sabato 28 marzo 2020

MORULE


MORULE

In questo periodo così virale (tra coronavirus e messaggi virali) riposto l’incipit del mio inedito (e incompiuto: come i grandi scrittori…) “Nietzsche: sneakers o tacchi a spillo?”. C’è l’incontro-scontro tra i “poveri di spirito” e i “ventri molli” (e grassi). Come #ashtag: #tuaregneldesertochecresce

C’incontriamo agli angoli delle strade. A coppie, a grappoli, a stringhe sempre meno sottili. Cresciamo all’ombra dei portici, come batteri, morule, embrioni di future miriadi: angeli sparsi in cerca di paradisi possibili.
Siamo le membrane plasmatiche del centro e delle periferie urbane, giunzioni occludenti il vuoto delle menti e delle anime, teurgi plastici in cerca di corpi da rigenerare. Col forcipe dello spirito recidiamo le sbarre dell’anima e liberiamo dai ceppi impazienti i dèmoni dormienti. I nostri e gli altrui.
Senza addomesticarli li mandiamo allo sbaraglio tra i ‘petits bourgeois’ della ‘comédie humaine’ (dèmoni versus demòni: slitta l’accentazione, cambia l’eone). Randomizzati vagano impacciati ma indomiti nelle piazze, nelle case, nelle menti, nelle paludi del caravanserraglio globale – dove sbuffa Behemot, gingillo degli dèi e trastullo dei titani, e striscia il Leviatano, un po’ biscione un po’ caimano.
Bariamo sui numeri (ma nel frattempo cresciamo a dismisura), saltiamo sui corpi, puntiamo sulle anime (e lo spirito? Sotto sale). Ci arrampichiamo sui muri, scivoliamo nei sottotetti, glissiamo sui salotti buoni. Ma verrà anche il loro turno – tour e retour.
E allora, che aspettate? Il turn-over? Tornite e guarnite le tartine al caviale, la pallina sta per fermarsi! Là bas.
Rien va plus. Il gioco si fa duro. E scivoloso. Ma dolce è l’attesa (meno le doglie). Arde il rovo, la voce chiama… “Siate caldi oppure freddi: ma i tiepidi li vomiterò nella Geenna.” Caos calmo, ciechi spasmi, miasmi cosmici: l’universo attende con ansia l’epifania teandrica – non sa cosa vuole, ma vuole qualcosa!
Alta marea: la terracquea arena è lì che aspetta, vociante, torbida, ondeggiante. Bassa marea: nella platitude vacua vaticina torpida la platea (e non è il Vaticano). Ogni tribuna e tribuno è in tiepida attesa di un messia o di una miss (tutto fa brodo – questa la voce del mondo). “Ah, se Erostrato il grande li ghermisse e facesse assaggiare a tutti i tiepidi il caldo estremo che raggela!” (la cultrea voce dal profondo).
E noi? Infine nudi nello spirito, ancora paludati nell’azione, palestrati nell’animo  continuiamo a nasconderci nelle segrete latebre delle lubriche piazze affollate. Per poi sbucare alla Kubrik nelle strade bucate e imbucarci, zampillanti e ludici come eroine zompanti, tra gli zombi nei corridoi sussurranti – riservando ai gorgoglianti portici le nostre residue ore aliene (è lì, nelle gallerie urbane, il nostro brodo di coltura).
Tuareg nel deserto che cresce, effimeri panici al galoppo, ossimorici lunatici grondanti gelide passioni; cammelli sgobbanti, leoni reboanti, fanciulli vocianti investiti da folate di sottile silenzio: questi noi siamo. L’ultimo uomo è appena nato e una donna sta per ucciderlo.

N.B. Avrei potuto mettere l'immagine delle morule, ma ho preferito i delfini...




2 commenti:

Anonimo ha detto...

Leggerti è come entrare in un mondo caotico di parole che se tradotte in musica suonerebbero come quelle moderne composizioni dove note dissonanti si alternano a classicheggianti melodie che rasserenano la mente e il cuore;stati d animo momentanei che vengono subito dopo aggrediti da suoni ancora più caotici. Cosi sembrano essere le tue narrazioni impetuose e spesso dal significato indecifrabile. Allora devi fermarti, devi rileggere e riflettere per capire il significato o il messaggio oltre le parole.Poi ti accorgi che non hai bisogno di una traduzione comprensibile perché come ogni bravo artista tu crei le parole che danno forma, ritmo e significato ai tuoi pensieri. La tua arte sta nel saper creare parole con la stessa abilità di uno scultore che scolpisce la sua scultura. È come se ogni tua parola venisse da te ripescata
dal fondo di una coscienza senza tempo. Di conseguenza il tuo stile è unico, originale. È come una musica dodecafonica, quella musica che ti fa visualizzare la vita frenetica di una società immersa in una sorta di nevrosi collettiva. Leggerti mi riporta alla mente j. Joyce e il suo strano modo di narrare fatti, personaggi, emozioni. La musica delle tue parole, lo stile del tuo scrivere , del tuo raccontare, è un arte unica, perché il piacere della lettura sta proprio in quel fraseggio ritmato, in quella combinazione artistica di parole assemblate con lo stile pittorico di un inconfondibile Picasso.




Anonimo ha detto...

Ciao Nicola ho letto il tuo scritto ho commentato. Ma non ho scritto il mio nome. Sono Elena Quidello