martedì 16 marzo 2021

PUGNOCHIUSO DREAMIN’

PUGNOCHIUSO DREAMIN’

Siamo esseri istupiditi e balzani, stranieri a noi stessi, agli altri, al mondo dello spirito...

  Lorenzo, abbandonato momentaneamente Panikkar, il teologo dell’ossimoro, aveva riallacciato il flirt con Laing, lo psicologo dell’esperienza (il suo libretto sessantottino gli sembrava più consono alla lettura a gambe incrociate). Aveva, cioè, definitivamente lasciato cadere l’intenzione di fare ginnastica yoga, dopo le continue e fastidiose distrazioni, tra le onde dell’etere (walkman e radiolina) e quelle eteriche (o astrali, o checché esse fossero). Finalmente, era tornato al suo stato primordiale. Lui era lì per rinchiudersi nel suo mondo autistico.

   Si ritrovò, inaspettatamente (ed era vero: la sua indole era ben diversa da quella del bagnino), vicino alla ragazza. Strano, non l’aveva proprio vista. Certo, gli dardeggiava la mente – I wanna rock you…: Alicia Keys dall’altoparlante della vicina piscina gli rinforzava mentalmente l’immagine di Gaia, e con un vigore per lui inusuale – ma quanto a vederla… Poi, all’improvviso, eccola materializzarsi dal nulla. Fino a quel momento – Lorenzo era in quel di Pugnochiuso da sabato (Gaia, idem) – ciascuno di loro aveva fatto un viaggio diverso: niente del villaggio che potesse turbare Lorenzo e Gaia, soli con loro stessi, i loro libri, le loro meditazioni (e, soprattutto, i loro pensieri, blu o rosa che fossero).

   Le sirene di Pugnochiuso – resort elitario negli anni ’70 e ’80, ora più ‘democratico’ – suonavano a vuoto per loro, sordi e invisibili. Specie poi per Lorenzo: era questo il primo settembre che vi andava da solo, senza Arianna, né Davide e Marzia; l’occasione giusta (anche se non ci teneva proprio) per un inventario esistenziale (era l’ennesima volta che se lo ripeteva). Era il momento del ta’wil, del “ricondurre ogni cosa alla sua fonte”, al suo archetipo, alla sua realtà vera. E di uscire dalla sua comfort zone – la ‘familiarity zone’: la bolla protettiva o ‘torre d’avorio’ in cui il ‘genio’ cattivo (il suo Io ‘pisolo’) lo aveva recluso, e in cui vegetava poltrone e gongolo – per cercare di ritornare nella ‘foresta’ della sua gioventù ribelle (un po’ Jünger un po’ Jung, senza dimenticare Crosby, Stills Nash & Young). E riprendere, indomito e ‘risvegliato’, il ‘sentiero interrotto’ (questo un po’ Heidi, un po’ Heidegger – ultimamente anche un po’ Gisele Bundchen e Heidi Klum) del suo viaggio verso la vita autentica. E riflettere, senza flettere…

    “Sì, lui era un architetto di belle speranze, tutto casa, studio, salotti (qualche letto), moglie-collega di taglio sartoriale ‘haute couture’, figli da boutique del Corso, da tirar su a bottega...” Tutto regolare, all correct. Ma ecco il surprise party. Spremi (meccanicamente) l’arancia e… Fight club.

   Una riflessione a muso duro su quel loro ovattato mondo (agli occhi di chi conosceva Lorenzo e famigliola), confezionato su misura: asettico, quasi privo di emozioni, senza carne né sangue… Sotto il vestito niente. Ma, Eyes Wide Shut, pieno di ‘maschere’ e di ‘buchi’ (anche i buchi dell’essenza: i vuoti esistenziali di cui parla l’Almaas dell’Approccio del Diamante, una delle ultime scoperte del camaleontico e leopardato Lorenzo tuttifrutti). Buchi magari nascosti sotto la lingua o tra le dita dei piedi. Piccoli e grandi ‘vuoti’ in cui si era infilato, prima in fase asintomatica, poi conclamata, l’Aids – questa volta con la maiuscola – della gelosia (a sanatoria) e dell’orgoglio ferito. Ma anche mondo non privo di sorprese (buone, e tante), iniziative (anche migliori), viaggi (liberatori): un’oasi di Engaddi nel deserto di Sin (nel senso di sin – peccato – e di peregrinazione quarantennale nel deserto dell’esistenza). Anzi, più di un’oasi: un bosco, quasi una foresta...

   Solo che Lorenzo ricordava, dopo lo shock pre-settembrino, unicamente quest’ultimo, il deserto.

    Fatto quest’ennesimo viaggio eterico, di pochi secondi (ma sembrava fosse durato almeno una decina di minuti), Lorenzo uscì dalla sua turris eburnea. Diede fiato alle trombe e, crollate le mura di Gerico dei suoi pensieri (e cascate con esse le ‘scimmie’ che zompavano nella sua mente – e più cercava di scacciarle più gli saltavano in groppa), fu riportato definitivamente – e finalmente! – alla realtà dallo sguardo di Gaia, voltatasi verso di lui nel bel mezzo del suo ultimo volteggio cerebrale.

     Uno sguardo d’intensità per lui nuova – e che certo non si sarebbe aspettato, visto il flop del bagnino –, il quale sembrava preludere a un imprevisto tête à tête. Atteso da tempo (con qualcuno che appartenesse al suo pacchetto d’onde spirituali). Cercò di rinforzare quest’ultimo pensiero – amore infedele – per scacciare dalla mente Arianna, e in parte ci riuscì.

     Del resto, è dolce la stagione della raccolta, quando il guardiano è lontano.

    Stupita, ma non troppo, dall’improvvisa vicinanza di un estraneo, Gaia sciolse l’asana del loto (i due si erano ritrovati nella stessa posizione, quella preferita dai ‘contemplativi’) e, lo sguardo sempre più nuovo, all’esordiente perplessità dell’Eva colta in fallo fece seguire un sorriso complice. E addentò la mela...

     “E come dicono piacesse a una fanciulla svelta il pomo dorato che le tolse l’impaccio della sua ritrosia, mi piace.” Di morso in morso, sempre più vicino al torsolo… Lorenzo, dimentico della Genesi (e memore di Catullo), clonò il suo sorriso: solo allora si rese conto – forzando un po’ i tempi – che due incontri casuali in così breve tempo facevano bingo (più che ambo) nel campo delle leggi statistiche (che lui ben conosceva, da un esame marginale del suo excursus universitario) e che, per l’ennesima volta, si accingeva a rientrare nell’accidentato territorio di Jung e delle sue sincronicità. La situazione non era però impilabile in quella della piscina: l’intreccio di libro e gambe configurava uno scenario ben diverso.

    «Conosci Laing? Mi riferisco a erredì Laing (Lorenzo calcò intenzionalmente sulle iniziali R. D. per giocarci un po’), il guru della pazzia...» Lorenzo non riuscì a trattenersi dall’arrotare la erre: una radical-sciccheria un po’ démodé, se si vuole, ma la ragazza valeva ben una messa (...in moto, di ogni sua risorsa). 

   «Sì, certo: Ronnie, il guru “strizza e mordi”: beh, sai, la posizione del loto stimola!» schioccò la bionda coinquilina (del fazzoletto erboso).

   «Touché!» lui di rimando.

   Scagliata la prima pietra, il tempo di un respiro, fatta una breccia nella muraglia, il nostro cominciò ad avvolgere (come non era solito fare) l’inerme fanciulla nelle sue spire. E lei, fanciulla svelta, sospirando (nel suo intimo), tolse l’impaccio della sua ritrosia,

   Ormai il contatto era on – l’anglicismo è qui d’obbligo in onore di Ronald – e la luce si accese su (e in) entrambi. Non particolarmente vivida, ma più che sufficiente a illuminare per una decina di minuti il percorso tra lo psicanalitico e lo spirituale che si era inaspettatamente avviato, complice Ronald David Laing, il guru scozzese dell’antipsichiatria, il mentore di Lorenzo. 

    «Di Laing, e parlo del ’68 – che qui da noi era poi il ’69, l’anno ‘sottosopra’ del mio debutto in una bollente Firenze (e dintorni, Pisa soprattutto) –, mi aveva colpito soprattutto il suo approccio esistenzialista. Mi sembrava quasi un Sartre più nauseato del solito, ma ciò che più mi attraeva era il suo côté metafisico, spirituale, al di là del velo.»

    Il fiotto delle parole fu quasi orgasmico. Lorenzo poteva, finalmente, permettersi di parlare alto.

    Era da un bel po’ di tempo che non usava il sermo compositus per titillare e avvincere, se non convincere, gli interlocutori (le ultime frequentazioni di casa-chiesa-lavoro – gente spesso alla buona o ground zero – e quel che rimaneva dei suoi cerchi di amicizie avevano abbassato il suo ‘tono’). Lorenzo amava la varietas e la mutatio. E riusciva a passare, in un battito d’ali, dal sublime al terra terra (con un effetto ‘farfalla’ che poteva scatenare uragani polemici anche al di là del suo ‘cerchio’ – li aveva sperimentati soprattutto nel decennio ‘politico’ ’68-78). Così in alto così in basso (e viceversa). Ma quel che più detestava era l’analfabetismo culturale, il balbettio o la logorrea senza ratio pneuma. E i palloni gonfiati. Ma soprattutto, i talenti sotterrati. Non riusciva proprio a comprendere come si potesse vivere senza cultural literacy. Lui valutava le case, e le persone, dalle loro librerie…

    «Certo, Laing. Se non fosse stato per lui, anch’io sarei rimasta al muto cicaleccio quotidiano. Oppure, all’happy hour, al brunch, al grunge... Niente di male, per carità. C’è il tempo per i voli pindarici e quello per le scivolate e le bischerate (qui Gaia toccò le corde del Lorenzo alla fiorentina, già a mezza cottura…). C’è il tempo per il rock e per il lounge, per il trash e per il fashion, per il dolce(vita) e per la gabbana… Poi, un paio di anni fa, il turning point: volli, non solo conoscere, ma sapere. Penetrare nelle cose. Scandagliarle, coglierne l’essenza. Pistis e Sophia, fede e sapienza. Ed ecco che, in un incidente di percorso, andai a sbattere contro Ronald. Se sei pronto, il maestro non si farà attendere… E lui mi venne incontro. Come ti ho detto, più che un incontro, fu uno scontro. Uno sgambetto, un colpo a tradimento. Un deragliamento dal binario delle mie robotiche certezze. Prima robuste, poi indebolite. Se non fossi inciampata in Ronnie, avrei continuato a bighellonare tra vetrine e display, tra summercard e scatto alla risposta. Oppure sarei rimasta in sosta, al palo o da velina (il massimo immaginabile, ma c’è pure il minimo…), in quel grande parco-macchine che è il mondo. Magari girando e girando in cerca di un posto… Una gogo girl tra tanti gogo boys. Ma lui era dietro l’angolo e mi colpì alla testa.»

   Gaia finse di massaggiarsi la tempia destra (il ‘cervello destro’?) e continuò la corsa, premendo l’acceleratore.

    «Un libro. Sì, è stato proprio un libretto a cambiarmi la vita. A introdurmi in nuovi territori, inesplorati. Con strani abitanti. A farmi navigare su mari lontani, e pericolosi. Una cosa tra le cose, un volume affondato nell’oceanica biblioteca di Babele di questo caotico cosmo quotidiano (un caos calmo, una platitude…). L’ossimoro che si fa emozione, lo squalo tigre della ‘persuasione’ contro la ‘platessa’ della ‘rettorica’ – mi riferisco ovviamente alle ‘categorie’ di Michelstaedter, che tu certo conosci – la bellezza che dà ossigeno all’anoressica realtà… Insomma, quel libretto – un po’ ‘rosso’ un po’ ‘nero’, a suo modo ‘stendhaliano’ – è stato per me una flebo di vita ‘autentica’ per disintossicarsi dalla tisica quotidianità. Un libro trans contro l’anossia dell’esistenza. Un libro trans-formante: mi portò in trance. Diciamo pure in sindrome di Stendhal. Spruzzi e sprazzi di vernice spray sul muro bianco della mia vita (anche se ho letto da qualche parte che “L’uomo è un foglio bianco, su cui l’ambiente e la società incidono delle linee precise). Insomma, La politica dell’esperienza, il libro che tu ben conosci, trovato per caso (ma il ‘caso’ è il ‘cacio sui maccheroni’ della quotidianità) su una bancarella di libri usati, fu proprio una mazzata. Una scossa, in particolare la sua chiusa: “Se solo potessi convertirvi, condurvi fuori dalle vostre meschine menti, se potessi comunicare con voi, allora sapreste.”  E io seppi, ma non mi fermai lì, andai oltre…»

    Solo un attimo di sospensione, e poi la stoccata finale.

    «A proposito, se incontri il maestro, abbraccialo, bacialo e poi… uccidilo.»

Dal romanzo tuttifrutti “Gocce di pioggia a Jericoacoara”.

 


 

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