lunedì 15 febbraio 2021

HOMO IMAGO DEI (prima parte)

HOMO IMAGO DEI

(prima parte)

Oggi, sempre pescando da Gocce di pioggia a Jericoacoara, ecco qualche perla di Teologia (con un po’ di sabbia).

Come al solito il dialogo sottende (o intreccia), al di sotto del chiacchiericcio quotidiano, contenuti “esistenziali” di vario genere, per il colto e l’inclita.

    Don’t matter what I do… La radiolina portatile sversò il suo contenuto (la ragazza che nel passare sfiorò le loro teste era – incredibile a dirsi – evidentemente anche lei a corto di iPod), facendo regredire di un ventennio Lorenzo. Quando, sparapanzato sulla sdraio, col libro di rito a proteggerlo dal cicaleccio di bordo piscina (olimpionica, quella della Pugnochiuso doc), galleggiava tra le righe cartacee e le onde degli Style Council, increspate dal vento dell’altoparlante, per poi annegare tra i marosi dei Prefab Sprout e i cavalloni degli Everything but the girl, risucchiato dai gorghi dei mitici Smiths al suono delle ‘sirene’ degli Swing Out Sisters (con la charmant Corinne, the only girl) o dei giulivi Bronski Beat (tra ‘sophisti pop’ e soul funky, che tempi… altro che banali gli anni ‘80! – almeno riguardo alla musica).

   «Torniamo a galla, small town boy – Gaia risalì con nuove perle –, non dimenticare che quella di Adamo era una original blessing – uso qui la terminologia di Matthew Fox – che da allora sempre convive con l’original sin. Noi siamo sì vasi fragili, ma anche immagine di Dio, icone del divino. Ricorda il detto rabbinico: “Fate strada, fate strada, fate strada all’immagine di Dio…”»

   Ancora un'altra breve sosta, un bacio volante e…

  «Ben presto Israele abbandonò il regime teocratico, non trovandolo di suo gradimento, preferendo sottostare a una monarchia umana, ritenuta (a torto) meno severa e (non sempre a ragione) meno influenzabile. Dio, però, sempre sensibile ai bisogni dell’uomo, individuò un compromesso tra i Suoi desideri e quelli umani. Dio è infatti un Dio in progress (che convive col Dio in stasi, il ‘divino fondamento’). Un Dio in estasi… E un Dio di relazione. È il divino Eros. Un amante geloso, ma che sa perdonare. Un Dio goloso, sobrio, ebbro, ma mai esoso. Leggiti Amos e Osea. Anzi, tutti i profeti. Troverai un Dio carne e sangue. Un Dio che soffre della lacerazione del tessuto cosmico, dello strappo tra Lui e noi. Tocca a noi ricucire, suturare la ferita. Ma non con le nostre opere, perché infetteremmo la piaga… Piuttosto, con la fede, con la conoscenza – quella intuitiva, ‘gnos(t)ica’ – con il nostro sì al Suo appello, alla Sua grazia, alla Sua misericordia. A dir il vero, Gesù, squarciando la ‘cortina’ del ‘tempio’, ha ricucito lo strappo cosmico, ma i tanti piccoli strappi individuali, le piaghette, quelle che rischiano di andare in suppurazione, tocca a noi, con la nostra fede, ricucirle. Ma è Lui a donarci la fede. La fede è un regalo. Tempo di regali e di sorrisi sinceri. Cristo ci attira a sé e noi dobbiamo farci cullare dalle sue onde. Non cercare di andare controcorrente (almeno nello Spirito, quanto al mondo sta a noi scegliere), se no rischi di affogare. E poi, sai lo sforzo… In ogni caso, Lui ci porge la sua mano. Lui va controcorrente (Dio può andare anche contromano – a fari spenti, occhi chiusi…). E ci corre incontro. Ma ci vuole liberi. Per questo, in un certo senso, Dio è ‘distaccato’ dal mondo. Ci lascia liberi, ma c’è la sua ‘cura’. C’è ‘relazione’. Per usare un’espressione di Giorgio Tourn, pastore e pensatore valdese: “Per noi, uomini e donne, Dio è il massimo della relazione con il minimo della costrizione.” Dio ci vuole liberi, fa sì che le cose evolvano nella libertà, ma …c’è la sua cura (non mi stancherò mai di ripeterlo). C’è un logos dietro lo svolgersi dell’esistenza. E passione, istinto, pulsione. Anche la cosiddetta ‘evoluzione’ è frutto più di inter-relazione, trama, che di lotta. Il pathos di Dio è il ponte gettato tra Eternità e Tempo. Lui è sceso nel Tempo, vive fuori di noi come Re e tra noi come esule. Dio è nato in esilio… Dio è sia gloria, Kether, sia abbassamento, kenosi. È immanenza divina: Shekhinah, la ‘veste divina’ che ricopre la sua ‘gloria’, che altrimenti ci abbacinerebbe… Vive fuori dal Tempo, nel Tempo e col Tempo. Sempre triplice! E fuori dal ‘tempio’…»              

   Gaia aveva fermato le lancette del tempo.

   «Ebbene, Dio fece, ancora una volta – salto triplo –, una scelta teo-democratica: il Regno di Dio si sarebbe insediato tra gli uomini nella forma più democratica possibile e a capo ci sarebbe stato Suo figlio, dapprima in forma umana, poi…»

   Poi, improvvisamente, la gaia fanciulla frenò di colpo e imboccò un ‘tratturo’.

   «”L’uomo è due uomini contemporaneamente: solo che uno è sveglio nelle tenebre e l’altro dorme nella luce.” Gurdjieff ti ha insegnato che l’uomo vive in uno stato di sonno ipnotico (oppure, sveglio nelle tenebre, per dirla con Gibran). In una condizione di meccanicità, in ogni caso, sempre sotto l’influsso dell’accidente che ne condiziona l’agire. E solo acquisendo la consapevolezza del suo vivere dormendo sentirà l’esigenza di svegliarsi. Questo è possibile, dice Monsieur G., solamente con opportuni shock, ai quali, però, l’uomo finisce presto con l’abituarsi: quindi, se non è sostenuto da un’apposita guida, finirà col dormire di più e meglio di prima, magari convinto di essere sveglio… Ebbene, qui c’è più che Gurdjieff, c’è Gesù, il mio Monsieur G., e il suo Regno della libertà e della consapevolezza; c’è lo Spirito Santo, e il grande oceano dove tuffarsi per risvegliarsi e tornare ‘vivi’ sulla terraferma…»

   La lectio divina non era però ancora conclusa. Di nuovo sulla strada maestra.

   «Tu sei ancora all’interno di te stesso, come racchiuso dentro una sfera. Ora la vedi concava. Appena ne uscirai fuori, la vedrai convessa. Solo allora le tue mani scorreranno più facilmente sulla tua vita, sul mondo, su ciò che ti circonda e che tu circonderai. Occorre che tu, Lorenzo, esca fuori di te per poi rientrarvi e ritrovare la tua essenza: in questo modo vedrai sia il concavo sia il convesso. Sì, occorre che tu abbracci e che ti lasci abbracciare. C’è bisogno di un cambiamento di punto di vista – cambiamento ‘locale’ – e poi di un cambiamento ‘modale’, di attitudine: è necessario che ti spogli della tua personalità e – te l’ho già detto, citando Eckhart – corra nudo verso la Verità. Che ti ricordi di Dio, che ritrovi Dio nel profondo del tuo essere, una volta annientata la mente-computer. Con quest’ultima, cui da tempo, troppo tempo, hai coabitato, non fai altro che separare, contrapporre una cosa all’altra. Invece, tutto è collegato, l’uno è trino, e la trinità riassume e ricapitola la molteplicità. Se l’Islam, come sai, è unità senza diversità, il Postmoderno è diversità senza unità. Entrambi navigano a vele spiegate, ma sono fuori rotta e, quando vi rientrano, è solo perché si rimettono, sia pure inconsciamente, sui binari della trinità, o comunque della molteplicità dell’Uno: pensa solo al Sufismo, o alla stessa Qabbalah…»

   Gaia fece dei buffi gesti, mimando divertita un accenno di danza orientale.

   «Nell’Islam, forza della ragione, malgrado alcuni picchi di spiritualità, tutto è centrato sulla potenza e la volontà di Dio, dell’uomo sull’uomo. Certo, non è in sé religione di violenza (se non nelle derive ‘fondamentaliste’), ma di sottomissione. È religione del Libro, della Parola, eterna e non creata, lì dove il Cristianesimo è più ‘corposo’: la sua Parola non è tanto la Bibbia (solo scrittura ispirata) quanto una Persona, un Uomo: Gesù Cristo. Sì, il figlio di Dio e fratello dell’Uomo, il boss che serve… (sia nel senso che è ‘utile’ sia che è ‘a nostro servizio’). Per l’Islam il Corano è il fine, Muhammad il mezzo, mentre per il Cristianesimo è Gesù lo scopo ultimo: la Bibbia è solo il mezzo (ma senza il terzo – lo Spirito Santo – resta lettera morta). E poi, è vero che Allah è Dio di giustizia e pietà, ma quello che manca nell’Islam (salvo le tante eccezioni dei credenti bona fide o sufi e simil-sufi) è l’Amore. Non l’amore particolare o generale, quello c’è, eccome, ma quello relazionale, nel senso più profondo. Un Dio ‘monade’ non è in grado di amare, se non da lontano (manca di vere relazioni) e, non essendo Egli un Dio-persona, neppure noi, fatti a Sua immagine, saremmo persone… Sembra duro, ma la verità è una roccia! Nel secondo caso, il Postmoderno, la de-costruzione porta alla distruzione di ogni valore certo e, quindi, alla mancanza di stabilità: tutto è disintegrato… Ma ciò impedisce – gli uomini e le rovine, ti cito il tuo amato Evola, ma non dimentico Spengler e Guénon – di avanzare lungo la via verso lo Spirito: solo l’individuo assoluto, sciolto ma integro, non disintegrato ma differenziato, può dissolversi in Dio pur restando intero. Come dice Raimon Panikkar (al risentirne il nome Lorenzo iniziò quasi a levitare, e anche un po’ a lievitare), l’esperienza di Dio richiede il nostro intero essere e il nostro essere intero. Per iniziare o riprendere questo ‘percorso’, occorre dapprima rilassarsi, ‘svuotarsi’. Tu pensi troppo, Lorenzo, è importante che tu sospenda, anche traumaticamente, l’attività della mente, che tu mandi alla discarica i pensieri: solo così si apriranno i centri sottili, il tuo vero cuore, la tua essenza…»

   Gaia si alzò, levò le mani al cielo e, dopo un attimo di sospensione, le impose sulla testa di Lorenzo:

   «Entra nel Soffio, nella Ruah, nel Vento...»    

 


 

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