SUNSET @
CAFÉ DEL MAR
Cool day, cold day, coldplay… Nelle
mie ioniche lande il freddo tarda a manifestarsi: anche il cool a onor
del vero. Tutto sembra stagnante, eppure il fuoco cova sotto la cenere. L’acqua
però tarda a convertirsi in vino: continuiamo ad attingere al pozzo della
samaritana in attesa dell’incontro fatale – scorreranno allora fiumi d’acqua
viva? Prima le nozze di Cana: dalle enormi giare vuote (oppure litri
e litri di acqua stantia) al vino novello in tintinnanti calici. Poi Nicodemo:
dalla letargica notte soporifera al liturgico giorno della nuova nascita (acqua
tonica e frizzantino a iosa). Quindi la caliente samaritana pronta a
lasciare la brocca alla fonte, visto che ha trovato dentro di sé la sorgente
inesauribile…
Questa la mia confidente speranza,
certezza mia personale in vista del roundabout dietro l’angolo. Ma anche
la tua fidente speme (se sei lettore di questo blog al di là del bene
e del male): rileggiti tutti i post, spremili, centellinali,
sorseggiali, ingoiali… e a fine mese avrai deglutito tutto il pasto (i post,
paté compreso). Quanto all’effetto: meglio dell’aloe vera…
Come sottofondo, Hotel Costes, Café
del mar, Vladi Strecker (quanto meno, ma less is more). Come letture
di contorno questo mio tralcio, mai d’intralcio semmai pietra d’inciampo
(non c’è cura migliore della scrittura – e lettura – creativa, ça
va sans dire). Lo diceva lo stesso buon Jung, e io, da discepolo freelance
(oltre ogni ossimoro e al riparo del sicomoro degli amori al café del
mar), verso l’ambrosia ai samaritani di turno.
“…le parole agiscono solo perché
trasmettono un senso o un significato; in ciò consiste la loro efficacia. Ma il
‘senso’ è qualcosa di spirituale. La si chiami pure ‘finzione’… Ma con una
finzione noi agiamo in modo infinitamente più efficace che con preparati
chimici (…) anzi agiamo perfino sul processo biochimico del corpo. Ora, sia che
la finzione si produca in me sia che mi venga dall’esterno per mezzo della
parola, essa può farmi sano o malato; le finzioni, le illusioni, le opinioni
sono le cose più intangibili, più irreali che si possano immaginare, eppure da
un punto di vista psicologico e perfino psicofisico sono le più efficaci.”
JERICOACOARA MON AMOUR
Guardiana del sogno, la brezza pomeridiana.
My boo: Arianna, sospinta dai sospiri eterici di Alicia Keys, scavalcò
flessuosa l’adone sdraiato sulla sabbia fine lambita dall’andirivieni di onde,
tenue sospiro dell’oceano. La pelle brinata, e brunita, di Tomás raccoglieva
golosa i gelosi raggi del sole tardo-invernale del Nordeste, caldi malgré
tout. Rinviandoli rifratti e condensati a formare un’aura caleidoscopica,
custode del suo corpo come in un sacro sarcofago. Uniche increspature, il
vibrare della muscolatura tonica e il crogiolarsi sul bagnasciuga della spuma
effervescente: lascivo invito al retrostante, desertico, Sertão a
lasciarsi andare.
Brasile: legno di colore rosso. E rosso
fuoco il colore (politico) e il calore di Arianna, specie quella ex ante. Il
primo tuffo velvet underground dalle felpate sabbie di Praia das
Fontes, nel febbraio del ’74: lo stesso anno, la stessa acquariana
atmosfera dell’incontro con Lorenzo, solo un paio di mesi in anticipo.
“Quando soffia la brezza primaverile
dell’amore ogni ramo, che non sia secco, si mette a danzare.” La poesia di Rumi, il bardo sufi che soffiava nel suo
oceano interiore, aveva accompagnato il surfeggiare del suo cuore alla Prevert
sulle onde dell’amore, prima cosmico, poi orgasmico. Un amore (quello
pre-Lorenzo) sbocciato sulle dune di sabbia bianca e fiorito tra le scogliere e
il labirinto stellare delle falesie.
Era la seconda storia importante di
Arianna, una passione sbocciata sulle ceneri (e sbocconcellata sulla sabbia).
La prima, invece, appassita, bocciata, scivolata sulla prima buccia di banana.
Gialla ma annerita in più punti. Ma questo frutto della passione,
passiflora sbucata dall’oceano, ben lontano da casa, era stato più profondo,
eppure anch’esso fugace.
Nulla, però, in confronto alla terza, la
liaison con Lorenzo. Questo amore così violento, così fragile, così
tenero, così disperato. Bello come il giorno, cattivo come il tempo. quando il
tempo è cattivo. Questo amore così vero, così bello, così felice, così gaio e
così beffardo. Tremante di paura come un bambino al buio. E così sicuro di sé,
come un uomo tranquillo nel cuore della notte. Questo amore che impauriva gli
altri. Che li faceva parlare, che li faceva impallidire. Questo amore spiato.
Perché noi lo spiavamo. Perseguitato ferito calpestato ucciso negato,
dimenticato. Perché noi l’abbiamo perseguitato ferito calpestato ucciso negato,
dimenticato. Questo amore tutto intero. Ancora così vivo. E tutto soleggiato...
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