GENIUS LOCI,
STIMMUNG E ZEITGEIST
CITTÀ COME STATI D’ANIMO
Cos’è la città, se non
un coacervo di esperienze, un cumulo di mattoni di vita. Sedimenti di passato, bollicine di presente, fumi di futuro... Per
dirla con Saul Bellow, «le città sono stati d’animo, stati emotivi, umori,
per la maggior parte distorsioni collettive…» D’altronde, la forme d’une ville
change plus vite que le coeur d’une mortel (Charles Baudelaire) e we shape our cities and thereafter they shape us (Winston Churchill
– sempre che, oltre che le statue, non ne cancellino anche gli statements...).
– sempre che, oltre che le statue, non ne cancellino anche gli statements...).
Nella città, nella
metropoli in particolare (quando non si avviano a diventare ‘necropoli’…), si
avverte la disseminazione della cultura, costantemente contrattata e in
divenire. Naturalmente, non lì dove vi sono i ghetti, nei quali c’è la massima,
forzata, omogeneità in spazi anche grandi.
Ma il fuoco, talora,
soffia sotto le ceneri: parlo, per esempio, della vivacità sotterranea di
alcune cultura/colture e subculture urbane – anche in alcune realtà islamiche: v.
in Iran, dove, in barba alle restrizioni di regime, si cerca di ravvivare
l’antica dinamicità dell’Islam medievale, e le stesse radici arie e
zoroastriane, contaminandole di occidentalismo freelance.
Oggi, più che
metropoli versus città rurale, il dibattito è tra provincialismo,
mondialismo omogeneizzante e mondialismo liberatorio e libertario che non
disdegna la diversità e la specifica kultur (più che civilization),
ossia tiene conto sia dei rami che si protendono verso altre realtà (lo stesso
mondialismo) sia delle radici identitarie. Insomma, un cosmopolitismo localistico glocal (ogni ossimoro è una
risorsa in più).
Due realtà fisiche e due gestalt – forme, strutture – che incidono diversamente sul modus viventi dei loro abitanti e sull’immaginario urbano.
Due realtà fisiche e due gestalt – forme, strutture – che incidono diversamente sul modus viventi dei loro abitanti e sull’immaginario urbano.
Imago mundi. L’architettura che co-stringe fisicamente, psichicamente,
‘pneumaticamente’ i suoi sudditi. Architettura da de-costruire: reset
psico-territoriale, bouleversement creativo. Ritmo veloce,
giungla di stimoli, sensazioni e immagini, versus ambiente rurale e
provincialismo urbano dal ritmo lento (anche quando corre…), più abitudinario, uniforme
e conforme.
«Più la folla è
densa, più ci sentiamo soli», così Zygmunt Bauman ‘liquida’ la ‘città del
troppo’ (altro che villaggio globale… Troppo annacquato: perciò i localismi
stavano tornando a galla). Ma anche del troppo poco, del troppo uguale,
dell’indistinto, dell’outlet, del ‘passaggio veloce’, del nulla – anche se
iper… (e quella di Marc Augè non è un’iperbole: passiamo la maggior parte della nostra esistenza in ‘non-luoghi’,
dove si consuma il presente e si abortisce l’avvenire).
«Nella grandezza
smarrente delle metropoli americane ove il singolo – ‘nomade dell’asfalto’ –
realizza la sua infinita nullità dinanzi alla quantità immensa, ai gruppi, ai
trusts e agli standards onnipotenti, alle selve tentacolari di grattacieli e di
fabbriche… In tutto ciò, il collettivo si manifesta ancor di più senza volto
che non nella tirannide asiatica del regime sovietico». Così Julius Evola,
no-global antelitteram, liquida New York (e di conseguenza ogni
omogeneizzazione, pur nella plurietnia: in quanto auto-emarginantesi,
etero-emarginata, assente, indifferente…).
La metropoli del
denaro e di Mammona versus la campagna del baratto (e della mamma,
quella con le tette gonfie di latte). Ma anche lo sfilacciamento del tessuto
comunitario – altro che manna – a vantaggio della scolorita ‘stoffa’ periurbana
(le periferie anonime e suicido-file, ipermercati inclusi, per quanto
architettonicamente ben disegnati). Luoghi, non-luoghi? Vita, non-vita? Il bello non ha prezzo.
Vita tra i confini.
Identità versus alterità. Ma ancor di più: alterità nell’identità.
Equilibrio in bilico. Città plurale, campagna singolare. Spaesamento.
Urbanizzazione selvaggia. Portici, shopping malls, clochardization.
Marginalità inclusiva, gentrification elitaria. Minimal o segno
ipergrafico. Fast-food versus
slow-food. Città senza respiro. Nondimeno,
black lives matter.
Boutique versus
ipermercato? Un po’ l’uno un po’ l’altro. Ma con juicio. Vivere tra i
margini (e, spesso, sconfinare…). Questo l’universo quotidiano. Ma anche
l’intellettualità sofisticata, la riservatezza fino alla ritrosia, il
formalismo blasé e il distacco anodino, il tempo che tutto scandisce e
cronometra: questa la metropoli e i suoi ‘numeri’.
Ma dietro il numero c’è Dio…
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