BEAUTY FORM
La Grande Bellezza (undercover)
“Gli dèi hanno abbandonato l’uomo ed il mondo ha perduto il
suo incanto.”
Ma Roma non perde il suo incanto: Raggi o non Raggi, è sempre
irradiata d’intramontabile bellezza – ma
anche di montante rabbia.
In tempi di disincanto – lo cunto de li cunti – dobbiamo
arrabattarci con i barattoli dello sbaraccamento quotidiano (sempre meno
vestiti di marca, sempre più cibi in via di scadenza, sempre più bollette
scadute) e dello stravaccamento dei media. Se Barack è il passato e Trump è il
presente (glissando sui meriti o demeriti), qui da noi le baracche – in senso
reale e simbolico – crescono, ma anche le “trombe”, i trombettieri e i trombati
che vogliono tornare a suonare (non solo Renzi).
Sempre più vacche
magre: siamo ormai nella «notte in cui tutte
le vacche sono nere» – le riflessioni dei media su ciò che accade intorno a
noi si rivela una speculazione incapace di cogliere la contraddittorietà e
complessità del reale, senza peraltro riuscire a cogliere i bagliori del futuro
(e nemmeno del presente). Non parliamo dell’”oltre”...
Eppure, inoltrandoci negli Holzwege, i ‘sentieri del bosco’ di cui parla Heidegger, i sentieri interrotti che, pure, portano alla Lichtung (la luminosità improvvisa),
prima o poi raggiungeremo la ‘radura’ dell’esistenza autentica.
Nondimeno, più è buio, più rifulge la bellezza. E questo vale, soprattutto,
ora – anche se non è l’età dell’oro, semmai del ferro (ormai arrugginito: vedi l’ILVA
di Taranto, già capitale “aurea” della Magna Grecia) o del silicio (Silicon
Valley e siliconate varie e avariate). D’altronde, “I Vangeli e il
Manifesto del partito comunista sbiadiscono; il futuro del mondo appartiene
alla Coca-Cola e alla pornografia” (Nicolás
Gómez Dávila).
Eppure, “è sufficiente che la bellezza sfiori appena il nostro
tedio, perché il cuore ci si laceri come seta tra le mani della vita.” (sempre
Dávila).
Vi blocco… Non vi voglio parlare della “Grande Bellezza” di
Sorrentino, ma di bellezza tout court. Il
mondo, scriveva ne «L’idiota» Dostoevskij, sarà salvato dalla bellezza. Una profezia che sembra ormai essersi
rovesciata, stando a tanta bruttezza, non solo fisica, che ci circonda. Perché il culto della bellezza – sfruttata dal mercato, amplificata
dai media, ostentata dal potere – produce un mondo che non è mai stato tanto
brutto – direbbero in molti. Ma io non sono d’accordo: c’è ancora tanta bellezza e tanta
se ne produce ancora.
Secondo il filosofo Sergio Givone il rapporto che la nostra
società ha con la bellezza è: «Ossessivo e compulsivo, direi. A tal punto da
ritenere che solo ciò che è bello abbia valore, sia degno di essere apprezzato,
comprato, votato. Siamo tutti vittime di questo abbaglio. Perché si tratta di
un’idea di bellezza vuota che si concretizza nel trionfo del brutto. In questo
senso, più che salvare il mondo, la bellezza sembra averlo condannato».
Ma come si è imposta una simile ideologia?
«La bellezza muore quando
perde il legame con ciò che è buono e con ciò che è vero. E se non è più
capace di fare cenno ai valori etici e morali diventa un guscio vuoto, appunto,
qualcosa che inseguiamo solo per affermare noi stessi».
Ma cos’è la bellezza, qual è il suo significato più
autentico?
«È la cosa più inutile
che esista, ma di cui non possiamo fare a meno. Senza bellezza perdiamo la
nostra umanità, siamo ridotti allo stato di natura. E come insegna il mito
biblico della caduta, lo stato di natura non è affatto il luogo da cui
proveniamo, bensì quello in cui siamo stati cacciati. E dal quale perciò
dobbiamo uscire. Ecco, la bellezza è lo
scarto che c’è tra lo stato di natura e quel “di più” a cui siamo chiamati per
essere davvero uomini. La bellezza è l’ideale che ci ricorda che non siamo
fatti per vivere come bruti. È per questo che gli antichi la legavano al Bene e
al Vero. Noi l’abbiamo dissociata».
E l’arte contemporanea come vive questo tradimento?
«Rifiutando la bellezza e tutto ciò che a che fare con l'armonia,
la composizione luminosa, l’immagine. Penso a Beuys, che raccoglie delle pietre
e le scarica sul pavimento: non perché scelte in base a qualche criterio
estetico, ma in quanto pietre e basta. Oppure a Rothko, con il suo imprigionare
frammenti di luce dentro a una tela nera che li inghiotte».
Non abbiamo dunque
scampo dal pensiero unico di una bellezza autoreferenziale?
«Non tutto è perduto, anche
perché la bellezza si dà in molti modi. Non esiste infatti solo la visione
occidentale di proporzione formale, la
bellezza può essere anche ad esempio pensata come bellezza del gesto: nei
giardini giapponesi l’idea è quella di intervenire senza che l’intervento si veda,
lasciando che la natura faccia ciò che deve. Altre forme di bellezza non
ossessiva si affacciano nella nostra esperienza quotidiana, penso al piacere
che proviamo nel servire una cena come si deve, nel disporre i fiori nel vaso
in un certo modo. Il bello ci seduce e
ci guida sempre, anche se noi lo tradiamo di continuo».
(dall’intervista di Fabio Cutri a Sergio Givone – Corriere della
Sera del 3 maggio 2008).
Ed ecco qualche mia considerazione.
La bellezza dev’essere mostrata, ostentata (nel senso di
‘ostensione’ e ‘di ‘osculum’ –
bacio), della bellezza se ne devono fare dei poster immaginari da avere sempre
davanti agli occhi.
“Devi creare delle belle sensazioni e renderle intense e creare
delle sensazioni motivanti e renderle intense. Devi farti immagini grandi,
grandissime, non delle stupide immaginette minuscole e indistinte. Quelle non
sono buone basi di una vita motivata, e con delle buone basi puoi vivere una
vita davvero forte.” (Richard Bandler).
Prima di andare avanti, una sosta, sempre nell’ambito della
‘bellezza’ (la scrittura, se tale – non come semplice movimento della mano – è
essa stessa bellezza). È fuori tracciato, ma, heideggerianamente, porta, su
“sentieri interrotti”, alla lichtung (la
‘radura’ dell’esistenza). Consideratelo un beau
geste letterario – non certo l’unico.
Ci incontriamo agli
angoli delle strade. Poi saliamo nelle stanze e chiudiamo le finestre.
Spegniamo le luci e accendiamo le nostre passioni. Col forcipe dello spirito
recidiamo le sbarre dell’anima e liberiamo i nostri corpi. Stiamo in silenzio.
Nessuno sforzo. Notti di marzo…
Ci incontriamo negli
autogrill. Poi ripartiamo e torniamo nelle nostre alcove. Scendiamo solo per
accendere l’aurora. Circonfusi dei suoi raggi, ci incontriamo al buio di case
ignote alla città – centrali, periferiche, ma sempre lontane dal cicaleccio
urbano. Gridiamo. Con strazio. Albe di
marzo…
I luoghi che
attraversiamo, che ingoiamo, sono sempre più reali, nella loro cupa irrealtà
quotidiana. Luoghi dell’anima in città senz’anima. Spazi muti tra suoni vuoti,
angoli dello spirito in cucine del ventre. Lì pasteggiamo a pane e champagne.
Bisbigliamo. Nessuno sfarzo. Mezzogiorni
di marzo…
Apriamo le finestre
alla luna, le chiudiamo al sole, ma cerchiamo la luce. A volte piangiamo, a
volte ridiamo, a volte danziamo, ma la sapienza è sempre la nostra compagna. E
da camerata spavalda ci dà gran pacche sulle spalle e buffetti sulle guance.
Combattiamo. Senza ambasce. Sciamiamo. Senza angoscia. Filiamo la tela.
Facciamo follie. Andiamo a folle. Giorno e Notte.
(dal mio “Nietzsche:
sneakers o tacchi a spillo?” – inedito)
Qualche altra citazione o selfie (auto-citazione):
Questi amanti
incorporei s’incontrarono, un cielo nello sguardo, cielo dei cieli a ognuno il
privilegio di contemplare gli occhi dell’altro. (Emily Dickinson)
«Sì, il primo
attributo che Dio ha duplicato di sé nell’uomo è la bellezza. Essa riassume
tutto: essere, divenire, libertà. La bellezza è apollinea – ossia, statica (se
così si può dire) – ma anche dionisiaca, in movimento. E ci sono civiltà
dionisiache e altre apollinee, come sosteneva Ruth Benedict, l’antropologa. E
anche individui dionisiaci e apollinei. Ma anche né l’uno né l’altro. E così,
non solo varia la concezione e l’applicazione del Bello, ma c’è chi ne è
completamente all’oscuro. Al buio. Ma la Bellezza è luce! È mistica ed
ebbrezza, suono e silenzio: la bellezza è lo specchio del divino. È la vera, inconfutabile,
dimostrazione dell’esistenza di Dio! E qui ti cito, non solo Urs von Balthasar,
ma pure il ‘tuo’ Jonathan Edwards. Detto papale papale – e qui il teutonico si
sciolse in una risata mediterranea – la bellezza vivifica, la bruttezza
deprime. La bellezza copre una moltitudine di peccati…»
Arianna, fino ad
allora stupita al punto da rimanere inabissata nel silenzio più tombale,
riemerse dall’avello, ruppe la guaina e, svelta, impugnata l’elsa, sfoderò il
miglior doppio taglio (anche una bellezza sfolgorante).
«I primi cristiani
mostravano la buona novella coi fatti. La bellezza doveva prendere il posto
della bruttezza. Il buono era, di necessità virtù, bello. I cristiani
apostolici e post ripristinavano, a parole e coi fatti, la bellezza, l’armonia,
anche quando all’apparenza sembrava dissonante, dodecafonica. Guarivano le
malattie e scacciavano gli spiriti. Tutti sintomi, lo si ammetta o no, della
bruttezza. Combattevano gli ‘orchi’ con l’esorcismo (in seguito subentrarono le
favole, oggi gli psichiatri e la tivvù). Lo psichiatra Scott Peck, bontà sua (o
per bellezza), ha riscoperto il diavolo e l’esorcismo (non che fossero mai
andati in pensione, specie il primo). Entrambi brutti, il primo a ‘vedersi’, il
secondo a farsi. Ma quest’ultimo è un male necessario. Anche se da scacciare
(il Male. Sì, inseguiamolo – visualizzazione creativa – fino a stancarlo e poi
ammazziamolo. Oppure, finiamolo al primo colpo. Siamo o non siamo figli di Dio?
Ma qualche volta occorre camminare al suo fianco, oppure osservarlo
tranquillamente dalla propria ‘finestra’, come si guardano i passanti: prima o
poi volterà l’angolo…).»
Arianna continuò per
la sua strada. Voltò solo pagina.
«Il Brutto è dentro e
fuori di noi. “Rimarrai tu sola. Bellezza è Verità. Verità è Bellezza…”»
(Dal mio “Gocce di pioggia a Jericoacoara”)
Sì, per dirla con John Keats, verità è bellezza.
Chiudo con un passo di Céline citato nel film (Sorrentino me
l’ha scippato – scherzo… – dal mio “Prendi la PNL con Spirito!”):
«Viaggiare è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione. Tutto
il resto è delusione e fatica. Il viaggio che ci è dato è interamente
immaginario. […] è dall’altra parte della vita»
Insomma, dalle beauty farm alla Beauty Form...
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