lunedì 7 maggio 2018

SPIRITUAL


SPIRITUAL

“Un libro che non abbia Dio, o l’assenza di Dio, come protagonista clandestino, è privo d’interesse.”  
(Nicolás Gómez Dávila).
Quest’aforisma dello scrittore colombiano – notoriamente “fuori dal coro” e “non-conforme” – ha fatto da fermaglio, prima, del mio romanzo “Gocce di pioggia a Jericoacoara”, poi della mia prefazione alla “storia di formazione” di “Io ti ho riscattato” di Alessio Sibilla, un giovane, prima “lost”, poi “nato di nuovo” (molto di quanto scrivo in questo post è tratto da questa prefazione).
Ma chi è questo Dio di cui parlano Dávila e Sibilla? È un Dio “nascosto” ma sempre presente, espansivo e sfuggente, che scompare nell’abisso (della nostra indifferenza) per poi ricomparire.  Un Dio partecipe, che, tirato in ballo, non si sottrae alle Sue responsabilità, ma si rivela nei fatti (si vada a leggere il Libro di Giobbe).
                   
Dio: Realtà vicina – di cui abbiamo esperienza quotidiana (chiamato o non chiamato, creduto o non creduto) – ma soprattutto, Realtà Ultima, quella che decide il “destino” della nostra vita, attuale e futura. In ogni caso, come affermò il grande psicologo Carl Gustav Jung (a suo modo, credente), Dio c’è: «chiamato o non chiamato, Dio sarà presente».
Ma chi è questo Dio, e di quale storia è protagonista, prima clandestino, poi cittadino a pieno titolo?
Facciamo esperienza del Divino in modi innumerevoli: dal timor panico, estatico, nel silenzio di una notte stellata, al canto di un uccello mattutino; dal Dio di gloria che tuona sul mare in tempesta al sottile suono di silenzio…

Dio è presente in cielo e sulla terra. Tutta la Bibbia, nelle sue molte voci, è impregnata di questa Essenza, che non è rimasta solo ”profumo”, ma si è fatta sostanza tantissime volte. Quella di Dio è una Presenza, prima implicita poi esplicita («Isaia osa affermare: Io, il Signore, sono stato trovato anche da quelli che non mi cercavano, mi sono manifestato anche a quelli che non mi invocavano.» – Romani 10,20).
È sempre e comunque una Realtà, avvertita o inavvertita: «Ecco: egli mi passa vicino e io non lo vedo; mi scivola accanto e non me ne accorgo.» (Giobbe 9,11). 
E Dio, chissà quante volte, è passato vicino a me e a te, senza che ce ne accorgessimo!

“Gesù era su quella croce che faceva la sua vita. E io la mia...” confessa Alessio nel suo libro-testimonianza. Egli vuole provare tutto dalla vita – succhiare il midollo della vita – farsi un nome, “acquistare fama” (come dicevano, insensatamente, i costruttori della torre di Babele – v. Genesi 11,4). Vuole avere la sua parte di beni (come il “figliol prodigo” – v. Luca 15,11-32) e vivere la “dolce vita”. Tuttavia, non solo assiste alla delusione (e illusione) del suo vano modo di vivere, ma passa realmente i peggiori guai, psicofisici e giudiziari.
Davvero Alessio sta “sperperando” la sua esistenza; nondimeno, insiste e resiste alla “chiamata” (di Dio): quella vera, della coscienza, del Dio-dentro, del Cristo interiore, non quella delle vane “processioni” o del ritualismo senza arte né parte (statue, genuflessioni, tradizioni traditrici…).
Quando è ormai sull’orlo dell’abisso, ecco l’incontro con una ragazza. Incontro apparentemente fortuito, frutto del “caso”: ma il caso, spesso (come in questo caso…), è il modo con cui Dio si presenta all’uomo quando non vuole farsi riconoscere.

Tuttavia, Dio si fa conoscere, eccome! Anzi, è Alessio che, finalmente, Lo conosce… E non solo abbandona la strada verso l’abisso, imboccata in gioventù seguendo il flauto magico dell’incantatore di turno (il boss, l’amico alla moda, la droga), ma comincia a manifestare un sentimento di malcontento nei confronti di tutto ciò che prima lo attirava, poiché ormai lo considera “privo di interesse”.
Dio, ora, non solo non è più privo d’interesse, ma lo interessa (anche se Dio si è sempre interessato a lui…). Solo che ora ne è consapevole. Lui che aveva cercato nella “folla” un senso (folle) della vita, ma si era trovato sempre più solo, ora “sente” qualcosa di diverso, di più profondo e appagante. Perché, per dirla ancora con Nicolás Gómez Dávila, “nella sua più profonda solitudine l’uomo può di nuovo percepire lo sfioramento di ali immortali.”     

Alessio “si sveglia”, “torna in sé” (come il “figliol prodigo”), viene sfiorato da ali immortali e fa l’esperienza di Giacobbe (v. Genesi 28,16: Quando Giacobbe si svegliò dal sonno, disse: «Certo, il SIGNORE è in questo luogo e io non lo sapevo!»”).
Ora Alessio lo “realizza”, percepisce il senso del divino e per questo si realizza: come uomo e, soprattutto, come figlio di Dio. E non per mera obbedienza dovuta alla paura, ma per “timore e tremore”, per dirla col grande filosofo cristiano Sören Kierkegaard. Timore e tremore nel senso di rispetto, riverenza, consapevolezza della sacralità, della grandezza e della potenza di Dio. “Infatti, solo lo stupore conosce.” (Gregorio di Nissa). 
Ed ecco che tutti i sensi, fisici e spirituali, di Alessio si “aprono“ completamente. Ora Alessio “vede”: «Il mio orecchio aveva sentito parlare di te, ma ora l’occhio mio ti ha visto.» (Giobbe 42,5). 

A partire dal momento della “nuova nascita”, Alessio comprende il suo passato, vive un presente diverso e immagina un nuovo futuro. Ora Alessio ha conoscenza, ha una visione (una nuova prospettiva) e sa di avere una missione: perché nessun uomo è un’isola… D’altronde, la Bibbia ci ricorda che un popolo senza visione muore. E ancor prima, muore per mancanza di conoscenza.
Gregorio Nazianzeno, uno dei “padri della Chiesa”, ammoniva: “Scruta seriamente te stesso, il tuo essere, il tuo destino; donde vieni e dove dovrai posarti; cerca di conoscere se è vita quella che vivi o se c’è qualcosa di più.”
Bene, se “i Vangeli e il Manifesto del Partito Comunista sbiadiscono: il futuro del mondo appartiene alla Coca Cola e alla pornografia” (Nicolás Gómez Dávila), cerchiamo di non svampare anche noi, ma riaccendiamo il fuoco!





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