IL FUTURO NON È PIÙ QUELLO DI UNA VOLTA…
Siamo scesi in coppie dal salon, e non
siamo Testimoni di Geova. È il momento della prima prova: una dozzina di coppie
sguinzagliate nella Pisa by night per testare lo ‘sguardo’ e il ‘tocco’ (l’uno
fa ridondanza all’altro, come le corde di un sitar). Diana ci ha permesso di
sciamare per un primo assaggio della nostra missione. Cominciamo dagli
stuzzichini (Tamara è quello giusto), finiremo con la grande bouffe.
«Ci divertiremo» fa Tamara con cadenza slava.
Scivolo nel gorgo della delusione
‘absolute’ (la vodka del salon attutisce l’impatto). Tutto secondo le
aspettative (umane), niente secondo il mio programma (‘superumano’). Volevo
‘inaugurare’ la fase operativa del Frei
Club e ho fallito: questa la mia prima, sconfortante, impressione. Eppure,
l’ho guardata intensamente.
Provo con la mano, con il ‘tocco’. La
luna si frange sulla Torre: anche lei ci ‘prova’. Sento un rumore di fondo: da
pendente che era, ora mi sembra a piombo… No, meglio com’era prima:
l’inclinazione riprende il comando della situazione. Anch’io. Mi curvo.
Rifletto (la luna mi si frange contro: sento rumore di risacca): il buio è
l’essenza, è tenebra luminosa. “Ci sarà pure un
equinozio spirituale. La prima ora nuova di cui ti sto parlando sarà il punto
solstiziale. In essa la luce giunge a controbilanciare la tenebra.”
Una mano
verde prende la mia mano (tantra della ‘mano sinistra’?), poi mi sfiora la
guancia destra, scorre sulla fronte, fa altrettanto con Chloe. È fuoriuscita
dal buio, come dal cappello di un prestigiatore (la Torre?). Tamara prende la
mia mano destra, poi quella di Chloe (la sinistra: la mia compagna di
‘missione’ è mancina). D’abrut c’investe, come una folata di fohn, la sua voce (e dire che la belle de nuit viene dal ‘freddo’):
«Tutto nella
donna è un enigma, e tutto nella donna ha una soluzione… Non ti dico quella di
Nietzsche, io ne ho un’altra, di soluzione – mi fa Tamara – E poi io vengo
dalle lande di Lou Salomè. Sono un’isola, un continente e sono nera… E fu Freud a dire che la donna è un enigma, “un continente nero”.»
Ho
i brividi (mi si ‘arrizzica’ la carne – avrebbe detto mia nonna, con la sua
voce ‘antica’, di un’altra fiata). Al
pari di Zarathustra, sento
che lo Spirito è la vita che taglia nella mia carne. Fiat voluntas sua. Sento il sangue fluire en plein air, l’aquila che volteggia con il serpente che tiene
unite le sue zampe, la scimmia che scende dalla mia spalla portando con sé
tutti i dis-valori…
«Dio è qui, non solo nel deserto (Tamara
si fa sempre più enigmatica). È nel silenzio e nel vuoto il germe del cosmo. Ma
a noi basta che aleggi lo Spirito: basta che ci sfiori e il bocciolo interiore
si farà gemma. Il bosco verrà dopo, e noi saremo i suoi lupi azzurri. Anche
fiori di nazuna….» L’uovo si rompe. E mi chiamavano drago. Anche lei, Tamara, farà
parte del cerchio: il Frei Club si sta allargando.
La luna piena glissò su tutta questa
fauna appena cementata, che copriva a tappeto tutta la rena (mai accaduto in
una notte di fine estate, neanche ai tempi di Lamberto e cortigiani), e,
complice, si soffermò sulla ‘flora’ verdeggiante: lo stravagante trio alchemico
– nigredo-moretta (Galatea), albedo-bionda (Gaia), rubedo-rubizzo (Lorenzo) – in piena
esaltazione estatico-erotica. L’estate, eretica, aveva raggiunto la sua acme. E
l’estetica pure (e senza tracce di acne).
Missione compiuta. Abbandoniamo la
piazza, il ‘miracolo’ è avvenuto: il
nostro sguardo e il nostro tocco hanno ‘rigenerato’, di colpo, la nostra prima
cavia (che il nostro fosse metodo ‘socratico’, da levatrici, o miracolo
‘cristico’, non importa. Che sia ‘criptico’ su questo non ci piove). Dopo le
prime ‘esternazioni’, Tamara, fessurata la corteccia che impediva al suo ‘vero’
Sé di esprimersi, era diventata un vero e proprio diluvio. Qui c’è in ballo una sorta di triangolo. Io voglio Tyler. Tyler vuole
Marla. Marla vuole me.
S.O.S.: sognare,
osare, scoprire. S.E.S.S.O.: scrivere,
esplorare, scolpire, scalfire, ordire. E come al solito, soprattutto, S.O.F.I.A. La triade lorenziana, con cui
il dreamer (già sessantottino)
traduceva, finalmente e fatalmente (non più solo teoricamente), le sue
intuizioni. Con duttilità e sapienza (dava sapore alla minestra). Sottile, olografico, flamboyant,
intuitivo, arbitrario. Sofia: il pallone; Lorenzo: arbitro, calciatore e pubblico.
Nove minuti. II Parker-Morris
Building andrà giù, tutti i suoi centonovantuno piani, adagio come un albero
che cade nella foresta. Legna. Puoi buttar giù quello che vuoi. Fa effetto
pensare che il posto dove stiamo sarà solo un punto nel cielo. Ma prima del punto tante virgole.
La serie fotografica di cinque immagini intervallate. Ecco qui il palazzo in
piedi. Seconda foto, il palazzo ha
un angolo di ottanta gradi. Poi settanta gradi. Il palazzo ha un angolo di quarantacinque gradi nella quarta foto
dove lo scheletro comincia a mollare e la torre s’inarca leggermente.
Nell’ultima foto la torre, con tutti i suoi centonovantuno piani, piomberà sul
museo nazionale che è il vero bersaglio di Tyler.
Il building
è il mondo ‘immondo’ che mi circonda, i piani (piano più piano meno) sono i
suoi stati (di grazia? No, solo nazioni: pochi i ‘popoli’, molti i
‘disgraziati’). Spero solo che la Torre rimanga in piedi. Del resto, è piazza dei
miracoli…
«La
legge del mondo interiore è la medesima del mondo esteriore, ma più su di
un’ottava … La chiave del potere sulla natura interiore s’è arrugginita sin dal
Diluvio. Essa equivale a stare svegli. Lo stare svegli è tutto…»
Mentre io cincischio coi miei pensieri (un po’ vischiosi – mi fischiano le
orecchie) Tamara apre con la sua chiave inossidabile lo YouTube akashiko e tira fuori tutto il Meyrink
che mi ero ‘fatto’ ultimamente (e pensare che il Viso verde lo avevo inserito solo all’ultimo momento, pure
neghittosamente, nell’ordine e-mail). Poi chiude con una sua chicca, anch’essa
verde (ma poi, da bad girl, mischia i
colori):
«Se
il tuo viso non si fa verde e la tua coda non resta azzurra, non potrai
attaccarti al filo rosso dell’eterno divenire e percorrere così il miglio verde
dell’attimo fuggente: cogli il kairos, il ‘fiore del tempo’, il battito ‘fuori
tempo’ (e fuori dal coro) del chronos, l’intervallo tra il fulmine e il tuono. Kyrie eleison».
Che
dire, il
futuro non è più quello di una volta…
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