sabato 20 giugno 2020

GETTA IL TUO PANE SULLE ACQUE


GETTA IL TUO PANE SULLE ACQUE


Sabato, fine della settimana lavorativa (anche per chi non lavora): lavorare per il pane quotidiano (anche per piacere, vocazione, condivisione di talenti). Panem et circenses. 
A tal proposito – ma in versione più “alta”, non certo “plebea” –, vi propongo un breve brano – flos de floribus – tratto dal mio romanzo “Gocce di pioggia a Jericoacoara”. La scrittura creativa, infatti, non solo vi aiuta a creare una nuova vision & mission – tra Weltanschauung, Stimmung e Sehnsucht (visione del mondo, atmosfera, anelito d’infinito) – ma vi ricrea: l’otium dopo il negotium…

Getta il tuo pane sulle acque, perché dopo molto tempo lo ritroverai.  Abbattuto il muro di cellofan, messa alla berlina ogni timidezza, la contiguità tra i due si fece comunione. E comunicarono.
Le parole tra lui e Gaia (il nome della ragazza non era più un segreto per Lorenzo: anche se avrebbe fatto più fino saperlo dopo...) si rincorrevano tra le balze dei loro territori ora senza più confini; i pochi silenzi sembravano fatti della stessa stoffa delle parole. Silenzi sempre più rarefatti, pronti però a riprendere, man mano, vigore.
Sintonizzati sulle stesse frequenze, Gaia e Lorenzo ebbero, contemporaneamente, la sensazione panica (nel senso bucolico) di essere un tutt’uno con l’erba, i fiori, i cespugli; con il vociare dei ragazzi e delle ragazze che percorrevano, proprio in quel magico istante, il sentiero sottostante. Col flautare della brezza settembrina, tutt’uno col battito del cuore della formica che dalla mano di lui era passata a quella di lei... 
Il tempo, fino a quel momento acerbo, giunse a maturazione e stillò gocce di Kairòs: il tempo propizio pensò bene di fermare le lancette del Chronos, del tempo qualunque (e qualunquista).
Come può esserci Eros senza Imeros? Amore senza Desiderio? I due, ciascuno prima perso nel suo viaggio al termine della notte, si avvicinarono sempre più (la formica...), fino a sfiorarsi in più punti strategici. Un lieve, improvviso, fruscio d’aria increspò i capelli di lei, facendoli vibrare sul viso di lui. Furono uno: lo stesso misterioso montante desiderio, la stessa cruda sensualità che si offriva spontanea e naturale. Un’aspra dolcezza (l’ossimoro…) che fluiva sottopelle, come in rivoli sotterranei mai esplorati. Lo stupore e l’innocenza dei sensi. Complicità e confidenza tra i corpi e le menti (e il luogo). L’eros che si fa ethos.
Lorenzo e Gaia: il corpo di lei abbandonato accanto al suo, le vibrazioni del suo respiro che si accordavano armoniosamente con quelle delle sue membra. Una sinfonia di bassi, di acuti, di silenzi, che sembravano fatti della stessa organza dell’ambiente circostante. Magico, soprannaturale, ma vibrante di passione, di vita, carne e sangue...
Come può esserci Eros se non c’è Afrodite? Più che Laing poté Plutarco!

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