SPIRITUAL
“Un libro che non abbia Dio, o l’assenza di Dio, come
protagonista clandestino, è privo d’interesse.”
(Nicolás Gómez Dávila).
(Nicolás Gómez Dávila).
Quest’aforisma dello scrittore colombiano – notoriamente
“fuori dal coro” e “non-conforme” – ha fatto da fermaglio, prima, del mio
romanzo “Gocce di pioggia a Jericoacoara”, poi della mia prefazione alla “storia di
formazione” di “Io ti ho
riscattato” di Alessio Sibilla, un giovane, prima
“lost”, poi “nato di nuovo”
(molto di quanto scrivo in questo post è tratto da questa prefazione).
Ma
chi è questo Dio di cui parlano Dávila e Sibilla? È un Dio “nascosto” ma sempre
presente, espansivo e sfuggente, che scompare nell’abisso (della
nostra indifferenza) per poi ricomparire. Un Dio
partecipe, che, tirato in ballo, non si sottrae alle Sue responsabilità, ma
si rivela nei fatti (si vada a leggere il Libro di Giobbe).
Dio: Realtà vicina – di cui abbiamo
esperienza quotidiana (chiamato o non
chiamato, creduto o non creduto) – ma soprattutto, Realtà Ultima, quella
che decide il “destino” della nostra vita, attuale e futura. In ogni caso, come
affermò il grande psicologo Carl Gustav Jung (a suo modo, credente), Dio c’è: «chiamato o non chiamato,
Dio sarà presente».
Ma
chi è questo Dio, e di quale storia è protagonista, prima clandestino, poi
cittadino a pieno titolo?
Facciamo esperienza del
Divino in modi innumerevoli: dal
timor panico, estatico, nel silenzio di una notte stellata, al canto di un
uccello mattutino; dal Dio di gloria che tuona sul mare in tempesta al sottile suono di silenzio…
Dio
è presente in cielo e sulla terra. Tutta la Bibbia, nelle sue molte voci, è
impregnata di questa Essenza, che non è rimasta solo ”profumo”, ma si è fatta
sostanza tantissime volte. Quella di Dio è una Presenza, prima implicita poi esplicita («Isaia osa affermare: Io, il Signore, sono
stato trovato anche da quelli che non mi cercavano, mi sono manifestato anche a
quelli che non mi invocavano.» – Romani 10,20).
È
sempre e comunque una Realtà, avvertita o inavvertita: «Ecco: egli mi passa vicino e io non lo vedo; mi scivola accanto e non me
ne accorgo.» (Giobbe 9,11).
E Dio, chissà quante volte, è passato vicino a me e a te, senza che ce ne accorgessimo!
E Dio, chissà quante volte, è passato vicino a me e a te, senza che ce ne accorgessimo!
“Gesù era su quella croce che faceva la sua vita. E io la
mia...” confessa
Alessio nel suo libro-testimonianza. Egli vuole provare tutto dalla vita – succhiare il midollo della vita –
farsi un nome, “acquistare fama” (come dicevano, insensatamente, i costruttori
della torre di Babele – v. Genesi 11,4). Vuole avere la sua parte di beni (come
il “figliol prodigo” – v. Luca 15,11-32) e vivere la “dolce vita”. Tuttavia,
non solo assiste alla delusione (e illusione) del suo vano modo di vivere, ma
passa realmente i peggiori guai, psicofisici e giudiziari.
Davvero
Alessio sta “sperperando” la sua esistenza; nondimeno, insiste e resiste alla
“chiamata” (di Dio): quella vera, della coscienza, del Dio-dentro, del Cristo
interiore, non quella delle vane “processioni” o del ritualismo senza arte né
parte (statue, genuflessioni, tradizioni traditrici…).
Quando
è ormai sull’orlo dell’abisso, ecco l’incontro con una ragazza. Incontro
apparentemente fortuito, frutto del “caso”: ma il caso, spesso (come in
questo caso…), è il modo con cui Dio si presenta
all’uomo quando non vuole farsi riconoscere.
Tuttavia,
Dio si fa conoscere, eccome! Anzi, è
Alessio che, finalmente, Lo conosce… E non solo abbandona la strada
verso l’abisso, imboccata in gioventù seguendo il flauto magico dell’incantatore
di turno (il boss, l’amico alla moda, la droga), ma comincia a manifestare un
sentimento di malcontento nei confronti di tutto ciò che prima lo attirava,
poiché ormai lo considera “privo di interesse”.
Dio, ora, non solo non è più privo d’interesse, ma
lo interessa (anche se Dio si è sempre interessato a lui…). Solo che ora ne
è consapevole. Lui che aveva cercato nella “folla” un senso (folle) della vita,
ma si era trovato sempre più solo, ora “sente” qualcosa di diverso, di più
profondo e appagante. Perché, per dirla ancora con Nicolás Gómez Dávila, “nella sua più profonda solitudine l’uomo
può di nuovo percepire lo sfioramento di ali immortali.”
Alessio
“si sveglia”, “torna in sé”
(come il “figliol prodigo”), viene sfiorato da ali immortali e fa l’esperienza
di Giacobbe (v. Genesi 28,16: “Quando Giacobbe si svegliò dal sonno, disse: «Certo, il SIGNORE è in
questo luogo e io non lo sapevo!»”).
Ora Alessio lo “realizza”, percepisce
il senso del divino e per questo si realizza: come uomo e, soprattutto, come figlio di Dio. E non per mera
obbedienza dovuta alla paura, ma per “timore e tremore”, per dirla col grande
filosofo cristiano Sören Kierkegaard. Timore e tremore nel senso di rispetto,
riverenza, consapevolezza della sacralità, della grandezza e della potenza di
Dio. “Infatti, solo lo stupore conosce.”
(Gregorio di Nissa).
Ed
ecco che tutti i sensi, fisici e spirituali, di Alessio si “aprono“
completamente. Ora Alessio “vede”:
«Il mio orecchio aveva sentito parlare di te, ma ora
l’occhio mio ti ha visto.» (Giobbe 42,5).
A
partire dal momento della “nuova nascita”, Alessio comprende il suo passato, vive un presente diverso e immagina un
nuovo futuro. Ora Alessio ha conoscenza,
ha una visione (una nuova prospettiva) e sa di avere una missione: perché nessun uomo è
un’isola… D’altronde, la Bibbia ci ricorda che un popolo senza
visione muore. E ancor prima, muore per mancanza di conoscenza.
Gregorio
Nazianzeno, uno dei “padri della Chiesa”, ammoniva: “Scruta seriamente te
stesso, il tuo essere, il tuo destino; donde vieni e dove dovrai posarti; cerca
di conoscere se è vita quella che vivi o se c’è qualcosa di più.”
Bene,
se “i Vangeli e il Manifesto del Partito Comunista
sbiadiscono: il futuro del mondo appartiene alla Coca Cola e alla pornografia” (Nicolás Gómez Dávila),
cerchiamo di non svampare anche noi, ma riaccendiamo il fuoco!
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