TRUMP-RENZI:
CHI HA PERSO (PRESO)
IL TRUMP?
LE POST-VERITÀ
Oggi, post-Immacolata,
vi voglio proporre – post-porre mi verrebbe da dire – un post sulle post-verità.
Si tratta di un neologismo derivante dall’inglese post-truth, che, peraltro, l’Oxford English Dictionary ha deciso di nominare parola dell’anno del 2016.
Si tratta di un neologismo derivante dall’inglese post-truth, che, peraltro, l’Oxford English Dictionary ha deciso di nominare parola dell’anno del 2016.
Post-verità? Ma che vo’ di’? È una notizia
completamente falsa ma spacciata per autentica, capace, grazie al suo indotto di rimandi ed emozioni, di influenzare
una parte dell’opinione pubblica. Insomma, una balla.
Balla, sì, la post-verità, ma capace di far ballare. Tuttavia, un dubbio fa
capolino: si tratta di notizie totalmente false, o le post-verità non sono, piuttosto, delle verità posticipate?
Il dubbio si fa poi (post)certezza:
che siano verità, mezze verità o pseudo-verità, le post-verità si dimostrano “verità a posteriori”, capaci di scalzare
le presunte verità a priori: quelle spacciate a spiccioli o a caterve e
ca(s)cate da intellettualoidi mezze-calzette e da mass-mediologi impreparati,
pre(post)pagati o solamente drogati di protervia e hybris (e qui rinvio all’azzeccato
termine – in memoria del nostro post-nonno Adamo – utilizzato da Marco
Travaglio per definire il “peccato di Matteo”). Questo a prescindere dall’unghiata tigresca post-mortem dell’ultimo Renzi alla Baricco, dopo tanti baloccamenti, profumi e balocchi (e con donna Agnese finalmente “al bacio” – l’ultimo bacio?).
In ogni caso, per
illuminarvi sulle post-verità vi ri-posto un illuminante post sgorgato dai
fondali del web (www.loccidentale.it/articoli/143864/tenetevi-forte-la-vera-bufala-e-la-post-verita). Un post fuori dal “luogo comune”: “... forse non lo dici però lo sai ... e quindi sei un recidivo! Ti distingui dal luogo comune ... e vuoi rispondere solo a te ... ti distingui dall’uomo comune.”
Ve lo ri-posto tutto (d’altronde è breve). Ovviamente, per dirla con Vasco, non è per “uomini comuni” (e “bipedi”), ma per uomini (e donne) differenziati – v. anche la contrapposizione tra “persuasione” e “rettorica” in Michelstaedter.
Ve lo ri-posto tutto (d’altronde è breve). Ovviamente, per dirla con Vasco, non è per “uomini comuni” (e “bipedi”), ma per uomini (e donne) differenziati – v. anche la contrapposizione tra “persuasione” e “rettorica” in Michelstaedter.
Infine, onda su onda,
vi post-posto l’incipit di un mio romanzo inedito: qui le immaginarie
post-verità, alla Fight Club, potrebbero
diventare realtà metropolitane; e solo movimenti post-sistema, ma tutto
sommato nel sistema, quali i CinqueStelle e la Lega (a sinistra c’è ben poco), riescono
a frenare le derive post-sessantottine (nel senso di brigate rosse e nere).
Da quando l'Oxford Dictionary ha inserito il termine post-truth,
insieme a Brexit, brexiteer, tra le parole dell'anno, la “post-verità”
è diventata un mezzo per screditare Brexit e l’elezione di Donald
Trump. La post-verità in realtà esisteva anche prima del web: Ronald
Syme in The Roman Revolution ha descritto come, mettendo in giro bugie
di ogni tipo, Ottaviano ottenne dal Senato il mandato per fare la guerra in
Egitto contro Antonio e Cleopatra, per liberarsi così dell’ultimo rivale e
prendersi Roma.
La post-verità è una notizia falsa o una notizia non esatta che,
veicolata dal web avrebbe, secondo alcuni pasionari anti-brexit e anti-Trump,
convinto masse di rozzi e incolti abitanti delle zone rurali del Regno Unito a
votare Brexit, come degli Stati Uniti a votare Trump. Questa strategia del
popolo bue, viene usata anche in Italia contro la vittoria del NO al
referendum: i radical chic considerano Brexit, Trump, il NO del 4
dicembre il risultato del voto dei buzziconi. Invece Niall Ferguson,
storico dell’impero britannico, del capitalismo e della globalizzazione, una
star di Oxford e Harvard, il 6 dicembre ha dichiarato di avere sbagliato a non
sostenere Brexit e a non avere passato più tempo ad ascoltare la gente nei pub.
Parlando al Milken Institute a Londra sul futuro dell’Europa
– come riportano il Daily Mail e Breitbart del 7 dicembre – Ferguson ha
dichiarato di avere sbagliato a non sostenere subito Brexit, perché l’Unione
Europa è stato il disastro che aveva previsto fin dal 1999.
È stata un disastro soprattutto per l’Europa Meridionale,
visto che l’euro ha funzionato solo per la Germania e l’Europa
del Nord. Catastrofica è stata anche la politica di sicurezza europea per l’Africa
e il Medio Oriente, come quella sull’immigrazione, e la Ue non
ha capito niente dell’Islam radicale, perciò è del tutto giustificata la
rivolta della Brexit.
L’Europa in grave crisi demografica – con un invecchiamento
impressionante della popolazione per il quale si prevedono costi sempre più
alti per il welfare, con un’immigrazione incontrollata, e comunque
non in grado, anche se integrata, di essere classe dirigente – è sull'orlo
dell'abisso. Già nel 2015 Ferguson aveva scritto come l’Europa,
afflitta da una lenta crescita, dalla crisi demografica, era destinata al
fallimento. Sul Wall Street Journal del 19 novembre 2011, lo storico aveva
tracciato un quadro a tinte fosche dell’Unione Europea, con gli inglesi felici
in Britannia e italiani e greci a fare da camerieri e giardinieri ai tedeschi
in un nuovo Sacro Romano Impero.
“I media − ha detto
Ferguson − hanno preso Trump alla
lettera, ma non seriamente. I suoi elettori lo hanno preso sul serio, ma non
alla lettera”. Trump, il nuovo Roosevelt secondo Ferguson, ha infatti
stracciato subito il TTP, ha telefonato al presidente di Taiwan per fare capire
ai cinesi che intende ridimensionare i rapporti sino-americani, ha pure
invitato Apple a tornare a produrre negli States: per chi dà lavoro agli
americani ci saranno sgravi fiscali, mentre le imprese americane all’estero
avranno dazi del 35% per le merci in America. Ferguson sostiene quindi la
politica di Trump per riportare il lavoro in America, e la sua politica estera
di alleanza con Putin in Siria e Ucraina.
È cominciata un’età
nuova, forse avremmo bisogno anche noi di
un Niall Ferguson, ma non se ne vede neppure l'ombra.
E ora, dopo questa
(finalmente) lucida e acuta analisi, passo all’incipit, anch’essa “post-verità”,
del mio inedito.
MORULE
Ci incontriamo agli angoli delle strade. A coppie, a grappoli,
a stringhe sempre meno sottili. Cresciamo all’ombra dei portici, come batteri,
morule, embrioni di future miriadi, angeli sparsi in cerca di paradisi
possibili.
Siamo le membrane plasmatiche del centro e delle periferie
urbane, giunzioni occludenti il vuoto delle menti e delle anime, teurgi
plastici in cerca di corpi da rigenerare. Col forcipe dello spirito recidiamo
le sbarre dell’anima e liberiamo dai ceppi impazienti i dèmoni dormienti. I
nostri e gli altrui.
Senza addomesticarli li mandiamo allo sbaraglio tra i ‘petits bourgeois’ della ‘comédie
humaine’ (dèmoni versus demòni: slitta l’accentazione cambia l’eone).
Randomizzati vagano impacciati ma indomiti nelle piazze, nelle case, nelle
menti, nelle paludi del caravanserraglio globale – dove sbuffa behemot,
gingillo degli dèi e trastullo dei titani, e striscia il leviatano, un po’
biscione un po’ caimano.
Bariamo sui numeri (ma nel frattempo cresciamo a
dismisura), saltiamo sui corpi, puntiamo sulle anime (e lo spirito? Sotto
sale). Ci arrampichiamo sui muri, scivoliamo nei sottotetti, glissiamo sui
salotti buoni. Ma verrà anche il loro turno – tour e retour.
E allora, che aspettate? Il turn-over? Tornite e guarnite
le tartine al caviale, la pallina sta per fermarsi! Là bas.
Rien va plus. Il gioco si fa duro. E scivoloso. Ma dolce è
l’attesa (meno le doglie). Arde il rovo, la voce chiama… “Siate caldi oppure
freddi: ma i tiepidi li vomiterò nella Geenna.” Caos calmo, ciechi spasmi,
miasmi cosmici: l’universo attende con ansia l’epifania teandrica – non sa cosa
vuole, ma vuole qualcosa!
Alta marea: la terracquea arena è lì che aspetta, vociante,
torbida, ondeggiante. Bassa marea: nella platitude vacua vaticina torpida la
platea (e non è il Vaticano). Ogni tribuna e tribuno è in tiepida attesa di un
messia o di una miss (tutto fa brodo – questa la voce del mondo). “Ah, se
Erostrato il grande li ghermisse e facesse assaggiare a tutti i tiepidi il
caldo estremo che raggela!” (la cultrea voce dal profondo).
E noi? Infine nudi nello spirito, ancora paludati
nell’azione, palestrati nell’animo
continuiamo a nasconderci nelle segrete latebre delle lubriche piazze
affollate. Per poi sbucare alla Kubrik nelle strade bucate e imbucarci,
zampillanti e ludici come eroine zompanti, tra gli zombi nei corridoi
sussurranti – riservando ai gorgoglianti portici le nostre residue ore aliene
(è lì, nelle gallerie urbane, il nostro brodo di coltura).
Tuareg nel deserto che cresce, effimeri panici al galoppo,
ossimorici lunatici grondanti gelide passioni; cammelli sgobbanti, leoni
reboanti, fanciulli vocianti investiti da folate di sottile silenzio: questi
noi siamo. L’ultimo uomo è appena nato e
una donna sta per ucciderlo.
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