L’OCCHIO INDISCRETO
(prima parte)
Ed eccoci, continuando nel “revival”, a un post del 20 novembre 2008.
L’ho suddiviso in tre parti: ecco la prima.
Uno dei caratteri salienti delle società
moderne è la strutturazione di nuove
forme di potere e di controllo sociale fondate su base razionale.
Al di là della razionalità o
irrazionalità di tutti i ‘poteri’ che ci attanagliano (e della loro ‘autorità’
– exousia – dovuta ad ‘autorevolezza’
o a semplice forza – dynamis), fatto
è che essi sempre più sostituiscono quello che era il ‘classico’ potere di
controllo: la religione. Ma di
religione e, meglio (alla Karl Barth), di fede parleremo in seguito; qui
torniamo al ‘controllo sociale’ d’impronta ‘laica’: un autore che su di esso si
è soffermato con occhio attento è certamente Michel Foucault, il geniale profeta
prefiguratore di fenomeni a noi contemporanei, se non riguardanti addirittura
il futuro prossimo venturo.
L’opera in questione è “Sorvegliare e punire”, nella quale
Foucalt studia il ‘Panopticon’,
struttura carceraria della seconda metà del XVIII secolo, ideata, dal punto di
vista architettonico, dall’inglese Jeremy Bentham (che era, peraltro, filosofo,
giurista ed economista).
Il Panopticon era di struttura
circolare, ad anello, con l’alta torre di sorveglianza nell’atrio centrale. Ma
la sua vera particolarità erano le celle: prive di sbarre e catene, si
affacciavano proprio verso l’interno dell’atrio, convergenti, anche otticamente, verso la torre centrale,
dove risiedeva il guardiano. Non dobbiamo però pensare a celle buie, anguste,
con i carcerati rinchiusi e incatenati, bensì a moduli totalmente illuminati,
privi di qualsiasi elemento di costrizione come sbarre o catene (non
dimentichiamoci delle simpatie illuministe del Bentham).
A questo punto può sorgere naturale la
domanda, se questo sistema carcerario fosse sicuro ed efficace. La risposta è
affermativa: il carcerato, in realtà, non
ha catene fisiche, bensì psicologiche – essendo totalmente visibile dal
guardiano della torre centrale, e per di contro non potendolo vedere, è tenuto
lui stesso, in maniera autonoma, ad autodisciplinarsi, nella consapevolezza
che,
se fa qualcosa di illecito, potrebbe essere visto dal guardiano, in qualsiasi
momento.
Il sistema ‘panoptico’ (panottico: pan – tutto; optikòs – visivo) viene utilizzato, non solo per i malviventi, ma
anche per affetti da turbe psichiche, malati in gravi condizioni fisiche e,
addirittura, gli scolari indisciplinati (il maestro unico?).
Il Panopticon ha grande effetto
nell’ambito dei rapporti sociali: è un fenomeno decisamente nuovo, realizzato per
la prima volta in Inghilterra nella seconda metà del XVIII secolo. E il potere
dell’effetto panoptico era talmente efficace da definire queste nuove carceri
non più ‘case di sicurezza’, ma ‘case di certezza’.
La società definita ‘moderna’ ha
intrinseca l’idea di una forte razionalità. Si comincia a percepire in modo ben
più consapevole come l’uomo sia sì l’artefice del proprio destino, ma in
realtà anche assoggettato a schemi mentali che lo rendono (inconsapevolmente)
partecipe di un autocondizionamento.
L’età moderna è caratterizzata dal
mercato e dall’idea di stato: l’uomo, e solo l’uomo, può giostrare in questi
ambiti (pur guidato, talvolta, da fili invisibili: e pensare che crede di essere
libero, solo perché ha reciso i fili che lo ‘legavano’ al cielo!).
Anche il protagonista del Panopticon è
l’uomo, solo con la sua psiche e la sua razionalità. L’abile regia fa sì che i
sentimenti siano pressoché comuni a tutti gli ‘attori’ dell’opera panoptica: il
timore di essere scoperti, la
consapevolezza di essere sempre e in ogni circostanza sotto l’occhio del
sorvegliante, la coscienza di far parte di un meccanismo apparentemente più
‘sciolto’ rispetto ai classici sistemi di controllo, ma che in realtà agisce sugli
‘ingranaggi’ più intimi della nostra persona…
Il guardiano può anche non esserci,
questo non importa, quel che vale è – effetto Pavlov – che chi fa parte del
Panopticon abbia comunque l’intimo timore di essere scoperto.
Proiettiamoci ora nella società definita
‘post-moderna’ o ‘contemporanea’ (quella della fine dei grandi racconti – Lyotard), segnata dall’indebolimento
delle pretese della ragione, età di plurivocità e polimorfia, dell’emergere di
una pluralità di modelli e paradigmi di razionalità non omogenei (non ultimo il
New Age, ora ‘discioltosi’ anch’esso nella ‘società liquida’), vincolati solo
dalla specificità dei loro rispettivi campi d’applicazione.
Età di un pensiero senza fondamenti, ‘liquido’ (non per questo sempre negativo:
galleggiando sull’acqua si possono toccare nuove sponde…), epoca dell’epoché (della sospensione del giudizio),
della decostruzione (anche in
architettura: paradigmatico il Guggenheim Museum di Frank O. Gerhy, a Bilbao),
della critica alla ragione strumentale che revoca il senso della storia e ne
riconosce il carattere enigmatico.
Soprattutto, forse, l’età in cui scienza e tecnica
appaiono rischiose... Quest’ultimo punto sarà d’importanza rilevante
per il prosieguo di questo trattato.
continua...
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