lunedì 1 febbraio 2021

LOVE IS A LOSING GAME


           LOVE IS A LOSING GAME

Come afferma Goleman, le emozioni sono attitudini fondamentali nella vita. Dall’interazione tra sfera affettiva (un’emozionalità che abbraccia l’’altro’, che da monade ti fa diade – tertium nioon datur? Chissà…) e dimensione cognitiva nasce l’individuazione della persona come essere-nel-mondo. Ogni distorsione o rallentamento in questa dinamica rende l’essere umano, non solo statico, ma gettato nel mondo. Nondimeno, con Heidegger, l’uomo, nel suo esser-ci (dasein) è sì “gettato nel mondo”, ma ha la potenzialità di ri-progettarsi continuamente, di interrogarsi sulla vita e sulla morte, sull’essere e il nulla.

“La capacità di entrare in sintonia emozionale con un’altra persona, ovvero la capacità di essere empatici, implica di conseguenza il saper cogliere queste coloriture affettive che accompagnano tutta una serie di atteggiamenti ed espressioni individuali, non codificabili verbalmente e razionalmente. Come un antico detto insegna, “l’occhio è effettivamente lo specchio dell’anima.” (Aldo Carotenuto, Il tempo delle emozioni). È quello che, senza che ciò implichi necessariamente innamoramento (o friendship with benefit…), possiamo chiamare empatia o, nella PNL, rapport.

Quindi, il requisito della realizzazione interiore, ovvero dell’elicitazione (estrazione) dell’essenza, è in antitesi con quello dell’Ego: se quest’ultimo ha un atteggiamento di difesa, di resistenza, o chiusura a riccio, le caratteristiche dell’essenza (il vero Sé) sono, invece, l’apertura, la condivisione, l’amore… L’amore spiana il cammino all’essenza e a quella che è la lampada al suo piede: l’intuizione, ossia la potenza cognitiva. Non solo, ma sviluppa l’empatia, ossia l’esperienza dello stato di coscienza altrui: il fatto che si possa sperimentare l’esperienza di un altro Io diverso da se stessi. L’empatia è un sentire dentro, un patire dentro, un sentire insieme, una compassione interiore e reciproca.

Fermandoci alle tecniche PNL (un’empatia ‘contrattata’, per così dire), all’’empatia (rapport), ottenuta con il ‘rispecchiamento’ e l’’imitazione’ (mirroring e matching) – quindi, dopo aver assecondato il ‘cliente’ (“andando al passo con lui”: leading) – segue il ‘ricalco’ (pacing). Ultimo punto – last but not least – da osservare è l’ecologia, cioè la verifica conclusiva che la persona stia agendo in totale rispetto con se stessa (ossia con il suo sistema di credenze e valori).

Mirroring/matching, pacing e leading: la Programmazione Neuro Linguistica, con questi termini, intende mettere a fuoco il work in progress della relazione terapeutica (o del percorso di peak performance). Il mirroring e il matching indicano il “farsi analogo” con l’’altro’, il pacing l’andare a braccetto col paziente/cliente (coachee, counselee), l’assecondarlo, lo stargli dietro, mentre il leading indica il guidare, il condurre il coachee su una strada ‘piana’, breve, con eventuali scorciatoie, verso il traguardo prefissato (goal). Questo, ossia lo stato desiderato, è l’obiettivo del percorso ‘strategico’: che venga prima il pacing o il leading, non importa. Nella realtà terapeutica o ‘strategica’ non è, infatti, così chiaro o univoco distinguere le fasi di rispecchiamento e mimesi da quelle di assecondamento e guida. Le modalità del dialogo terapeutico (o counselor-counselee, coach-coachee) sono infatti in continua, e personalizzata, evoluzione: sovente il coach dà luogo a una sorta di improvvisazione clinica o ‘strategica’, pur seguendo un protocollo di base, o, quanto meno, delle linee guida.

N.B. Il counselor ‘consola’, il coach ‘incita’: il primo si cura, prioritariamente, del problem solving; il secondo, soprattutto del goal setting (stabilire obiettivi e favorirne il raggiungimento).

Ma torniamo, dalla prosa, alla poesia. Stabilite, innanzitutto, questo rapporto empatico, emozionale, affettivo, passionale (con tutti i benefit possibili…), ma andate anche dentro (e dietro) lo specchio… Troverete l’immagine ideale di voi e la spinta propulsiva verso un effettivo élan vital (slancio vitale). Ed ecco, quindi, delle “pillole di vita” – o perle? non dite cozze… – tratte dal mare magnum del mio Gocce di pioggia a Jericoacoara. Sono prosa e poesia, corpo e anima: lo spirito a far da guida.

Marinai erranti! Frammenti d’antiche stelle! Voi mari dell’avvenire! Inesplorati cieli! A tutti i solitari ora getto l’amo: date risposte all’impazienza della fiamma, catturate per me, pescatore su alti monti, la mia settima, estrema solitudine!”

[…]

Love is a losing game. Gli anni erano passati (anche neri – black is back), ma non invano, con i loro andirivieni, tornanti, toboga e bungee-jumping. E con le tracce mnestiche ancora a pelle E ora erano ridiscesi (loro e i loro anni, gli ‘anta’), ma sulle vette, con tutte le fibre dei loro corpi ringiovaniti pronti alla fusione nei ripristinati amplessi d’amore, tra scabri colli e verdeggianti valli. Vedette (lombarde, toscane, pugliesi…).

Vette spianate, colline, dune, giardini. Battesimo di corpi, comunione di anime, cresima di spiriti, unzione. Trinità e unità. Doppia, triplice ‘unzione’. Sulla strada di Elia ed Eliseo, sulla via Emmaus, lontano dal viale di Eliogabalo.

La via di Babalon l’avevano intravista, ma di svista. Babilonia pure (New York. Roma, ancora no). La porta del cielo si era aperta. E via a ogni sensazione, a tutte le emozioni possibili (beninteso, positive). Epidermiche, tattili, duttili. Granitiche. Stalattiti e stalagmiti. Evoluzione della specie.

Polo positivo e polo negativo. Entrambi in pole position. Dalle vette apollinee scivolarono poi negli abissi di Venere. Speziati, impreziositi, spretati. Anche un poì spietati. Volendo dirla alla ‘iki’ (senza dimenticare le atmosfere alla Prevert e, perchè no, alla Baudelaire – con Anna K. a guardare), erano in tre nella stanza: una rosa, una bottiglia di champagne e …loro due.

“Non pretendete che gli altri comprendano l’unione dei vostri corpi nel piacere né la compenetrazione delle vostre menti e dei vostri spiriti. Chi non ha fatto questa esperienza non può capire: non cercate di spiegare perché le parole non servono…” Ashley Thirleby e il suo Tantra avevano facile gioco sulle parole. Anzi, le speziavano ancor più. Specie in momenti come questi. Cosmoteandrici, pentecostantrici, ostetrici. Parole fluide ma corpose. Liquide, pronte a imbucarsi in ogni recesso, in ogni andito. Parole ‘cesaree’, corsare. Ma occorreva spaziare oltre. Andare al di là dell’adyton. Verba volant. Ci volevano i fatti. Terra terra. Dissotterrati, spianati, sbucciati. Sbucati dalla memoria akashica.

“Vi furono mai nozze come queste? Un paradiso li ospitava e cherubini e serafini furono i rispettosi invitati.” Come languide anguille, i corpi avvinti si contorcevano, accasciati, avviluppati, atterrati, approdati, ora affioranti, ora imbucati. Efflorescenti, vividi nel loro calore. Intumescenti. Quasi colorati. Cariche e scariche. Arianna e Lorenzo sapevano il fatto loro. E lo facevano. E non avevano un attimo di tregua. Nessuna sosta nel giardino di Eden alla Emily (Dickinson), solo il battito del diapason. La notte era in stand-by (l’alba aveva fatto marcia indietro).

Abbandonati in un intimo, chiuso, abbraccio; aperti l’uno all’altra. Con la vocazione all’alto (e l’uno per l’altro. Senza terzi incomodi o convitati di pietra – semmai di spirito). Dischiusi all’eros che si fa voce, pur nutrendosi di silenzio. Rarefatto, evanescente: la gola che cominciava a schiarirsi e l’ugola che iniziava a vagire.

I respiri in sincronia, tra movimenti asimmetrici eppur combacianti. Ogni chakra aperto al flusso delle energie d’amore. Ars amandi, sinergia delle emozioni e dei feromoni. Un uomo, una donna. Vaghi, vaganti. Vaghe stelle dell’orsa. Maggiore e minore (mai uguali. E se uguali, diversi). Due voci. Concerto a voce sola. Infine, l’urlo.

“Amare è sentire la pressione del corpo assente contro il proprio.” (Anna K. Valerio, sempre lei a infierire, l’orca assassina, mai anoressica – tutta Iki, per grazia, con grazia.) Garcia Lorca e arca di Noè. Sesso: un sasso nello stagno. Fuori dalla palude, in mare aperto, tra correnti e gorghi rotanti. Un rodeo.

Ormoni e sinapsi, gli uni rilasciati, le altre connesse e moltiplicate. Duplicazione degli effetti, l’affetto a fette. E dappertutto, fitte. L’ossitocina a fiotti, affettiva, complice, duplice, semplice. Supplice. La dopamina alle stelle, cupida, pronta ad accopparli (accoppiati lo erano già, corpo, mente e spirito: tre per due).

Il cervello sessuale aveva ormai preso il posto del cervello bradipo. L’epifisi: schiusa. La ghiandola pineale: fusa (sempre più ‘liquida’). I movimenti: sempre più veloci, dopo l’apparente parentesi. Ognuno il prolungamento dell’altro.

Lui e lei in ogni declinazione, coniugati dal qui e ora, apparentati dalla rinnovata familiarità e dalla resuscitata complicità. E poi di nuovo frammentati in un arcipelago di membra alla ricerca l’uno dell’altra, l’una dell’altro. Ricongiunti infine, a formare una sola grande isola. E il letto a fare da piattaforma continentale.

 

 

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