martedì 13 dicembre 2016

VERBA VOLANT (e VOLUNT)



VERBA VOLANT (e VOLUNT)

In un piatto della bilancia colloco i miei odii, nell’altro i miei amori.
E sono arrivato alla conclusione che se le cicatrici insegnano, le carezze anche.

(Mario Benedetti
tratto da Centro Cultural Tina Modotti v. su https://www.facebook.com/nicola.perchiazzi.7 )
Ognuno ha le sue ferite e cicatrici, ma ci sono anche i segni delle carezze...
Perciò, pensa positivo e continua a sognare: ogni giorno porta il suo affanno, ma anche i suoi doni. 

Perciò, Think Positive & Be Happy!

Oggi sono più che mai sintetico e vorrei fermarmi qui, ma la parola mi lusinga, per cui mi allungo, anche se di poco, e torno ai libri (i miei). D’altronde, “nessun vascello c’è che come un libro possa portarci in contrade lontane” (Emily Dickinson).
Ed ecco il “dono” del giorno.

Sentiva nella ghianda dell’anima che c’era something new in the air. Qualcosa di nuovo stava per accadere: su di sé, intorno a sé, dentro di sé, sentiva good vibrations. Sentì vibrare il nucleo, il cuore, l’antro sotterraneo che si celava dentro: un desiderio violento lo pervase, come magma pronto a eruttare che la crosta esterna comprimeva, tratteneva, faceva muraglia tutt’intorno. Bramose voglie in cerca di un significato, aneliti vulcanici, ma spesso degradati a basic instincts senza profondità vitale. 
Nondimeno, dal mondo del sogno – il Tjukurrpa aborigeno in cui spesso si rifugiava, e da sempre (già nel ventre materno – così gli sussurrava l’Io subliminale) – più di una volta era riuscito a tirar fuori il ‘nucleo immaginale immanente’ (frase a effetto esplosa da Lorenzo in una delle conferenze amatoriali del suo periodo rosa), cioè la qualità ‘numinosa’ che lo sottendeva. In pratica, aveva dato corpo (nel vero senso del termine) ai voli della sua immaginazione.
Quel bisogno di creatività, di fuga dal mondo, di fantasie da realizzare, che può creare sia il gigante sia il mostro. Ma Lorenzo non era riuscito a essere né l’uno né l’altro; se non a sprazzi o, nel migliore dei casi, in maniera discontinua, frammentata. Arenato, frenato, appesantito dall’io sociale che non lasciava correre il suo io reale. Eppure la voce tiranna Krishnamurti dixit – gridava...
E come strillava! Munch… Sussurri e grida. Un urlo sul ponte. 
Ginsberg… che urlo! Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche, trascinarsi per strade di negri all’alba in cerca di droga rabbiosa…” Anche Lorenzo arrancava, ma senza strillare. Non più nero di rabbia. Solo frenato. Senza remi, con molte remore. Ramingo.
Freni interni ed esterni. Per rompere i quali, e catapultarsi nella vita, aveva cercato – pensando che fosse lì il problema – d’integrare il puer con il senex (quest’ultimo, in lui, pressoché assente), affinché si riconciliassero e passeggiassero insieme. Ma il fanciullo aveva avuto sempre la meglio.
Aveva, infine (passo decisivo), compreso che il suo malessere esistenziale derivava da un bisogno inespresso di esplorare le contrade del mondo dello spirito, le città invisibili: un mal-essere che solo un rivolgimento completo del suo essere, una metànoia, avrebbe potuto dissolvere.

Parole parole parole, ti verrebbe da dire. Ma le parole hanno il loro perché, il loro come, il loro quando… Ma solo quando (sempre da Gocce di pioggia a Jericoacoara):
il linguaggio si fa parola, la parola si fa atto. “Nessuna cosa è dove la parola manca” – questo uno dei motti preferiti di Galatea (soffiato a Heidegger, ma da lui stillato, con ‘cura’, da ‘Das Wort’, poesia di Stefan George – lingua vergine, ‘virgo mater’ del sacro cerchio). La parola che ‘nomina’ le cose, le contrassegna, le crea. “Basta la parola…”
Parola coessenziale all’azione. Parola in movimento, in divenire, in estasi. ‘Versi intessuti’, ‘carmi circolari’, parola in cammino. Parola ‘attiva’. Più che ‘parola’, ‘verbo’, azione che si attende una re-azione. Action now. Parola ‘dinamica’, scoppiettante. Parola che grida quando più tace. Parola che canta, sussurra, piange. Nella parola balugina la spiritualità dell’anima. E questa si fa corpo. Per accoppiarsi e poi scoppiare. È la parola che dà sostanza, essere, alla ‘res’. Logos lex: la parola è legge. Logos rex: la parola è re, anzi ‘regina’, e di questo ‘logos’
Suona’ la parola la malvestita realtà…


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