanei, se non riguardanti addirittura il futuro prossimo venturo.

L’opera in questione è “Sorvegliare e punire”, nella quale Foucalt studia il ‘Panopticon’, struttura carceraria della seconda metà del XVIII secolo, ideata, dal punto di vista architettonico, dall’inglese Jeremy Bentham (che era, peraltro, filosofo, giurista ed economista). Il Panopticon era di struttura circolare, ad anello, con l’alta torre di sorveglianza nell’atrio centrale. Ma la sua vera particolarità erano le celle: prive di sbarre e catene, si affacciavano proprio verso l’interno dell’atrio, convergenti, anche otticamente, verso la torre centrale, dove risiedeva il guardiano. Non dobbiamo però pensare a celle buie, anguste, con i carcerati rinchiusi e incatenati, bensì a ‘moduli’ totalmente illuminati, privi di qualsiasi elemento di costrizione come sbarre o catene (non dimentichiamoci delle simpatie illuministe del Bentham).

A questo punto può sorgere naturale la domanda, se questo sistema carcerario fosse sicuro ed efficace. La risposta è affermativa: il carcerato, in realtà, non ha catene fisiche, bensì psicologiche: essendo totalmente visibile dal guardiano della torre centrale – e per di contro non potendolo vedere – è tenuto lui stesso, in maniera autonoma, ad autodisciplinarsi, nella consapevolezza che, se fa qualcosa di illecito, potrebbe essere visto dal guardiano, in qualsiasi momento. Il sistema ‘panoptico’ (panottico: pan – tutto; optikòs – visivo) viene utilizzato, non solo per i malviventi, ma anche per affetti da turbe psichiche, malati in gravi condizioni fisiche e, addirittura, gli scolari indisciplinati (il maestro unico?). Il Panopticon ha grande effetto nell’ambito dei rapporti sociali: Foucault, nella sua opera, mette in risalto i contrasti tra i provvedimenti utilizzati in Europa nel XVII secolo durante l’imperversare della peste – assolutamente rigidi ed autoritari, discriminanti verso gli appestati e i lebbrosi (un revival della più bieca ottica medioevale) – e il panoptismo, fenomeno decisamente nuovo, per la prima volta in Inghilterra nella seconda metà del XVIII secolo. E il potere dell’effetto panoptico era talmente efficace da definire queste nuove carceri non più ‘case di sicurezza’ ma ‘case di certezza’.

La società definita ‘moderna’ ha intrinseca l’idea di una forte razionalità. Si comincia a percepire in modo ben più consapevole come l’uomo sia sì l’artefice del proprio destino ma in realtà anche assoggettato a schemi mentali che lo rendono (inconsapevolmente) partecipe di un autocondizionamento. L’età moderna è caratterizzata dal mercato e dall’idea di stato: l’uomo, e solo l’uomo, può giostrare in questi ambiti (pur guidato, talvolta, da fili invisibili: e pensare che crede di essere libero, solo perché ha reciso i fili che lo ‘legavano’ al cielo!). Anche il protagonista del Panopticon è l’uomo, solo con la sua psiche e la sua razionalità. L’abile regia fa sì che i sentimenti siano pressoché comuni a tutti gli ‘attori’ dell’opera panoptica: il timore di essere scoperti, la consapevolezza di essere sempre e in ogni circostanza sotto l’occhio del sorvegliante, la coscienza di far parte di un meccanismo apparentemente più ‘sciolto’ rispetto ai classici sistemi di controllo, ma che in realtà agisce sugli ‘ingranaggi’ più intimi della nostra persona…

Il guardiano può anche non esserci, questo non importa, quel che vale è – effetto Pavlov – che chi fa parte del Panopticon abbia comunque l’intimo timore di essere scoperto.

Proiettiamoci ora nella società definita ‘post-moderna’ o ‘contemporanea’ (quella della fine dei grandi racconti – Lyotard), segnata dall’indebolimento delle pretese della ragione, età di plurivocità e polimorfia, dell’emergere di una pluralità di modelli e paradigmi di razionalità non omogenei (non ultimo il New Age, ora ‘discioltosi’ anch’esso nella ‘società liquida’), vincolati solo dalla specificità dei loro rispettivi campi d’applicazione. Età di un pensiero senza fondamenti, ‘liquido’ (non per questo sempre negativo: galleggiando sull’acqua si possono toccare nuove sponde…), epoca dell’epoché (della sospensione del giudizio), della decostruzione (anche in architettura: paradigmatico il Guggenheim Museum di Frank O. Gerhy, a Bilbao), della critica alla ragione strumentale che revoca il senso della storia e ne riconosce il carattere enigmatico. Soprattutto, forse, l’età in cui scienza e tecnica appaiono rischiose... Quest’ultimo punto sarà d’importanza rilevante per il proseguo di questo trattato.

Arrivati a questo punto, tra modernità (unità, consenso, universalismo, ragione) e postmodernità (differenza e alterità, dissenso e pluralità), appare lecito chiedersi se ancora oggi, alle soglie del terzo millennio, ci possa essere ancora qualche forma di panoptismo nella nostra società. Gli uomini del terzo millennio possono considerarsi totalmente liberi da ogni tipo d’influenza proveniente da chissà quale ‘entità’? Liberi di agire, pensare, di essere gli unici protagonisti della propria vita? Soprattutto in seguito alla diffusione dei mass-media a livello mondiale (il villaggio globale – Mc Luhan ci sembra ormai così lontano…), dalla radio sino alla televisione, ed infine Internet, l’opinione pubblica mondiale si è scissa in due grandi tronconi, com’è anche ovvio che sia di fronte a fenomeni di tal portata. Alcuni studiosi – i cosiddetti ‘massmediologi’ – nonché molti sociologi e addetti ai lavori ritengono che lo sviluppo del fenomeno ‘televisione’ prima, e Internet poi, siano segno di grande progresso da parte dell’umanità, se non proprio un chiaro segnale della libertà prometeica ormai ottenuta dall’uomo del terzo millennio.

Gianni Vattimo la pensava così già una decina di anni fa ”Internet è una rete senza centro, ma ci dà un premio: la libertà” (Telèma 8, primavera 1997). Così pure Paolo Guzzanti: “Archivio, piazza, mercato ma anche una miniera di idee. Qualcuno si chiede se la libertà dell’uomo potrà sopravvivere in un mondo dominato dalle macchine. Gli si può rispondere che la vera libertà comincia adesso: è quella offerta dalla possibilità di utilizzare i vari strumenti per comunicare, sperimentare, produrre. Non avevamo mai avuto tante chanches” (Telèma 8, primavera 1997).

E così potrebbe sembrare agli occhi dei più che il fenomeno Internet (ma anche la televisione in seconda battuta) sia un dispensatore di libertà e opportunità sotto tutti i profili immaginabili, dal lavoro all’intrattenimento e alla ricerca. Se è riconosciuto che la televisione, più di ogni altro mass-media, condiziona costumi, e a volte usi, di coloro che sono al di qua del tubo catodico, forse è solo Internet a far temere un vero e proprio timore di plagio e di controllo totale. Internet – capro espiatorio? – vede riversare su di sé le paure (consce e inconsce) che la società contemporanea comincia a manifestare nei confronti della scienza e della tecnologia. E questo, pur vivendo immersi nel cybermondo, pur consapevoli che il futuro sarà esclusivamente tecnologico, pur consci di essere saliti su di un mezzo che non avrà mai un capolinea. ’Fermate il mondo, voglio scendere!’ Prima un vagito, ora un grido: il timore di un inganno subliminale comincia a svegliare le coscienze…

Franco Ferrarotti ammoniva (rimango sempre nel secolo scorso): ”Attenti ai signori dei media, reinventano la realtà e possono colonizzarci l’anima. Siamo di fronte a un mutamento epocale: il passaggio dai vecchi strumenti di comunicazione di massa ai nuovi media digitali e interattivi. Ormai la realtà non viene semplicemente imitata, viene rielaborata, ricreata virtualmente, arricchita di alternative possibili, superata. Il cyberspazio sarà il regno della cooperazione anarchica tra libere coscienze individuali? Forse sì, ma c’è un pericolo: la colonizzazione dell’anima”. (Telèma 7, inverno ‘96/97).

“I buoi sono usciti dalla stalla. La privacy ormai è volata dalla finestra di internet...” – così il prof. Paul Skokowski durante una conferenza in Colorado (su L’Espresso del 6.5.99). Ma un altro saggista amante del paradosso – David Brin – ha controribattutto: “vanno bene le telecamere nascoste (...), certamente gli abusi diminuirebbero” (ibid.). Non ci sarà da stupirsi se un nuovo premio annuale è nato negli USA - a cura di Privacy International – quello del Grande Fratello... (ormai qui sta invecchiando – e neanche l’isola dei famosi si sente tanto bene…)

E allora? Cos’è Internet? È un ‘medium’ che ci dà la piena libertà d’azione o, al contrario, è il famigerato Panopticon del terzo millennio? Internet, ovvero the net (la rete), rete internazionale, fitta maglia di strade da percorrere in assoluta libertà, è una spirale che ci avvolge e c’intrappola? Per Piero Ostellino nella rete planetaria c’è un problema: la libertà. Già da qualche anno ogni individuo è il terminale di un inesauribile flusso di dati e messaggi. Ne trae maggiori opportunità di scelta o se ne farà manipolare? La società dell’informazione globale accrescerà gli spazi della democrazia, ma comporta il rischio che questa forma di governo inevitabilmente porta con sé: l’omologazione politica e culturale. George Orwell, autore di libri quali “La fattoria degli animali” o “1984”, ha affrontato, in tempi ancora non (troppo) ‘sospetti’, la possibilità di una umanità che sottostà, in pieno stile panoptico, a un guardiano, che c’è, oppure si pensa che ci sia, ma che non si vede. Proprio in “1984” Orwell parla di una società del futuro (per lui il 1984 era un po’ come per noi il 2044), che soggiace a un regime totalitario capace di giostrare con gli uomini come un burattinaio fa con le proprie marionette. E quel che è più colpisce, riesce a farlo quasi per induzione, pur non manifestandosi in maniera vistosa, pur non avendo un vero corpo di polizia che porti o tuteli l’ordine e la sicurezza tra i cittadini: questi si comportano in maniera totalmente autodisciplinata, perché hanno il timore di essere scoperti, sempre, in ogni circostanza, in ogni luogo, dall’occhio del Grande Fratello, il capo del partito, che nessuno ha mai visto, ma del quale nessuno può metterne in discussione l’esistenza. Il “Grande Fratello” altri non è che il guardiano della torre del Panopticon: influenza gli appartenenti al partito (i carcerati), senza bisogno di costrizioni o di manifestarsi pubblicamente (non sempre è così: c’è chi è fin troppo presenzialista e chi fa sentire la sua voce tramite interlocutori o presunte sue disposizioni, senza per questo farsi vedere se non attraverso filmati più o meno recenti o più o meno taroccati).

Edward S. Herman e il ‘mitico’ Noam Chomsky, docenti all’Università della Pennsylvania, in un’intervista di qualche anno fa al CORRIERE DELLA SERA, hanno testualmente affermato che Internet è il nuovo Grande Fratello di orwelliana memoria, che tutto osserva e tutto controlla, definendo la rete telematica come una vera e propria trappola (il flauto magico di Hamlin?). E per rimanere tra i semiologi, Umberto Eco non definisce forse il Computer (padre putativo di Internet) la Bestia, con non troppo celati riferimenti all’Apocalisse giovannea? E la tv via cavo non può forse produrre effetti panottici? E l’ipotesi, ventilata – e forse attuata – negli USA e in Gran Bretagna, di sorvegliare le baby-sitter con l’occhio tv a circuito chiuso per evitare maltrattamenti ai bambini, seppur motivata da drammatici fatti di cronaca, non è forse un ‘germe’ panottico, da sommarsi ad altri ‘marchi’ e ‘segni’ atti schedare i nostri comportamenti. Oppure, come spesso accade con i mass-media, a condizionare i nostri comportamenti fino a irreggimentarci (foss’anche con l’illusione di una libertà personale incondizionata). Dapprima a fin di bene, poi per indurci a fare la fine dei ‘porci di Gadara’ (che, invasati, pur essendo ‘in formazione’ ma non nella giusta ‘rotta’, affogarono in branco nello stagno: concetto ripreso da Ronald D. Laing, psicanalista radicale, dai Vangeli)?

Lo spazio a noi circostante condiziona i nostri comportamenti e le nostre azioni: il Panopticon di Bentham funzionava proprio per questo – perché lo spazio era strutturato e utilizzato in maniera tale da conseguire i risultati che ormai ben conosciamo. Nella società ‘contemporanea’ si parla molto della differenza tra spazio e luogo, luogo di transito e non luogo... Questo dello spazio, e del luogo in genere, è argomento che ci tocca molto da vicino: nelle metropoli dell’era post-moderna coglie il germe delle metamorfosi che quotidianamente accompagnano l’evoluzione dei centri urbani. Ma anche della noosfera (il 'mondo' del pensiero) in generale: superati i tradizionali modelli lineari di marca newtoniana e darwiniana, nella nuova sintesi solistica originata da questa insensibile rivoluzione in cui tutto è in relazione (la rete della vita di cui parla Fritjof Capra, intellettuale e scienziato ‘di frontiera’) potremmo realmente essere schiavi di un meccanismo panoptico, che non ha alcuna fisicità spaziale, che ‘vive’ in un non meglio definito ‘non luogo’, al massimo tra fibre ottiche e cavi telefonici. Non più il mitico Argo dai mille occhi, ma un solo grande occhio su mille teste... Foucault aveva visto giusto (sempre in “Sorvegliare e punire”): “Bentham sogna di fare una rete di dispositivi che sarebbero ovunque e sempre all’erta, percorrendo la società senza lacuna né interruzione”. Sì, abbiamo capito proprio bene: il sogno di Bentham era, secondo Foucault, quello di costruire una rete, una trama di dispositivi, ovunque e sempre, qui e ora; sì proprio una inter-rete (internet?), che è in ogni luogo e in ogni istante (un dio minore?).

Naturalmente, questa ‘figura’ del Panopticon prima, del ‘Grande Fratello’ poi (prima c’era il Leviatano, lo Stato-monstre, ma almeno era visibile...) ha suscitato intorno a sé grande interesse (e mille interessi), col suo grande fascino (charme: canto incantatore), il suo alone di mistero. Mille le domande. Come risposta, in molti si sono occupati della faccenda panoptica: aderenti a movimenti religiosi (i fondamentalisti della ‘grande cospirazione’), intellettuali dell’’ermeneutica del sospetto’, registi... C’è chi ha pensato bene di tradurre in pellicola vicende che parecchio hanno a che fare con il ‘Grande Fratello’: “Orwell 1984” e “The Truman Show” sono solo gli esempi più ‘diretti’ (ma la realtà supera, come al solito, la fantasia del grande schermo: l’aspirante attrice che, qualche anno fa, a Santiago del Cile, offriva ogni sua intimità quotidiana dalla casa trasparente appollaiata su un palo dà il senso dello zeit-geist, dello ‘spirito del tempo’ – ma ovviamente è anche questo solo la punta dell’iceberg). E poi, per rimanere a tecnologie già alla portata di tutti: i video-cellulari, la videosorveglianza dilagante, Echelon (il ‘grande orecchio’ della NSA – National Security Agency: “non è fantascienza, ci ho lavorato... La maxirete di spionaggio elettronico può intercettare telefonate, fax, e-mail...” Mike Frost alla CBS, fine febbraio 2000).

Come si è notato i riferimenti non sono dei più recenti: quel che accade oggi è sotto gli occhi di tutti. Eppure, internet serve ed è un servizio dalle occasioni uniche: gettando la rete (meglio che dire: “immergendosi nell’oceano-web” – al limite: “cavalcando le onde-web”. Le parole ‘forgiano’ la realtà…) si potranno portare a riva perle e altri tesori, anche nascosti. Se gli infidi occhi del mitico Argo si sono tramutati nei più innocui (e piacevoli) ‘occhi’ della coda del pavone, anche nella realtà di oggi il miracolo può avvenire: sono convinto che è ancora tutto (o quasi) nelle nostre mani (tralascio per il momento la 'rete di Indra' ovvero il 'tutto è collegato', con Dio 'sommo regista' delle convinzioni religiose e/o spirituali) e che siamo noi a decidere oggi se il nostro domani sarà un ‘domani panoptico’ e se con questo ‘occhio indiscreto’ potremo meglio scrutare l’orizzonte.


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