ROMA
AMOR
Hora, dies, vita
fugit, manet unica virtus. La città ferveva, il loro cuore pure. Hot. Con loro due in the sky with diamonds. Ghiaccio secco. Ice. Fuoco sacro, cuori puri, cuori sacri. L’asso nella manica. Fire… Atmosfera Iki. La musica del cuore, due cuori, una città. Arianna, Lorenzo,
Roma.
Nike. Vittoria. Redenzione dei
luoghi e delle anime. “Mostrami che tu
sei redento e io crederò al tuo Redentore.” Era finalmente giunto il
momento di presentarLo, il Redentore. E non solo a Nietzsche, l’’anticristiano’.
“Tu sapessi che cosa è
Roma! Tutta vizio e sole, croste e luce: un popolo invasato dalla gioia di
vivere, dall’esibizionismo e dalla sensualità contagiosi, che riempie le
periferie... Sono perduto qui in mezzo.” Parole (corsare) di Pasolini, incartate
e spedite – si era nel 1952 – all’amico Giacinto Spagnoletti, critico militante
(e di pari natali di Lorenzo, in quell’anno appena svezzato. Ma ora, mezzo
secolo e passa dopo, la città ‘delfina’, teoricamente di sogno, viveva ancora
tra i fumi. Da un ponte all’altro. Ancora nel guado. Come da prassi. La città dei
due mari, girevole ma di pietra, era in piena tempesta d’acciaio, scespiriana. Earth, wind & fire. Terra sui
balconi, solitari. Vento di scirocco, tombale. Fuoco siderurgico, una bomba.
Città dell’estate, dimezzata, col respiro corto, sul viale del tramonto. Bella
e dannata… – e con la vela traforata di Giò Ponti a far da spartiacque. In
attesa sospirosa – suspiria? – di una
Taranto blessing).
Questa (la prima) era la Roma che avevano ritrovato dopo il tour
walk-and-work da globe-trotter (e la molle
Tarentum? In ammollo. Eppure, il suo sol levante e i suoi tramonti
d’occidente – un unicum – avevano sempre più voglia di nuovi orizzonti). L’urbe
capitolina: in bilico tra capitolazione e ricapitolazione (per il momento
ancora tutta lucchetti, ma anche moine
e smorfiette). Tutta generazione
dello scusa-ma-ti-chiamo-amore. E con un look al passo col vento (dal
ponentino era passata all’’attimino’).
Tappeto rosso, città color rosso vermiglio… (città
futurista, o passatista?). Arianna e Lorenzo, provocatori post-litteram,
spiaggiati nell’Urbe, bagnati dalla Fontana di Trevi ma non spiazzati, avevano
anche loro colto l’attimo, quello senza diminutivo (il Kairòs). Il carpe diem avrebbe scandito i dies corporis, i giorni del corpo.
Corpo, anima e spirito finalmente, e definitivamente, in sintonia: tripudio
della vita, ripudio della morte.
“Coi secchi di vernice coloriamo
tutti i muri, case, vicoli e palazzi…” Ora non avevano più scusanti. Dovevano agire. Senza aspettare
il domani (il daimon era lì, qui e
ora). E infatti, quanto all’hic et nunc, trascurarono sightseeing e shopping
alle soglie del week-end per prepararsi a puntino per l’incontro (solo una
puntatina serale ad Ariccia per della porchetta rimpolpante e del Frascati
light – alla faccia del classico digiuno preparatorio: ed era pure venerdì).
Quanto alla sensualità, era ancora martedì grasso. La
Pentecoste, a un dipresso. Una
toccatina e fuga, lo start al tocco (l’una in punto) a base di tartine e più
d’un goccio fluidificante di frizzantino (rosè salentino per giunta), per poi
catapultarsi ben torniti in Piazza San Pietro. Non senza, però, aver prima
vissuto – dopo lo shock-stendhal di fronte al Borromini di Sant’Ivo alla
Sapienza e di San Carlino alle Quattro Fontane (che pure conoscevano bene) – la
notte trasteverina al ponentino. Saturday
night fever, tutta musica e accenni di danza: l’eterno ritorno, sia pur
dissonante, alle caves fiorentine
degli anni ’70 e alla Pugnochiuso anni ’80 e passa (sempre sul chi vive).
”In una città di due milioni e mezzo di
scheletri, la presenza di qualche migliaia di viventi passa inosservata.”
Frenesia flaccida d’inconsapevole
mestizia. Ebbrezza da vino di buon mosto. Già acqua, trasformatasi in vin rouge
ai primi sentori di una presenza vicina (Quo vadis? Maranathà!). Roma
rosso-trevi, rubiconda di vernice e di mestruazioni. Urbe gioconda, ancora
faconda di emozioni (e di nuovi figli). Complice. Sfuggente (tocco fuggitivo
alla Cecchini e rintocchi stonati di aromatici Toscani).
“Sei venuto per mescere il
mio vino? Ma il vino con cui mi ubriaco è invisibile.” Sapori forti
sempre più dolci. Rosso Valentino versus Dolce & Gabbana. Fritto misto alla
frutta. Grey’s Anatomy. Mistica est-ovest alla Rumi. Eppure, dietro a
quelle poche migliaia di persone vive ce n’erano miriadi in attesa.
Morte, dormienti, appisolate, in fase di risveglio… E l’aspettativa non sarebbe
andata delusa. Nessun trattamento di fine rapporto.
(Dal mio romanzo Gocce di pioggia a Jericoacoara)
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