mercoledì 23 maggio 2018

IL FUTURO NON È PIÙ QUELLO DI UNA VOLTA


IL FUTURO NON È PIÙ QUELLO DI UNA VOLTA…

Siamo scesi in coppie dal salon, e non siamo Testimoni di Geova. È il momento della prima prova: una dozzina di coppie sguinzagliate nella Pisa by night per testare lo ‘sguardo’ e il ‘tocco’ (l’uno fa ridondanza all’altro, come le corde di un sitar). Diana ci ha permesso di sciamare per un primo assaggio della nostra missione. Cominciamo dagli stuzzichini (Tamara è quello giusto), finiremo con la grande bouffe.
«Ci divertiremo» fa Tamara con cadenza slava.
Scivolo nel gorgo della delusione ‘absolute’ (la vodka del salon attutisce l’impatto). Tutto secondo le aspettative (umane), niente secondo il mio programma (‘superumano’). Volevo ‘inaugurare’ la fase operativa del Frei Club e ho fallito: questa la mia prima, sconfortante, impressione. Eppure, l’ho guardata intensamente.
Provo con la mano, con il ‘tocco’. La luna si frange sulla Torre: anche lei ci ‘prova’. Sento un rumore di fondo: da pendente che era, ora mi sembra a piombo… No, meglio com’era prima: l’inclinazione riprende il comando della situazione. Anch’io. Mi curvo. Rifletto (la luna mi si frange contro: sento rumore di risacca): il buio è l’essenza, è tenebra luminosa. “Ci sarà pure un equinozio spirituale. La prima ora nuova di cui ti sto parlando sarà il punto solstiziale. In essa la luce giunge a controbilanciare la tenebra.”
Una mano verde prende la mia mano (tantra della ‘mano sinistra’?), poi mi sfiora la guancia destra, scorre sulla fronte, fa altrettanto con Chloe. È fuoriuscita dal buio, come dal cappello di un prestigiatore (la Torre?). Tamara prende la mia mano destra, poi quella di Chloe (la sinistra: la mia compagna di ‘missione’ è mancina). D’abrut c’investe, come una folata di fohn, la sua voce (e dire che la belle de nuit viene dal ‘freddo’):
«Tutto nella donna è un enigma, e tutto nella donna ha una soluzione… Non ti dico quella di Nietzsche, io ne ho un’altra, di soluzione – mi fa Tamara – E poi io vengo dalle lande di Lou Salomè. Sono un’isola, un continente e sono nera…  E fu Freud a dire che la donna è un enigma,un continente nero”.»
Ho i brividi (mi si ‘arrizzica’ la carne – avrebbe detto mia nonna, con la sua voce ‘antica’, di un’altra fiata). Al pari di Zarathustra, sento che lo Spirito è la vita che taglia nella mia carne. Fiat voluntas sua. Sento il sangue fluire en plein air, l’aquila che volteggia con il serpente che tiene unite le sue zampe, la scimmia che scende dalla mia spalla portando con sé tutti i dis-valori…

«Dio è qui, non solo nel deserto (Tamara si fa sempre più enigmatica). È nel silenzio e nel vuoto il germe del cosmo. Ma a noi basta che aleggi lo Spirito: basta che ci sfiori e il bocciolo interiore si farà gemma. Il bosco verrà dopo, e noi saremo i suoi lupi azzurri. Anche fiori di nazuna….» L’uovo si rompe. E mi chiamavano drago. Anche lei, Tamara, farà parte del cerchio: il Frei Club si sta allargando.
La luna piena glissò su tutta questa fauna appena cementata, che copriva a tappeto tutta la rena (mai accaduto in una notte di fine estate, neanche ai tempi di Lamberto e cortigiani), e, complice, si soffermò sulla ‘flora’ verdeggiante: lo stravagante trio alchemico – nigredo-moretta (Galatea), albedo-bionda (Gaia), rubedo-rubizzo (Lorenzo) – in piena esaltazione estatico-erotica. L’estate, eretica, aveva raggiunto la sua acme. E l’estetica pure (e senza tracce di acne).

Missione compiuta. Abbandoniamo la piazza, il ‘miracolo’ è avvenuto:  il nostro sguardo e il nostro tocco hanno ‘rigenerato’, di colpo, la nostra prima cavia (che il nostro fosse metodo ‘socratico’, da levatrici, o miracolo ‘cristico’, non importa. Che sia ‘criptico’ su questo non ci piove). Dopo le prime ‘esternazioni’, Tamara, fessurata la corteccia che impediva al suo ‘vero’ Sé di esprimersi, era diventata un vero e proprio diluvio. Qui c’è in ballo una sorta di triangolo. Io voglio Tyler. Tyler vuole Marla. Marla vuole me.
S.O.S.: sognare, osare, scoprire. S.E.S.S.O.: scrivere, esplorare, scolpire, scalfire, ordire. E come al solito, soprattutto, S.O.F.I.A. La triade lorenziana, con cui il dreamer (già sessantottino) traduceva, finalmente e fatalmente (non più solo teoricamente), le sue intuizioni. Con duttilità e sapienza (dava sapore alla minestra). Sottile, olografico, flamboyant, intuitivo, arbitrario. Sofia: il pallone; Lorenzo: arbitro, calciatore e pubblico.

Nove minuti. II Parker-Morris Building andrà giù, tutti i suoi centonovantuno piani, adagio come un albero che cade nella foresta. Legna. Puoi buttar giù quello che vuoi. Fa effetto pensare che il posto dove stiamo sarà solo un punto nel cielo. Ma prima del punto tante virgole. La serie fotografica di cinque immagini intervallate. Ecco qui il palazzo in piedi. Seconda foto, il palazzo ha un angolo di ottanta gradi. Poi settanta gradi. Il palazzo ha un angolo di quarantacinque gradi nella quarta foto dove lo scheletro comincia a mollare e la torre s’inarca leggermente. Nell’ultima foto la torre, con tutti i suoi centonovantuno piani, piomberà sul museo nazionale che è il vero bersaglio di Tyler.
Il building è il mondo ‘immondo’ che mi circonda, i piani (piano più piano meno) sono i suoi stati (di grazia? No, solo nazioni: pochi i ‘popoli’, molti i ‘disgraziati’). Spero solo che la Torre rimanga in piedi. Del resto, è piazza dei miracoli…

«La legge del mondo interiore è la medesima del mondo esteriore, ma più su di un’ottava … La chiave del potere sulla natura interiore s’è arrugginita sin dal Diluvio. Essa equivale a stare svegli. Lo stare svegli è tutto…» Mentre io cincischio coi miei pensieri (un po’ vischiosi – mi fischiano le orecchie) Tamara apre con la sua chiave inossidabile lo YouTube akashiko e tira fuori tutto il Meyrink che mi ero ‘fatto’ ultimamente (e pensare che il Viso verde lo avevo inserito solo all’ultimo momento, pure neghittosamente, nell’ordine e-mail). Poi chiude con una sua chicca, anch’essa verde (ma poi, da bad girl, mischia i colori):
«Se il tuo viso non si fa verde e la tua coda non resta azzurra, non potrai attaccarti al filo rosso dell’eterno divenire e percorrere così il miglio verde dell’attimo fuggente: cogli il kairos, il ‘fiore del tempo’, il battito ‘fuori tempo’ (e fuori dal coro) del chronos, l’intervallo tra il fulmine e il tuono. Kyrie eleison».
Che dire, il futuro non è più quello di una volta…

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