SÌ SÌ, NO NO E L’ASINO DI BURIDANO
Oggi parto con una citazione tratta da un
calendario “cristiano”, che leggo quotidianamente (“Più che vincitori”): si tratta del messaggio di ieri, del
quale riporto solo l’incipit, ma tra capo e collo se ne possono già trarre
delle riflessioni.
«Il filosofo Jean Buridan, per illustrare la sua teoria
sulla volontà, raccontò l’aneddoto di un asino che, affamato e assetato in
uguale misura, trovandosi davanti a un fascio di fieno e a un secchio d’acqua,
non riuscì a stabilire se era meglio prima mangiare e poi bere oppure
viceversa, e così morì di fame e di sete.
Da questa storia deriva il modo di dire “fare come l’asino
di Buridano”, per indicare una persona incapace di prendere una decisione. Secondo
Buridan, infatti, la volontà può agire solo quando l’intelletto ha deciso quale
sia il maggiore tra due beni; in caso di parità, l’intelletto non può decidere
e la volontà rimane di conseguenza paralizzata (…).»
Spesso anche noi ci
comportiamo come l’asino di Buridano, e il referendum ha rischiato di metterci
in tale condizione: Sì o No? Ma ne
siamo usciti vivi (fino a che punto?).
Senza sottacere che la conseguenza di una situazione da “asino
di Buridano” è la morte!
Come sapete, non sono
un complottista, ma sono aperto a tutte le possibilità, a tutte le chance, fossero pure le scie chimiche (mai dire mai… e
poi, perché negare, o ammettere, tutto a priori? Non siamo noi pre-condizionati, non è la nostra già
una pre-comprensione, per dirla alla
Heidegger?).
E quindi, potrei pure
concedere la possibilità che tante situazioni, tanti fatti, soprattutto
calati dall’alto, e tante scelte apparentemente libere, altro non siano
che “pre-condizioni” per portarci lemme lemme all’impasse dell’asino di Buridano. Tanto, per l’intellighenzia il popolo, se non è asino, è bue…
Ma attenti, intellighenti, tra i buoi si nascondono i tori incornanti
e tra gli asini i muli scalcianti.
Fatta questa filippica,
tra il serio e il faceto, torniamo al mio tema preferito: le risorse del linguaggio (e infatti, questo vuole essere, soprattutto, un blog di "esercizi di scrittura", pur parlando di ideologia, cultura, architettura, vita...).
Ed eccovi, quindi, un altro estratto del mio inedito (Nietzsche: sneakers o tacchi a spillo? – d’altronde anche il mio romanzo “laureato” nasconde, non poi tanto, un calembour: Gocce di pioggia a Jericoacoara).
Ed eccovi, quindi, un altro estratto del mio inedito (Nietzsche: sneakers o tacchi a spillo? – d’altronde anche il mio romanzo “laureato” nasconde, non poi tanto, un calembour: Gocce di pioggia a Jericoacoara).
Fatto è che chi ha
maggiore ricchezza verbale prospera nella vita (anche i cianciaroni: vanità delle vanità, tutto è vanità…).
Ovviamente, oltre che pura invenzione letteraria (con diversi riferimenti alla realtà, ma molta fantasy), spesso è solo un mero gioco linguistico (non un fumus, però), un modo per uscire dal solito parolaio quotifdiano o uno scilinguagnolo pour parler – anche con parole inventate: qui campeggia il mio neologismo spasmeggianti (anche nevrilmente e nottaiolo non scherzano...), nel mio romanzo ufficiale: modiglianare.
Ovviamente, oltre che pura invenzione letteraria (con diversi riferimenti alla realtà, ma molta fantasy), spesso è solo un mero gioco linguistico (non un fumus, però), un modo per uscire dal solito parolaio quotifdiano o uno scilinguagnolo pour parler – anche con parole inventate: qui campeggia il mio neologismo spasmeggianti (anche nevrilmente e nottaiolo non scherzano...), nel mio romanzo ufficiale: modiglianare.
E soprattutto, un modo per
creare nuovi circuiti neuronali e “vestire” nuove emozioni.
Ma non sempre sotto il vestito niente…
Ma non sempre sotto il vestito niente…
KILLING ME SOFTLY
Uccidimi dolcemente, ma uccidimi… Entra nel rovescio
del mio mondo e affonda il tuo cultro lì dove gli altri hanno fallito. Trascrivo febbrilmente
i loghia onirici, battendo sul tempo i famelici gargoyle del subconscio, spasmeggianti nevrilmente dalla brama
d’ingoiarli nei lenti gorghi amnesici. L’oceano notturno si è ormai contratto
in un’anoressica pozzanghera: solo i vortici di alcuni citri d’acqua dolce – i
sogni che hanno bucato le porte di corno (quelli che verità li incorona
se un mortale li vede) – sono sopravvissuti. V’intingo la mia plume mentale, strappata all’uccello
nottaiolo attardatosi a oziare sullo spoglio ramo dell’ultimo ramingo albero
della fuggente selva dell’oblio e… fandango.
Because the night
belongs to lovers, because the night belongs to lust, because the night belongs
to us… È l’alba, la notte è scappata
coi suoi amanti, i dardi aurorali scippati alla febica faretra hanno colpito a
morte le mie effervescenti passioni ctonie (ma rivivranno allo scoccare della
mezzanotte) e i gendarmi del mattino hanno ammanettato le mie voglie corsare (adieu fuitina stellare con Jessica Alba…
ogni notte un trip diverso). It’s too
late to apologize. Non ho più scuse. Dalla radiosveglia la voce velvet del sempre cool Timbaland mi riporta sulla battigia. It’s too late… Lascio Garden of nights (il Village da dreamer radical-chic – niente
di particolarmente osé: solo Muse e
qualche strip) e mi butto giù dal letto.
Della notte mi è
rimasto solo il sorriso: lentamente passo per l’ultima volta il dito sulle sue
labbra di sogno, prima che si assottiglino e sublimino, impalpabili come labili
fili evanescenti, al balenare delle prime pallide luminescenze diurne. L’eco
narcisa degli ultimi sparsi frammenti onirici cerca invano di raggiungermi, ma
ammutolisce spaurita davanti all’alba sorgiva, sfiatando pudica nel lete delle
memorie fuggitive. No pain no drama:
ho già trascritto le stille essenziali, lascio senza magone le vaghe stelle
dell’orsa.
Il telefono squilla
(l’ultima, definitiva, rupture al
notturno soffitto di cristallo – di lì, rapito, posso mirare l’epifania degli
dèi). Squallida cocotte, vattene per la tua strada… io sono fedele al mio
computer (e pensare che
fino a qualche annetto fa manco me lo filavo…). Lascio a letto i miei
clandestini philosophes prêt-à-porter (nouveaux o anciens, tutti mi fanno il filo, ma io mi
fermo ai preliminari), snobbo la cornetta – di giorno sono fedele – e vado a
tirare.
Slash-flash:
qualche strisciata di piccì, per tenermi su. Inizia
la mia giornata.
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