IL CAOS HA PARTORITO LA SUPERSTAR DANZANTE
Fermate il mondo, voglio scendere...
La terra continua a tremare, qualcuno
trama nell’ombra e qualcun altro fa squilli di tromba...
Ci sarebbe fin troppo
da dire sull’attuale situazione, nazionale e mondiale, fra Trump, Hillary,
Matteo, May (un pot-pourri alla Harry Potter), ma non voglio unirmi al coro:
sarei una voce stonata. Piuttosto, in attesa di iniziare un percorso “pratico”,
con una serie di argomentazioni-lezioni sulla “crescita personale” ancorata alla realtà contemporanea (quella dell’”uomo cablato”, in rete), ripesco un
articolo scritto per un blog di architettura (d’altronde, questo blog nasce principalmente come blog d’architettura), in quanto lo ritengo ancora attuale: le considerazioni escono dal territorio dell’architettura e si inseriscono nei meandri della contemporaneità, di questo tempo "liquido" ma in via di condensazione.
In
ogni caso, per chi mi segue, resto sempre “sul pezzo”.
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IL CAOS HA PARTORITO LA SUPERSTAR DANZANTE di Nicola Perchiazzi pubblicato il 20/01/2009 | |
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”La verità non
è venuta nel mondo nuda, ma è venuta in simboli ed immagini: il mondo non la
riceverà in altra maniera. C’è una rigenerazione e un’immagine di
rigenerazione. Ed è veramente necessario che si sia rigenerati attraverso
l’immagine…” (dal Vangelo di Filippo)
“Gesù disse loro: Quando farete di due uno e quando farete che l’interiore sia come l’esteriore e l’esteriore come l’interiore, e ciò che sta sopra come ciò che sta sotto, e quando farete che maschio e femmina siano una sola cosa, così che il maschio non sarà maschio e la femmina non sarà femmina, e farete che occhi siano al posto di un occhio, e una mano al posto di una mano, e un piede al posto di un piede, e un’immagine al posto di un’immagine, allora entrerete nel Regno.” (dal Vangelo di Tommaso).
Verità,
simboli, immagini… L’architettura è la ‘materializzazione’ (tekton)
del ‘principio’ (arké), è il ‘rivestimento’ dell’’idea’ (la verità).
E come si sa, l’abito non serve solo a proteggere dal freddo, ma è anche
‘esibizione’ di sé… È quindi naturale (è nella natura delle cose) che, a
fronte di tanta architettura (o solo ‘edilizia’) ‘organica’ o comunque
‘etero-referenziale, ci siano “architetture auto-referenziali, egomaniache,
de-contestualizzate, sempre diverse le une dalle altre, ma tutte eguali
nell’impossibilità di poter trovare un criterio di giudizio se non di tipo
esclusivamente individuale” (Pietro Pagliardini in “LPP:Star-system da bocciare? Si, forse, anzi no”, su De Architectura).
Architettura ‘bella’, architettura ‘brutta’? È nella natura delle cose… Il problema è che, mentre un vestito lo si può togliere o eliminare tout-court, l’architettura ha anche, e soprattutto, un corpo e l’eliminazione del suo ‘vestito’ quasi sempre non risolve il problema: l’impatto visivo e la risonanza di un ‘fatto’ di architettura ‘disturbante’ può avere effetti, non solo sul singolo passante o utente, ma anche, e soprattutto, sull’immagine e sull’idea di città.
Ed ecco che il genius loci,
sempre in allerta, può reagire rigettandola, e questo a livello subliminale può incidere negativamente in chi frequenta certi luoghi,
sommandosi così al ‘disturbo’ percettivo e ‘somatizzandolo’. L’unico fatto
positivo, sempre alla Kevin Lynch, è che un’architettura ‘esibizionista’ può
fungere da riferimento e orientamento, essendo un oggetto dello
spazio velocemente identificabile anche a distanza.
Fatto è che l’architettura è soggetta anch’essa all’unità triadica, e per questo conflittuale, tra Io, Super-Io ed Es, ossia tra continuità (Super-Io) e discontinuità (Es) nel tempo e nello spazio (integrazione o dis-integrazione nel tessuto urbano), con l’Io che dovrebbe fungere da ars combinatoria, nell'arduo tentativo di contemperare la ‘fuga da’ (fuga dalla ‘storia’, dalla ‘tradizione’, dall’’usuale’, ecc.) con l’’accanto a’ (contestualizzazione, integrazione). [è questo il problema delle zone terremotate: costruzione nuova o mimesi dell’antico?]. Diceva Pierluigi Nicolin (in Lotus 1984/2): “L’architettura contemporanea va alla ricerca della figurazione in aperta polemica con l’astrattismo degli anni passati; ma questo avviene in quella circostanza che Lyotard ha chiamato la fine delle grandi narrazioni. Per l’architettura si verifica un’altra più specifica circostanza, che possiamo chiamare la fine della progettazione per modelli (nozione spesso confusa con quella della tipologia). Una fine confermata anche dai progetti di architetti che per essere legati a questo concetto sono costretti dai fatti a realizzare i loro edifici come unità infrante.”
Firmitas,
utilitas, venustas, propinquitas… Fine dei ‘modelli’, destandardizzazione,
unità infrante. Insomma, contestualizzare l'architettura (local) o decontestualizzarla in nome della modernità (global)? E che dire di un’architettura glocal, contemporanea ma inserita nel contesto?
La casa romana fu l’esito di complesse sedimentazioni e di ri-definizione o
ri-orientamento del significato stesso di ‘abitazione’. Ulteriori
sedimentazioni e articolazioni hanno attraversato tutta l’architettura fino a
oggi, in un connubio, non sempre felice ma comunque vitale, tra mythos e logos
(il mito tace, il logos parla). Parole e silenzi, idee senza parole…
Il mito
è il ‘vivaio’ delle idee d’architettura, in quanto racconta sempre la stessa
cosa – essendo la matrice di ogni forma culturale e simbolica, con forte
valenza estetica – ma in modo sempre diverso.
Il logos, logos
endiathetos – discorso interiore – e logos prophorikos (parola emessa, udibile), è il tentativo dell’idea
di farsi ‘fatto’, ‘evento’ ‘avvenimento’.
Il mito è il ‘silenzio’
dell’architetto che, nel farsi parola, provoca la ‘scintilla’ (il ‘fiat
lux’/Big Bang) che muta il Caos in Cosmos (il caos – nel
‘cuore’ dell’architetto, e non solo – partorisce la stella danzante). Ma sempre più
spesso si sentono balbettii, o urla…
Cade il ‘grande
stile’, o lo stile tout-court basato sulla concinnitas (armonia, simmetria,
equilibrio, eleganza, bellezza, proporzione). E si batte la via della
‘dissoluzione della totalità’ e della sua ricostruzione ‘soggettiva’,
caotica, disorganica (pur con la pretesa di puntare a un presunto
organicismo, ossimoricamente disorganico, della natura): ciò può partorire il
‘monstrum’, sia nel senso, latino, di prodigio – i non molti capolavori in
circolazione – o, forse più spesso, di mostro vero e proprio, nel senso
comune del termine.
Ma perché tanti monstra? Dimostrazione di bravura o desiderio di migliorare il mondo? Esibizionismo dal basso o lo Zarathustra che scende dal mondo a portare i suoi doni?
Più che altro, il desiderio dell’architetto
contemporaneo di abbracciare anche nel più breve brano la totalità del mondo.
Se la sintesi medioevale lasciava spazio alla differenziazione (il tutto nel
frammento) e la modernità assumeva la totalità indifferenziata, riflessa nel
progressivo depauperamento e sradicamento dell'individuo (la sua
dis-animazione), mentre il post-modern tutto dissolveva (e continua a
dissolvere), in una tiepida liquidità scongelante, il nostro tempo (post-liquido?
sublimato?) cerca una nuova solidità ‘sublime’ in costruzioni sempre più
decostruite, in un funambolico vorticoso tentativo di ri-creare un nuovo
ordine (s)oggettivo, frantumando così l’idea progettuale in un fantomatico
(fantasmatico, talvolta fantastico) flusso di segmenti di realtà.
In una
società (post)liquida come la nostra l’architettura rischia, dunque, di
perdere la sua ‘solidità’, senza per questo ‘sublimarsi’. Per dirla alla
Spengler: ”idee senza parole è l’unica cosa che garantisce la solidità
dell’avvenire”.
Educare l’uomo è impedirgli la “libera espressione della sua personalità” ‘reagisce’ Nicolás Gómez Dávila, dall’alto della sua ‘turris eburnea’. Nondimeno, ‘incatenando’ l’architetto, ‘educandolo’, si avranno città forse vivibili, ma senza respiro ‘sacro’.
E io, malgré tout, respiro male in un mondo non
attraversato da ombre sacre…
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