martedì 9 giugno 2020

L’INTERVISTA. Un romanzo di tras-formazione



L’INTERVISTA
Un romanzo di tras-formazione
                                                                               
La baia danzante di una Pugnochiuso non ancora stile Bollywood, le spiagge infinite di Copacabana e Jericoacoara, la Manhattan ancora fumante da "Diavolo veste Prada": tutte legate da un filo rosso che tiene uniti passione, avventura e mistero. Un nastro sottile che, a ogni istante, rischia di essere tranciato dal filo tagliente degli eventi, ma che poi, magicamente, continua a riavvolgersi nello 'spin' del tempo: il '68 dell'immaginazione al potere e del "fou rire", gli anni '80 dell'Italia da bere, Nietzsche e Marx che parlano insieme al bar, Beyoncé, Rihanna, il Papa seduto al piano... Fino all'imprevedibile esito finale.
Nulla si fanno mancare Lorenzo, Gaia, Arianna, Tomàs, Julim, l'inquietante Galatea... Notte fonda a Jericoacoara, bagliori di luce nella Grande Mela: una galassia di "particelle elementari" filanti senza direzione e senso, staccatesi da quel magma incandescente che è la vita. Ma che poi, tra Taranto, Roma e Firenze, "terza stella a destra", cominciano a puntare dritte verso il traguardo.
(dalla quarta di copertina di Gocce di pioggia a Jericocoara)

Tratto dall’intervista di Silvia Barbato (su Terza pagina – trimestrale di editoria e cultura – maggio 2011)

Nasce per istinto romanziere, anche se diverse circostanze lo portano lontano da questo genere e verso la saggistica. Nicola Perchiazzi svela la sua prima passione pubblicando con Sovera Gocce di pioggia a Jericoacoara, un romanzo completo e ricco sotto ogni angolazione lo possiamo analizzare. Ci stupisce nella cifra stilistica multistrato con stili e livelli in continua evoluzione, nel movimento e nello spostamento, sì geografico ma soprattutto interiore, diviso tra la crescita e la voglia di restare fanciulli legati al proprio presente; alle sintesi sensazionali che uniscono il panta, pur evidenziano le singolarità, a cominciare dai protagonisti.
Un romanzo che ispira voglia di sperimentare, di tentare e di evolversi in tutto e per tutto, sempre.

Questo è il suo primo romanzo. Cosa l’ha spinta a cambiare genere?
Non direi cambiamento, ma riaffermazione del genere ‘romanzo’. In effetti sono nato come romanziere, ma, pur credendoci molto, ho lasciato Gocce di pioggia a Jericoacoara nel cassetto per alcuni anni, cinque. Nondimeno, una scrittrice e pensatrice ‘borderline’, con cui ebbi un incontro/scontro sul web, avendo letto ampi stralci del romanzo ne fu così colpita che mi spinse a tenere sempre il cassetto aperto…

Il Brasile è il protagonista della storia. Cosa la lega a questo paese?
Un legame antico, risalente agli anni ’70, ma legato più all’architettura che alle tradizioni o al folklore. Infatti, all’epoca, nell’ambito dei miei studi di ingegneria edile, m’innamorai della ‘scuola brasiliana’, con il suo ‘stile’, per così dire flessuoso, armonico, sensuale, complice dei luoghi, della saudade e, insieme, alegria dei suoi abitanti. E poi la musica, sia nella versione ‘soave’ sia in quella jazz. E le sue spiagge, le sue baie, i suoni di quella lingua così intrigante.
Sì, come contraltare alla mia passione giovanile per l’India e, più cinematografica, per Bora Bora e spiagge cantando, quella per il ‘panciuto’ Brasile è da sempre una mia passione non tanto nascosta.

Quanto è importante per lei viaggiare?
Per dirla con Céline, riprendendo l’incipit del ‘settimo giorno’ del percorso di miglioramento peak performance del mio Prendi la PNL con Spirito!, potrei dire: “Viaggiare, è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione (…) Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. E poi in ogni caso tutti possono fare altrettanto. Basta chiudere gli occhi. È dall’altra parte della vita.” Sì, i miei sono, innanzitutto, viaggi interiori, anche se, alla Salgari, più realistici del re… Non viaggi per scavare nell’inconscio – non li ritengo (Freud mi perdoni) utili – ma esplorazioni nei ‘mari interni’ e nel ‘deserto’ (qui e là delle oasi, anche qualche foresta). In ogni caso, il viaggio è per me, sì il tragitto, ma soprattutto l’arrivo. E la sosta, ma sempre in movimento…
Tante esperienze e viaggi sono serviti a dare sostanza a quello che sono, in definitiva, i miei veri viaggi – ripeto, viaggi interiori che, un po’ per ‘vocazione’, un po’ per intralci vari, hanno, spesso di necessità virtù, frenato i miei viaggi ‘esteriori’. Ma ora mi sento obbligato – obligado – a toccare con mano Rio, Jericoacoara e New York. Noblesse oblige.

Le storie che si intrecciano vedono protagonisti un gruppo di ragazzi. C'è qualcosa di autobiografico, o è pura fantasia?
Hai detto ragazzi. Giusto, i due protagonisti, per quanto a cavallo dei cinquanta, sono ancora dei middlescents, dei bambulti, dei ‘bambini adulti’: pieni di sogni, di ideali, di idee… Dei forever young. Sì, questo mi appartiene. Come pure, anche se con un po’ di glosse e cancellazioni, il periodo sessantottino e post.
Le vicende sentimentali, rouge & noir (ma anche il colore ideologico), sono in parte vere, in parte romanzate. C’è il solito intreccio tra realtà e reality (sai, la ‘civiltà dello spettacolo’). Comunque, nel sostrato e nell’afflato ideologico, spirituale e filosofico, mi rispecchio in gran parte.

Qual è il messaggio che vuole che arrivi al suo pubblico attraverso il romanzo?
Il messaggio, come ben si intuisce, è ‘multilivello’.  Per dirla con quella ‘web friend’ (una che di scrittura ne capisce, anche se ideologicamente ‘scorrettissima’), il mio romanzo è: romanzo-rapsodia, fervido di vita e voci, di ritmi e canti e risa, dal profumo di ingenue aurore … vorticoso nel suo ritmo da derviscio tournant, vibrante di tensione e trepidazione, ossimorico nei suoi dolci contrasti, dalla scrittura vivace, geniale, estetizzante, ma tutt'altro che décadent, capace di affratellare Policleto e i Beatles. Un ‘panta rei’ entusiastico ed entusiasmante, un fluire di sapienze ed eresie, dall'oscillare inarrestabile, ebbro … una scrittura da giocoliere della parola e da funambolo della nuance.”
Quindi, tema di fondo, invogliare, specie i giovani, alla scrittura creativa, ossimorica, dai cambi continui di registro, giochi linguistici e assonanze (sviluppano il ‘cervello destro’). E poi un ritorno ai grandi temi, al Pensiero Forte (anche quello Debole ha avuto le sue ragioni, di cuore): la grande politica, la spiritualità, il mistero… Un nuovo Sessantotto in chiave rinascimentale e un po’ medievale, insomma. Ma aperto al Nuovo (che avanza – non gli avanzi di quello pseudo-nuovo che sembra ancora troneggiare sulle nostre tavole, mediatiche e familiari).
In definitiva, un tentativo di ‘nuove sintesi’. E una ‘visione’. E per questo l’ossimoro e l’eclettismo – ma in senso creativo e critico – la fanno da padroni nel romanzo. Che le ‘gocce di pioggia’ diventino un acquazzone…

Ha già in vista nuovi progetti editoriali?
È chiaro che l’appetito vien mangiando. Se prima pensavo di insistere nel filone ‘saggi’, ora è chiaro che la mia passione fou preme underskin perché scriva un altro romanzo. Ma questo senz’altro più slim del primo, molto in ciccia (ma balla bene…). E poi, un po’ di carne già coceva. Si tratta di aggiungere un po’ di contorni, frutta e molte, molte spezie. Ci sarà molto vissuto e molta fantasy, ideologia e humour, ma vorrei farlo ancor più magical mystery tour, sia pure più ‘porta a porta’. Mi sa che sarà, non dico un thriller, ma sempre un po’ noir. Penso a un ‘giallo’ filosofico-politico, un po’ alla Fight Club, diciamo. Un romanzo sneakers e tacchi a spillo…


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