mercoledì 4 dicembre 2019

TUTTIFRUTTI


 TUTTIFRUTTI

Sempre più si parla, a ragione o no, di ‘deriva’ fascista e populista: fosse anche solo per un un pour-parler da radical-chic sopravvissuti al Sessantotto – che quasi nessun giovane d’oggi sa cosa sia stato (il mio popolo perisce per mancanza di conoscenza – e visione. Dall’Antico Testamento ).
Insomma, dalla rive droite e rive gauche (che io ho vissuto in prima linea, dal vivo, nel pieno del Sessantotto e i due-tre anni successivi, in bilico tra i due fronti diciamo in terza posizione’, o posizione ‘meta) all’odierna deriva parolaia: vanità delle vanità, fuma fuma... Fosse solo aria fritta! Ci sono anche i frutti guasti, i fatti e i misfatti – il velo d’Iside (e del "Grande Fratello" 666) offusca ormai la realtà del mondo globale e locale: il burka (mentale e spirituale) è ormai dovunque, sopra al colto e all’inclita.
Insomma, ora non si parla d’altro: del nulla, e, per i più colti, di banche, di Isis (prima almeno c’erano gli Oasis) e di Renzi e Boschi, risorti dalle ceneri. Tuttifrutti.
Parole parole parole… E i fatti? Sì, qualche volta ci sono: moltissima gente vuole dire la sua, sardine, triglie o scorfani che siano, ma sembra mancare un’Idea – ci resta solo l’Ikea.

Come tanti altri anch’io ero diventato schiavo della tendenza al nido Ikea. Se vedevo qualcosa di ingegnoso, come un tavolinetto a forma di Yin Yang dovevo averlo... sfogliavo quei cataloghi e mi chiedevo quale salotto mi caratterizza di più come persona […]
Con l’insonnia nulla è reale. Tutto è lontano. Tutto è una copia di una copia di una copia […] È solo dopo aver perso tutto che siamo liberi di fare qualsiasi cosa.
(da Fight Club).

È solo dopo aver perso tutto che siamo liberi di fare qualsiasi cosa. Che dire… in questo periodo insonne (ma sembra che il ‘sonno’ dilaghi) nulla è reale, tutto è immagine: ma non nel senso di in me magus agit, ma in quello di tutto distorto, distratto, velato.
Usciamo dal nostro orticello, dalla nostra comfort zone! Sleghiamoci la testa e perdiamo tutte le nostre certezze: è solo dopo aver perso tutto che saremo liberi di fare qualsiasi cosa.

È ora di andare al di là del velo: fermiamoci un attimo e ascoltiamo il nostro Dio. Caliamoci dentro di noi, recuperiamo la nostra essenza e guardiamo in faccia la realtà: tutto è parola.
Chi sa parlare meglio governa il mondo. E allora impara anche tu a parlare!

A proposito di parole, e di buoni propositi, ecco un breve stralcio da un mio romanzo alla Fight Club.
           
Diapason, flauto, arpa, siringa… Ago che inietta vita: senza strumenti musica nuda la parola produce.
Fatti e misfatti. Verba volant (et volunt). Sì, il linguaggio che si fa parola, la parola che si fa atto: “nessuna cosa è dove la parola manca” – questo uno dei miei motti preferiti (soffiato a Heidegger, ma da lui stillato, con ‘cura’, da ‘Das Wort’, poesia di Stefan George – lingua vergine, ‘virgo mater’ del sacro cerchio). La parola che ‘nomina’ le cose, le contrassegna, le crea. “Basta la parola…”
Parola coessenziale all’azione. Parola in movimento, in divenire, in estasi. ‘Versi intessuti’, ‘carmi circolari’, parola in cammino. Parola ‘attiva’. Più che ‘parola’, ‘verbo’, azione che si attende una re-azione.
 Action now. Parola ‘dinamica’, scoppiettante. Parola che grida quando più tace. Parola che canta, sussurra, piange. Nella parola balugina la spiritualità dell’anima. E questa si fa corpo. Per accoppiarsi e poi scoppiare. È la parola che dà sostanza, essere, alla ‘res’. Logos lex: la parola è legge. Logos rex: la parola è re, anzi ‘regina’, e di questo ‘logos’ sono schiavo, servo della Parola.
‘Suona’ la parola la malvestita realtà… Parolibere ancheggianti, ossimori frenati o rutilanti, specchi autoriflettentesi, un po’ narcisi un po’ Eco. Un romanzo-carillon il mio – i fatti come lame rotanti, i pensieri come trottole vorticose, e in cima a ciascuna di esse le parole come dervisci tournants sulla capocchia di uno spillo.
Verba volant (come stringhe cosmiche), scripta manent (come quark plutonici). Macchie uraniche d’inchiostro sotto vetro (il display del computer), esprit irenico, platonico, ironico, forse iranico (Zarathustra?). Particelle elementari, staccatesi da un magma incandescente e filanti senza direzione e senso. Pensieri e parole coagulatesi in stringhe cosmiche (anche comiche), corde vibranti del mio pluriverso (canone inverso): stringhe aperte sull’universo per connettere le estremità di pensieri a folle, stringhe chiuse sull’introverso per accalappiare idee occhieggianti dall’ultramondo (il mio castello interiore, l’empireo, la Sophia divina, la Scienza gaia?). Io: the fool on the hill.
 Thriller… Con quanti denti le parole mi mordevano! Ma ciò che più incidevano nel romanzo erano i silenzi: “sguardi senza patria quaggiù, silenzi più remoti dell’uranico vento…” Nondimeno, erano le parole a de-cidere, ad agire, a in-cidere sui miei sentimenti. Sono loro – verba, logoi, loghia, rhemata – a configurare e a dare espressione alla mia necessità interiore (in attesa di trasfigurarla, di trovare la mia ‘dimensione’, la mia necessità più alta – insomma, diventare ciò che sono).
 Vir bonus dicendi peritus? Più che altro, sono un malato – quasi allo stadio terminale – di parole, specie di quelle fatte di silenzio (quanto al bonus ne avrei fatto volentieri a meno. Non voglio sconti, figuriamoci regali…).  Parole silenti. (“Chi parla non conosce. Chi conosce non parla.” È il Tao te Ching a dirlo).
 Dal sottile rumore di silenzio al rombo del tuono (il ‘ruggito’ della scrittura – e poi, come graffia…): come Ildegarda la mistica, sapevo scrutare le viscere della memoria e il ventre dell’universo. E col forcipe dello spirito avevo reciso le sbarre dell’anima. 
Il terribile era avvenuto.
(da Nietzsche: sneakers o tacchi a spillo? Inedito).

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