TUTTIFRUTTI
Sempre più si parla, a ragione o no, di ‘deriva’ fascista e populista:
fosse anche solo per un un pour-parler da
radical-chic sopravvissuti al
Sessantotto – che quasi nessun giovane d’oggi
sa cosa sia stato (il mio popolo
perisce per mancanza di conoscenza – e visione. Dall’Antico Testamento ).
Insomma, dalla rive droite e rive gauche (che io ho vissuto in prima linea, dal vivo, nel pieno del Sessantotto e i due-tre anni successivi, in bilico tra i due fronti – diciamo in ‘terza posizione’, o posizione ‘meta’) all’odierna deriva parolaia: vanità delle vanità, fuma fuma... Fosse solo aria fritta! Ci sono anche i
frutti guasti, i fatti e i misfatti – il velo d’Iside (e del "Grande Fratello" – 666) offusca ormai la
realtà del mondo globale e locale: il burka (mentale e spirituale) è
ormai dovunque, sopra al
colto e all’inclita.
Insomma, ora non si parla d’altro: del nulla, e, per i più colti, di banche, di Isis (prima
almeno c’erano gli Oasis) e di Renzi e Boschi, risorti dalle ceneri. Tuttifrutti.
Parole
parole parole… E i fatti? Sì, qualche volta ci
sono: moltissima gente vuole dire la sua, sardine, triglie o scorfani che
siano, ma sembra mancare un’Idea – ci resta solo l’Ikea.
Come tanti altri anch’io ero diventato schiavo della
tendenza al nido Ikea. Se vedevo qualcosa di ingegnoso, come un tavolinetto a
forma di Yin Yang dovevo averlo... sfogliavo quei cataloghi e mi chiedevo quale
salotto mi caratterizza di più come persona […]
Con l’insonnia nulla è reale. Tutto è lontano. Tutto è
una copia di una copia di una copia […] È solo dopo aver perso tutto che siamo
liberi di fare qualsiasi cosa.
(da Fight Club).
È solo dopo aver perso tutto che siamo liberi di fare
qualsiasi cosa. Che dire… in questo periodo insonne (ma sembra che il ‘sonno’
dilaghi) nulla è reale, tutto è immagine: ma non nel senso di in me magus
agit, ma in quello di tutto distorto,
distratto, velato.
Usciamo dal nostro orticello, dalla nostra ‘comfort zone’! Sleghiamoci la testa e perdiamo tutte le nostre certezze: è solo dopo aver perso tutto che saremo liberi di fare
qualsiasi cosa.
È ora di andare al di là del velo: fermiamoci un attimo e ascoltiamo
il nostro Dio. Caliamoci dentro di noi,
recuperiamo la nostra essenza e guardiamo in faccia la realtà: tutto è
parola.
Chi sa
parlare meglio governa il mondo. E allora impara anche tu a parlare!
A proposito di parole,
e di buoni propositi, ecco un breve stralcio da un mio romanzo alla Fight Club.
Diapason, flauto,
arpa, siringa… Ago che inietta vita: senza strumenti musica nuda la parola
produce.
Fatti e misfatti. Verba volant (et volunt). Sì, il linguaggio che si fa
parola, la parola che si fa atto: “nessuna cosa è dove la parola manca”
– questo uno dei miei motti preferiti (soffiato a Heidegger, ma da lui
stillato, con ‘cura’, da ‘Das Wort’, poesia di Stefan George – lingua vergine,
‘virgo mater’ del sacro cerchio). La parola che ‘nomina’ le cose, le
contrassegna, le crea. “Basta la parola…”
Parola coessenziale all’azione. Parola in movimento, in divenire, in
estasi. ‘Versi intessuti’, ‘carmi circolari’, parola in cammino. Parola
‘attiva’. Più che ‘parola’, ‘verbo’, azione
che si attende una re-azione.
Action now. Parola ‘dinamica’,
scoppiettante. Parola che grida quando più tace. Parola che canta, sussurra, piange.
Nella parola balugina la spiritualità dell’anima. E questa si fa corpo. Per
accoppiarsi e poi scoppiare. È la
parola che dà sostanza, essere, alla ‘res’. Logos lex: la parola è legge. Logos
rex: la parola è re, anzi ‘regina’, e di questo ‘logos’ sono schiavo, servo
della Parola.
‘Suona’ la parola la malvestita realtà… Parolibere
ancheggianti, ossimori frenati o rutilanti, specchi autoriflettentesi, un po’
narcisi un po’ Eco. Un
romanzo-carillon il mio – i fatti come lame rotanti, i pensieri come trottole
vorticose, e in cima a ciascuna di esse le parole come dervisci tournants sulla capocchia di uno spillo.
Verba volant (come stringhe cosmiche), scripta
manent (come quark plutonici).
Macchie uraniche d’inchiostro sotto vetro
(il display del computer), esprit
irenico, platonico, ironico, forse iranico (Zarathustra?). Particelle
elementari, staccatesi da un
magma incandescente e filanti senza direzione e senso. Pensieri e parole
coagulatesi in stringhe cosmiche (anche comiche), corde vibranti del mio
pluriverso (canone inverso): stringhe aperte sull’universo per
connettere le estremità di pensieri a folle, stringhe chiuse sull’introverso per accalappiare idee occhieggianti
dall’ultramondo (il mio castello interiore, l’empireo, la Sophia divina, la
Scienza gaia?). Io: the fool on the hill.
Thriller… Con
quanti denti le parole mi mordevano! Ma ciò che più incidevano nel romanzo
erano i silenzi: “sguardi senza patria
quaggiù, silenzi più remoti dell’uranico vento…” Nondimeno, erano le parole
a de-cidere, ad agire, a in-cidere sui miei
sentimenti. Sono loro – verba, logoi,
loghia, rhemata – a configurare e a dare espressione alla mia necessità interiore (in attesa di trasfigurarla, di trovare la mia
‘dimensione’, la mia necessità più alta –
insomma, diventare ciò che sono).
Vir bonus
dicendi peritus? Più che altro, sono un malato –
quasi allo stadio terminale – di parole, specie di quelle fatte di silenzio
(quanto al bonus ne avrei fatto
volentieri a meno. Non voglio sconti, figuriamoci regali…). Parole silenti. (“Chi parla non conosce. Chi conosce non parla.” È il Tao te Ching a
dirlo).
Dal sottile rumore di silenzio al rombo del
tuono (il ‘ruggito’ della scrittura – e poi, come graffia…): come Ildegarda la
mistica, sapevo scrutare le viscere della memoria e il ventre dell’universo. E col forcipe dello spirito avevo
reciso le sbarre dell’anima.
Il terribile era avvenuto.
Il terribile era avvenuto.
(da Nietzsche:
sneakers o tacchi a spillo? Inedito).
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