BEAUTIFUL
Beautiful. Sì, questa volta un termine semplice come titulus e incipit del post. Come al solito, mi affido all’ispirazione del momento e all’alea (il ‘dado’) che il Destino (la ‘maschera’ di Dio) mette in gioco nel qui e ora: l’Io è il Chronos, il Tempo; il Sé è l’Aion, l’Eternità.
Getto il dado e su YouTube esce More & More di Joe. Casualità? Sì. D’altronde, il Caso è l’app che Dio usa quando non vuole farsi riconoscere…
Sì, beautiful. Lascio Anatole France, da me remixato, e tiremm’ innanz’.
La Grande Bellezza. Tu che mi leggi sei bello/a (kalos kai agathos direbbero quelli dall’arya fine…). Sei bello/bella sempre di più. More & More. Forse anche perché in te c’è lo spirito del bellum – lotta, combattimento –, nel senso di ‘fuoco’, ‘energia’; anche se i venti pestilenziali che vengono dalle contrade dei ‘bruti’ – le paludi maleodoranti dei social – cercano di spegnerlo, soffocarlo, ridurre tutto in cenere.
Ma tu che segui questo mio percorso di ‘iniziazione’ (scrittura creativa, Kultur, Weltanschauung), saprai ben orientarti nel bosco in cui sei entrato/a uscendo dai sentieri battuti dalla solita gente. Lì, inoltrandoti tra i ‘sentieri interrotti’ di heidegerriana memoria, dopo aver scelto il ‘sentiero meno battuto’ (Frost), troverai la ‘radura luminosa’.
D’altronde, “meglio il bosco che l’asfissia civile, meglio la battaglia che una pace da salotto.”
Quindi, non arrestarti, non voltarti indietro (la moglie di Lot diventò una ‘statua di sale’), non ti far sopraffare dalle circostanze; e soprattutto, non volgere le spalle a me, pensando che forse… No, non c’è forse. E poi io non tradisco (semmai traduco – trasporto – su altre ‘rive’).
Grazie a questo percorso – torna eventualmente indietro: rileggiti i post passati – supererai ogni difficoltà (per perfezionarti leggi il mio romanzo e i miei saggi/manuali).
By the way, ecco un assaggio di parole danzanti, da derviscio rotante.
Un ossimoro in itinere, more & more, tra il dolce e l’amaro, ma schietto, brut, senza ibridi (se ci sono, solo per hybris). Orgoglio senza presunzione: Adamo ed Eva ancora nel giardino. Sneakers o tacchi a spillo, mai tacco barzotto. Fantasia, gioco, passione, emozioni; l’illogico e l’inesplicabile; l’ebbrezza e il sogno. E soprattutto, fou rire…
E poi, dopo i sons, le lumières: monocromatiche, qualche dissonanza di tono, un digradare di nuance, una gimcana di stili tra il cosy e il rude. Ma ecco, blow-up, una Marilyn di Mimmo Rotella a parete – la mansion è tutta un tocco d’artista. Al suo fianco, disinvolta, una granslam: polittico luminoso di torce in alluminio dal gioco infinito di luci up and down.
Molto bianco e nero – tra horror vacui e horror pleni –, niente Manson (né massoni): la magione è da AD, ma più casual e radical-choc. Uno spumeggiante brindisi di brand, griffe, graffianti logo in un dialogo ininterrotto. Un luogo loco.
Una maison architecturale, non solo una ‘macchina per abitare’. Un pensatoio, un thinking tank. Adatta alla mission. Un digesto di arts and crafts, tra gli anni ’50 di Gio Ponti e il terzo millennio di Jean Nouvel. Ma con una stimmung ‘originaria’: “… la conchiusione del perimetro perfetto di un tempio greco … tra la vegetazione lustra di umori, e dove ogni umore cede il passo alla santa pietra del sacro…”
Vento di buone nuove, echi del buon tempo perduto. Intermezzi di colori sfuggenti o forti (pensiero debole e Nietzsche a tutto spiano, complice la cultrea Anna, sempre lustra di umori), tra il sexy e il romantico concettuale: un elisir di dolce vita – anche un po’ vida loca – contro l’ottundimento dei sensi.
Poco bling bling, malgré tout: molto charme, brut, asciutto, minimal. Più Dharma che Karma (ma la K tira…). Minima moralia e calligrafia erotica. Calligrammi all’Apollinaire nell’aria e trame lettriste sulle pareti. Tra respiri d’Olimpo e sciacqui nel Gange (e tagli di Blade Runner). In sciamanica attesa della presa di coscienza (nell’anima), dell’analisi (nella mente) e di una strategia (con il corpo).
Di colpo la stasi. Solo pochi istanti di souplesse temporale, poi il ‘solve’ continuò la sua alchimia: i pensieri divorziarono dalle parole, le parole dai suoni, i suoni frantumati annichilirono nel grande vuoto pneumatico. Iniziò il ‘coagula’.
Amplitude, ciselure, anéantissement: una debordante situazione lettrista. Oltre il surreale, già postmoderna. Azzeramento di ogni valore e sua riconversione. Bouleversement psichico ed esistenziale. Creatività pura, figurazione libera, arte spicciola. Dérive e détournement. Ipergrafia, iperfonia, décollage e body art. Soulevement de la Jeunesse.
Tornò giovane. E ne approfittò. S’introdusse nottetempo all’interno di case in costruzione, per poi infilarsi, insieme ad altri ribaldi come lui, in palazzi in demolizione. Colorò i muri. Percorse, in autostop, senza tregua e senza meta, la città invisibile. Infine, nel bel mezzo dello sciopero dei trasporti pubblici, si buttò a capofitto nel traffico dell’ora di punta, senza casco e strafatto di vodka. Ubriaco e impasticcato, errò lucidamente nei cunicoli sotterranei della Grande Mela, in cerca di coccodrilli albini (e del verme). Trovatone uno (un alligatore delle Everglades, verde mela), se lo caricò di peso in macchina.
Poi, a motore spento (era al verde), per sgravarsi dei sensi di colpa cominciò a scorrazzare, a fari anch’essi spenti, nel ventre (molle) della città obesa. Un botto. I suoi occhi si riaprirono, cisposi: tra un battito di ciglia e l’altro, vide due torri crollare…
Cambiò sala nel multiplex della sua mente. Altro scenario, altri attori. Dal fantasy al reality. The show must go on. Dal film d’essai al film della sua vita. Più breve. Se lo vide tutto d’un fiato, fino ai titoli di coda. Film in bianco e nero, con pezze a colori (a voler essere pessimisti: in realtà, a voler essere ottimisti, era tutto a colori, sia pur sbiaditi). Mucca pezzata: nera e rossa (e lui così ‘nero’ da diventare quasi ‘rosso’: una corsa da toro infuriato tra i birilli bianchi, una dozzina di capriole – con le corna – poi, finalmente il salto nell’abisso).
Sul grande schermo davanti agli occhi sempre più spenti – verso la realtà esterna, ma a fari accesi sul castello dell’anima – di Lorenzo, ormai regista e produttore.
Finito il film, cominciarono a scorrere i nomi degli attori… Suoni in décalage, dissolvenze, solve et coagula, la serata comincia a ingranare: Diana mi sgrana tutto il parterre (chi impiedi pour parler, chi fané sugli oblunghi e profondi sofà tra il dannunziano, lo sherazade e il divin marchese). Manca solo Vittorio, arriverà a momenti (sì, ci sarà pure lui, ce ne saranno di battaglie…).
Le premesse ci sono tutte: Bataille a braccetto col mondo di Sofia, filosofia siderale tra rumori di fondo del quotidiano, azione (action now) e reazione – creatività irrisolte che si sovrappongono e si ibridano in cerca di una nuova forma. Siamo qui per questo (con indosso gli anfibi, anziché “completini Luisa Spagnoli e mocassini dal tacco barzotto.”).
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